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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Intervento al congresso sulla procreazione responsabile:
«L’antropologia filosofica e teologica implicata nella contraccezione e nella procreazione responsabile. Loro irriducibilità»
Giugno 1984

 

Alla base dell’insegnamento della Chiesa sulla procreazione responsabile e conseguentemente sulla contraccezione sta una visione dell’uomo, una dottrina antropologica. E così, parallelamente, una precisa visione dell’uomo sta alla base di chi rifiuta questo insegnamento e giustifica, anche se in alcuni casi solamente, la contraccezione. Alla radice, si ha lo scontro di due antropologie. È di queste due antropologie che vorrei parlare.

 

1. L’antropologia implicata nel Magistero della Chiesa

 

Supposto già a voi noto quanto sul tema della procreazione responsabile insegnano Humanae Vitae e Familiaris consortio, a me sembra che l’antropologia implicata in questo insegnamento si articoli attorno a due momenti fondamentali, fra loro strettamente connessi: il primo riguarda la struttura ontologica della persona umana, il secondo riguarda il rapporto dell’uomo con Dio creatore.

1,1 - Per quanto riguarda il primo momento, si tratta, in sostanza, di una comprensione della corporeità umana. Il problema è questo: quale è il rapporto fra la persona umana e il suo corpo? il corpo entra o non nella costituzione stessa della persona umana? si deve parlare di una “personalità del corpo” e di una “corporeità della persona”? Ora, l’insegnamento della Chiesa è la conseguenza di una visione della corporeità secondo la quale il corpo è parte costitutiva della persona. Dobbiamo verificare questa connessione.

Da un punto di vista strettamente teologico, la Chiesa ha capito la verità del corpo umano alla luce del mistero centrale della sua fede: l’Incarnazione del Verbo. In questo avvenimento, il corpo umano è assunto dal Figlio di Dio con una elevazione “qua maior cogitari non potest” (di cui non si può pensare una maggiore), dal momento che la corporeità umana entra nel mistero stesso della divinità. D’altra parte, la finalità dell’incarnazione del Verbo è una finalità di salvezza: “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”. È la salvezza dell’uomo, nella sua intera realtà, che muove il Figlio di Dio ad assumere un corpo umano. E poiché — come hanno sempre insegnato tutti i Padri della Chiesa — ciò che è assunto è salvato, ed è assunto per essere salvato, anche il corpo umano è salvato, è redento: una salvezza, una redenzione che raggiungerà la sua pienezza nella risurrezione della carne. La Chiesa ha capito, fin dalla sua origine nella luce del mistero della salvezza, che il corpo umano non era un “vestito” della persona umana, di cui questa alla fine avrebbe dovuto spogliarsi per ritornare alla sua pura verità. Ha capito che il corpo umano non è una “proprietà” passeggera di cui la persona umana deve privarsi per essere pienamente e puramente se stessa. Ha capito che l’uomo è il suo corpo e che, quindi, l’uomo non è redento fino a quando anche il suo corpo non fosse redento: una redenzione che non consiste nella distruzione e nell’abbandono del corpo, ma in una piena integrazione del medesimo nella persona, in una sua completa personalizzazione.

Da un punto di vista filosofico, il pensiero cristiano si trovò di fronte ad uno dei suoi compiti più difficili. Da una parte, infatti, la verità della fede, che abbiamo appena richiamato, sembra spingere ad una antropologia nella quale la consistenza autonoma della dimensione spirituale dell’uomo non era più assicurata e, dall’altra, la forte influenza platonica spingeva il pensatore cristiano a non accogliere pienamente a livello di pensiero la verità della fede. L’antropologia agostiniana è al riguardo molto significativa. È stato il genio filosofico di san Tommaso d’Aquino a pensare la sintesi fra queste due esigenze. La persona umana deve il suo essere persona — soggetto che sussiste in se stesso e per se stesso, principio di atti liberi — allo spirito. Ma la specificità dello spirito umano in quanto umano è di essere ordinato per sua natura stessa ad esistere nella carne, in un corpo. Di conseguenza, la persona umana è persona nel corpo ed il corpo è corpo umano nella persona umana.

