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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Veglia per le vocazioni
Seminario, 21 aprile 2015


«Crescere verso il fondo: crescere, no, scoprire / a che profondità tu hai posto le radici» [K. WOJTYLA, OPERE LETTERARIE, BOMPIANI, MILANO 2001, PAG. 153].

Cari amici, partiamo da questa presa di coscienza facendoci la domanda: “a che profondità ho posto le radici del mio essere?”. La domanda ha un senso. Nessuno di noi può decidere di esistere. Le radici dunque del nostro esserci non possono essere una nostra decisione. Quale è il terreno in cui affondano?

1. La risposta più semplice ad immediata potrebbe essere la seguente: la decisione dei miei genitori di avere un bambino. Non è questa la radice. Essi volevano un bambino/a, ma non potevano volere che il bambino/a fossi proprio tu. Questo non dipese da loro.

È allora l’incrocio fortuito, casuale di forze impersonali? Cioè: ciascuno esiste per caso. Se sei venuto al mondo per caso, allora tutto il proprio esserci è fortuito; non ha in sé alcuna spiegazione; non ha senso.

Tutto questo significa la domanda: a che profondità tu hai posto le radici? La pagina di S. Paolo è la risposta a questa domanda. Meglio: è una guida a scoprire il vero terreno in cui sono poste le nostre radici. È una pagina drammatica.

Essa enumera tutte le difficoltà che possono abbattersi sulla persona umana: la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada; la morte e la vita, potenze impersonali avverse. È l’immagine di una vita umana la quale potrebbe essere paragonata ad un albero percosso continuamente da venti furiosi.

«A che profondità tu hai posto le radici» per non essere sradicato ed inaridirti? Dentro quale terreno? Paolo risponde: poni le tue radici nell’amore di Dio quale si è rivelato ed incontri in Cristo Gesù.

Come si auto-qualifica il Dio in cui porre le proprie radici? «Dio-per-noi». Non solo con noi. Dio che ha nei confronti di ciascuno di noi un’effettiva dedizione voluta ed intenzionale, oltre ogni aspettativa.

Se poi vediamo come l’Apostolo specifica le attività delle forze contrarie: accusare, condannare, separare, possiamo constatare che qualsivoglia antagonista si infrange contro la custodia con cui Dio custodisce in Cristo chi si radica nel suo amore; chi crede in Gesù.

Paolo non esclude la possibilità di un’accusa, ma se Dio non accusa, nessun altro può turbare la pace del credente. Possiamo anche auto-“condannarci” e giungere perfino a disprezzarci. Ma «Dio è più grande del nostro cuore» [1Gv 3,20]. Se non siamo noi a sradicarci, a “separarci”, niente e nessuno «potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore».

«Ma in tutte queste cose stravinciamo in virtù di colui che ci ha amati». La vittoria non è frutto dello sforzo umano, pure necessario, ma dell’amore non calcolabile di Dio in Gesù.

«Crescere verso il fondo: crescere; no, scoprire / a che profondità tu hai posto le radici».

2. La pagina del vangelo narra come due giovani, Andrea e Giovanni hanno scoperto il terreno in cui radicarsi; hanno scoperto a che profondità porre le radici. Ciascuno dei due. È l’avvenimento della vocazione.

La prima parola che il vangelo secondo Giovanni mette sulle labbra di Gesù è un interrogativo: «che cosa cercate?».

La domanda coglie le radici del nostro essere. Non siamo forse impastati di desiderio? Un “filo d’erba assetato”, dice Agostino della persona umana. «Che cosa cercate?», cioè: quale volto desideri dare alla tua persona? Quale senso alla tua vita? Chi – alla fine – desideri essere? Unicamente nella risposta che ciascuno dà a questa domanda ciascuno è definitivamente diverso da ogni altro, cessa di essere un individuo generico, e diventa una persona singola e diversa. È il codice genetico che definisce la nostra individualità; è la vocazione che definisce la nostra persona.

«Seguirono Gesù». Andrea e Giovanni hanno oscuramente percepito che non Giovanni Battista poteva dare loro risposta. Per questo lo abbandonano per stringere un legame più profondo. “Tale passaggio è un salto, non un semplice sviluppo. Non è passaggio da un maestro, dall’insegnante dell’elementari al professore della media”. [A. VON SPEYR]. È nel “dimorare con Gesù” che l’io di Andrea e Giovanni riceverà il suo nome unico; saranno chiamati per nome. Come esplicitamente viene detto per il fratello di Andrea: «tu sei Simone, il figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa».

«Si fermarono presso di lui»: hanno messo le radici; hanno trovato la risposta al loro desiderio. Sono stati chiamati, perché «si fermarono presso di lui».

Il nostro fermarci con Gesù questa sera è solo un momento. Ma, soprattutto se non vi siete ancora sentiti chiamati per nome; se non vi è ancora stato data la «la pietruzza bianca sulla quale sta scritto il nome nuovo» [Ap 2,17], fermatevi spesso presso di Lui per chiedere che risponda al vostro desiderio.

Se questo nome vi è già stato dato, non pensate che si possa cambiarlo. È definitivo; non sradicarti dal terreno dell’amore che ti ha scelto.

«Crescere verso il fondo: crescere; no, scoprire / a che profondità tu hai posto le radici». Amen.