L’uomo è precisamente questa unità di uno spirito esistente in un corpo e di un corpo elevato all’esistenza da uno spirito: l’uomo è questo “integrum” di spirito-corpo. In questo sta il mistero ed il paradosso della persona umana collocata sul confine fra il mondo dello spirito e della materia: “né angelo né animale” (Pascal).

Nella mia riflessione devo ora enunciare solamente una immediata e fondamentale conseguenza etica di questa definizione di uomo, sulla quale non mi fermo, perché sarà sviluppata in altre relazioni. La conseguenza è questa: il valore della persona umana — il suo essere essenzialmente superiore-diversa da ogni altra realtà di cui abbiamo esperienza — appartiene anche al suo corpo, dal momento che la persona umana è anche il suo corpo. Tutto ciò che l’etica dice della persona umana è detto anche del corpo della persona umana. Se è vero, come è vero, che la persona non può mai essere utilizzata, allora è anche vero che il corpo non può mai essere utilizzato, poiché — anche in questo caso — sarebbe la persona umana ad essere utilizzata. Quando una realtà è usata? in che cosa consiste l’uso? L’uso ha due momenti essenziali. In primo luogo, nell’uso ciò che vale assolutamente non è lo strumento di cui si fa uso, ma il fine in vista del quale si usa dello strumento. In secondo luogo, la realtà usata non possiede in se stessa e per se stessa una sua consistenza assiologica tale da meritare un riconoscimento assoluto ed incondizionato: è sempre relativo al raggiungimento di uno scopo e condizionato da questo stesso raggiungimento.

È questa visione antropologica che è implicata nella dottrina cattolica sulla procreazione responsabile: questa visione nella quale nulla di ciò che è essenzialmente e costitutivamente umano può essere utilizzato, può essere considerato non abitato dal valore morale.

Infatti, se quella dottrina giudica moralmente illecita in ogni caso e comunque la contraccezione, è perché la capacità procreativa inscritta nell’atto sessuale-coniugale è una capacità personale/della persona e l’uomo non può “disporre” di se stesso. Distruggerla è un atto che viola la persona come tale: la persona che è anche il suo corpo.

 

1,2 - Ma c’è un altro e più profondo aspetto o momento della visione antropologica implicata nell’insegnamento della Chiesa sulla procreazione responsabile che, alla fine è anche al fondamento di quello precedente. Esso riguarda il rapporto dell’uomo e della donna capaci di procreare e Dio creatore.

Che cosa è questa capacità procreativa umana? quale è la sua verità più profonda? L’esistenza di persone create dipende unicamente dalla volontà, assolutamente libera, di Dio creatore, di rendere partecipi altri da sé della sua Vita; questa decisione divina esige la co-operazione dell’uomo e della donna perché possa attuarsi; e, pertanto, Dio ha donato all’uomo e alla donna questa capacità di co-operare, dotando la loro sessualità della capacità procreativa. Questa è la capacità di co-operare con Dio creatore all’opera di dare origine ad una nuova persona umana. Come è ovvio, allora, questa capacità è di natura assolutamente diversa da quella animale, nonostante tutte le eventuali identità biologiche.

L’atto contraccettivo consiste propriamente nel privare la sessualità umana della sua capacità procreativa (quando ne è in possesso) in relazione al compimento dell’atto sessuale potenzialmente fecondo.

Da ciò che si è detto finora, consegue allora che da una parte, essendo l’atto sessuale potenzialmente fecondo, la congiunzione sessuale come tale, per sé, dice ordine ad un atto creativo di Dio, richiama un atto creativo di Dio, ma dall’altra parte, essendo l’atto positivamente privato della sua fecondità potenziale, questa privazione come tale, per sé, distrugge questo ordine intrinseco a Dio Creatore. In altre parole: da una parte, il compimento dell’atto sessuale apre lo spazio ad un intervento creativo di Dio; dall’altra, la contraccezione vuole impedire che Dio compia il suo atto creativo.

La domanda etica è, pertanto, la seguente: è lecito privare l’atto sessuale del suo intrinseco ordine/finalismo all’atto creatore di Dio? (è lecito impedire che Dio compia, se lo volesse, il suo atto creativo?). Questo è il problema teologico della contraccezione.

La domanda, se riflettiamo attentamente, ne implica un’altra precedente, che è la seguente: chi è il responsabile ultimo della venuta all’esistenza di una nuova persona umana? La connessione fra le due domande ci apparirà chiara se riflettiamo sui seguenti punti. Che la venuta all esistenza di una persona umana comporti la decisione sia di Dio sia dell’uomo è ovvio da ciò che si è detto finora. Le due decisioni si co-ordinano sullo stesso piano oppure all’una compete una priorità che sub-ordina l’altra? Se chi ultimamente decide è l’uomo (“ultimamente” significa che di questa decisione risponde, alla fine, solo a se stesso: è l’uomo che è il “depositario ultimo delle sorgenti della vita umana”), allora, nel caso che l’atto sessuale dica ordine all’atto creativo di Dio (=atto sessuale potenzialmente fecondo), l’uomo — in quanto e se responsabile ultimo del sorgere di una persona umana — può privare l’atto sessuale di questo ordine (=atto contraccettivo). Così come, se il responsabile ultimo è Dio, il Creatore non è obbligato all’atto creativo, anche se è stato compiuto l’atto sessuale potenzialmente fecondo.

La semplice affermazione di Dio come creatore esclude si possa affermare che il responsabile ultimo sia l’uomo. Qui scopriamo la malizia morale intrinseca all’atto contraccettivo come tale. Essa consiste essenzialmente che in esso e con esso la persona umana si attribuisce ciò che è solo di Dio: in esso e con esso, la persona umana istituisce un rapporto con Dio essenzialmente falso. Si noti bene: ciò avviene in forza di ciò in cui consiste l’atto come tale (ratione obiecti actus, direbbero gli scolastici).

Si noti ancora: non si può obiettare, dicendo che l’uomo deve ragionevolmente procreare e così via. Il problema non è se esista una responsabilità procreativa umana: la cosa è ovvia. Il problema è di sapere in che rapporto la responsabilità procreativa sta colla responsabilità creativa di Dio.

Si può cogliere ora pienamente questo momento o aspetto della visione antropologica implicata nel magistero della Chiesa sulla procreazione responsabile. La persona umana, proprio perché persona, si trova in un rapporto assolutamente singolare con Dio: la sua venuta all’esistenza esige un atto creativo di Dio che la pone nell’essere. Si deve notare accuratamente che questa esigenza è dovuta semplicemente al fatto di essere persona. E il concepimento di un uomo non è solo una modificazione di una materia preesistente: è l’apparizione di un nuovo io chiamato all’alleanza con Dio.

I due momenti, il momento che afferma l’unità profonda della persona ed il momento che afferma un atto creativo all’origine di ogni persona, sono intimamente connessi fra loro. Precisamente per la ragione che la persona umana non è né puro spirito né pura materia e che quindi la sua è una corporeità personale ed una personalità corporale, si deve ammettere per spiegare la sua origine non solo un atto generativo, ma anche un atto creativo. E, reciprocamente, precisamente per la ragione che ogni persona è creata da Dio, si deve ammettere, alla fine, che ad essa (a tutto ciò che la costituisce come tale) si deve un rispetto assoluto ed incondizionato.

 

2.- L’antropologia implicata nella giustificazione della contraccezione

 

Si tratta ora di vedere quale visione dell’uomo implica la teoria etica secondo la quale la contraccezione non sarebbe sempre e comunque illecita, e che vi possono essere situazioni nelle quali l’atto contraccettivo può essere moralmente lecito.

Non compete a me in questo Congresso fare una riflessione critica sulle ragioni portate per dimostrare questa tesi: il mio compito è di cogliere le radici antropologiche di questa posizione.

Essa si caratterizza, in primo luogo per l’affermazione che la capacità umana procreativa non è un bene etico, ma un bene pre-morale e che, pertanto, è la decisione di procreare/non procreare che è un problema etico. Quando questa decisione è eticamente giustificata il mezzo per realizzarla può essere anche la contraccezione, dal momento che la capacità procreativa è come tale un valore solo pre-morale.

Se vogliamo cogliere la radice di questa posizione, vediamo subito che essa consiste in una visione della persona umana che la riduce completamente ed unicamente alla sua dimensione spirituale. L’uomo è solo il suo spirito e possiede il corpo, di cui fa un uso moralmente retto, quando lo scopo per cui è usato è moralmente retto. A guardare le cose con maggior profondità, si vede che, dal punto di vista etico, non c’è una sostanziale diversità nel rapporto che la persona intrattiene col suo corpo dal rapporto che essa intrattiene colla natura infraumana. E la conferma si ha nel fatto che è normale in questi teologi il richiamo al passo biblico in cui all’uomo è affidato il dominio della natura. La corporeità umana è abbassata al livello della natura ed alla medesima corporeità è negata ogni dignità personale. Come l’uomo — e dicendo “uomo” si intende surrettiziamente lo spirito umano — fa uso delle energie naturali per scopi razionalmente giustificabili, così fa uso della “energia naturale” di procreare per scopi razionalmente giustificabili. E poiché l’uso come tale non ha una sua intrinseca moralità, esso può anche giustificare la soppressione della capacità procreativa, cioè la contraccezione. In una parola: la giustificazione della contraccezione implica una visione sostanzialmente riduttiva del corpo della persona.

Questa visione ha una conseguenza di notevole importanza teoretica e pratica. È una convinzione profondamente inscritta nella coscienza di ogni uomo che l’atto sessuale-coniugale sia e debba essere l’espressione di una vera comunione personale: che esso è e deve essere il linguaggio di questa comunione. Ora, se noi pensiamo che la persona sia solamente il suo spirito, la conseguenza è che nel linguaggio che dice la comunione personale-coniugale, il corpo — la dimensione fisica dell’atto coniugale — non possegga una sua verità propria. Il linguaggio del corpo sarebbe solamente un linguaggio artificiale: è l’uomo che lo crea completamente. Si noti la carica anti-umanistica di questa tesi antropologica. Poiché in ogni comunicazione fra persone umane il corpo entra sempre e come base di essa, la perdita della visione di una sua naturale verità — della naturale verità del suo linguaggio — incide sulla possibilità della comunicazione stessa: una cultura in cui si giustifica la contraccezione è una cultura della menzogna sui rapporti umani.

Ma nella giustificazione etica della contraccezione è compresa anche un’altra implicazione antropologica più profonda. Essa riguarda, alla fine, il modo stesso di vedere il rapporto dell’uomo col suo Creatore.

Infatti, se l’affermazione che giustifica la contraccezione vuole essere coerente fino in fondo, a che cosa porta? I casi sono due. O si ammette che all’origine di ogni vita umana si ha un atto creativo di Dio, ed allora la giustificazione della contraccezione comporta come conseguenza logica l’affermazione che nella co-ordinazione fra l’atto creativo di Dio e l’atto generativo dell’uomo, non l’uomo è sub-ordinato a Dio, ma Dio all’uomo e, pertanto, è all’uomo che in ultima analisi spetta la decisione della venuta all’esistenza di una persona umana. O si nega che all’origine di ogni vita umana si ha un atto creativo di Dio ed allora la giustificazione della contraccezione comporta l’affermazione che il concepito è puro prodotto della coppia generante che di esso può disporre.

Come si vede, sia nel primo caso sia nel secondo caso è il rapporto stesso dell’uomo con Dio che è falsificato, poiché Dio non è più semplicemente riconosciuto come Dio: cioè come Creatore.

Le due implicazioni antropologiche schematicamente richiamate — l’uomo è solo il suo spirito / l’uomo è il Creatore di se stesso — sono intimamente connesse fra loro, come dimostra la vicenda del pensiero filosofico dell’Occidente in questi ultimi secoli. La riduzione dell’uomo al suo spirito finisce col generare l’impressione che l’uomo sia la misura di se stesso, che l’uomo sia il creatore della verità.

 

3. - L’irriducibilità delle due antropologie

 

Aristotele scrisse che fra due proposizioni contraddittorie non si dà una proposizione intermedia che possa armonizzarle: se si afferma l’una, si deve negare l’altra, sotto pena di cadere nell’impossibilità stessa di pensare.

Vorrei ora mostrarvi brevemente che questa è la situazione in cui si trovano le due antropologie di cui abbiamo parlato: sono fra loro contraddittorie e, dunque, irriducibili. Non si tratta solo di un discorso di logica formale: verificare se ciò che una serie di proposizioni afferma, l’altra serie nega. Si tratta, più profondamente, di cogliere la ragione profonda di questa contraddizione: il “campo” su cui avviene questo scontro.

Che cosa è in questione? quale è la materia del contendere, se così possiamo dire? La “cosa” di cui si discute è l’uomo: la “cosa” di cui si discute sono i diritti di Dio: questo è il cuore di tutta la questione. È accidentale definire l’uomo riducendolo pienamente al suo spirito o definire l’uomo come unità di spirito e corpo? se sì, allora la questione della contraccezione è una questione del tutto accidentale; se no, allora la questione della contraccezione conduce la riflessione antropologica in un punto centrale. È accidentale affermare o negare che Dio è colui da cui dipende ultimamente l’esistenza di ogni persona umana? Se sì, allora la questione della contraccezione può essere facilmente messa sullo stesso piano della questione sul sesso degli angeli; se no, allora ciò che è in questione è la causa stessa della religione come tale — non semplicemente del Cristianesimo — che si discute, quando si discute di contraccezione.

La mia esposizione precedente ha mostrato, lo spero, che precisamente ciò che è in questione è la definizione stessa di persona umana e la realtà stessa di Dio creatore. Quando si tratta di “definizioni”, non possono darsi della stessa realtà due definizioni contraddittorie. Quando si tratta della realtà stessa di Dio creatore, non c’è che una posizione vera: quella che lo riconosce come tale.

Tout se tient, direbbero a questo punto i francesi. L’affermazione della illiceità della contraccezione è chiaramente e pienamente coerente solo sulla base di una “visione” netta della persona umana nella sua diversità-superiorità, diversità-superiorità connessa semplicemente al suo essere persona, essere-persona dovuto allo spirito, che esige un intervento creativo di Dio. Quando quella “visione” si oscura, si oscura la spiritualità della persona, si oscura la visione della irriducibilità dell’humanum alla materia, al numero, alla categoria della quantità: la persona diviene un “prodotto” dell’attività di altre persone.

Ed ancora. Abbiamo visto che l’affermazione della dignità della persona, della sua indipendenza sta, ultimamente, nel fatto che essa è creata da Dio: che del suo essere è ultimamente responsabile solo Dio. Quando si introduce il dubbio su questo, quando si pone una affermazione (la liceità della contraccezione) che implica coerentemente la negazione dell’atto creativo di Dio, si pone la radice di un dominio dell’uomo sull’uomo. L’uomo generato è un “prodotto” dell’uomo sul quale questi può dare un giudizio di “riuscita” o non: aborto eugenico ed aborto in genere.

In sintesi e per concludere questo momento della nostra riflessione. L’origine della persona umana sta nascosta ultimamente nel Mistero della volontà creatrice di Dio, della sua volontà assolutamente libera ed ogni persona umana esce dal seno di questo Mistero. Non ultimamente dalla volontà procreatrice dell’uomo: questa è solo ordinata, anzi sub-ordinata a quella.

 

Conclusione

 

“Credo in Dio Padre onnipotente, creatore...”: i cristiani cominciano in questo modo la loro professione di fede. Se noi domandiamo a noi stessi: “quando Dio mi ha creato?”, la risposta non può essere che la seguente: quando sono stato generato dai miei genitori. Nella coscienza di ogni uomo è naturalmente inscritta questa convinzione, quando l’uomo riconosce Dio suo creatore.

La giustificazione morale della contraccezione costituisce così il tentativo di sradicare dalla coscienza dell’umanità la convinzione di essere creatura di Dio ed assume, pertanto, il carattere di “sfida” a Dio creatore. Ma nello stesso momento in cui si mettono in questione i diritti di Dio creatore, sono minacciati per ciò stesso i diritti fondamentali della persona umana. Una cultura in cui si giustifichi la contraccezione è in radice una cultura in cui ogni violenza sull’uomo di venta possibile.

Qui scopriamo il senso ultimo del nostro impegno: la gloria del Creatore che consiste nel fatto che l’uomo viva secondo l’intera verità del suo essere personale.