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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


FAMIGLIA ED EDUCAZIONE: la sfida dell’educazione, oggi
Istituto S. Orsola
22 marzo 1996
Incontro promosso dall’A.Ge.S.C.

 Vorrei cominciare la mia riflessione dalla seconda parte del titolo propostomi: la sfida dell’educazione, oggi. Oggi, l’educazione è una sfida? In che senso? Rivolta a chi? Cercherò di rispondere a queste domande nel primo punto e poi, nel secondo, verificare se la famiglia è in grado di raccogliere la “sfida dell’educazione”.

1. La sfida dell’educazione, oggi

 Educare significa introdurre nella realtà. Tutte le tappe dell’educazione sono segnate da questo processo. Si pensi al momento della nascita: da una realtà certo stupenda, ma ristretta, quale è il corpo materno all’universo. Si pensi al momento del passaggio dall’infanzia all’adolescenza: da una realtà di forte identificazione coi genitori all’affermazione di se stessi. E’ come vedete, un progressivo entrare nell’universo dell’essere che ci circonda: “lo gran mare dell’essere”, direbbe Dante.
 Possiamo anche constatare un altro fatto: ciascuna di queste tappe è accompagnata da una profonda crisi spirituale della persona. Sappiamo oggi più di ieri che il momento della nascita è un vero e proprio trauma per la persona. E tutti sanno qualcosa sulla “crisi adolescenziale”. Come si spiega questo fenomeno che, data la sua costanza, assume il carattere di una legge dello sviluppo della persona?
 Una persona che entra in una nuova tappa della vita, ha un senso di “timore e tremore” per due ragioni fondamentali: da una parte ogni persona porta dentro di sé un desiderio di beatitudine, che è inestinguibile, dall’altra parte, la novità della realtà in cui entriamo ci fa pensare che essa potrebbe smentire il nostro desiderio. Per cui si deve passare fra la Scilla di chi non vuole mai uscire da se stesso per paura, e la Cariddi di chi rinuncia a se steso per un supposto senso della realtà. Gesù ha parlato di questo quando ha detto che il grano di frumento caduto in terra, resto solo se non muore ed anche che perdere se stesso per guadagnare il mondo intero, è un cattivo affare. S. Agostino dice che esiste un odio a sé, che in realtà è un vero amore di sé e che esiste un amore di sé, che in realtà è un odio a sé.
 Il compito dell’educazione comincia a delinearsi: introdurre nella realtà significa mantenere sempre viva la tensione fra il proprio desiderio e la realtà. Può suonare una formulazione astrusa e dunque irreale. Vi chiedo la pazienza di un po’ di attenzione. Il contenuto di quell’affermazione risulta chiaro se consideriamo che cosa accade quando l’educazione di una persona fallisce.
 Il primo evento è il flagello della droga: è la volontà di non entrare mai nella realtà, di vivere in una allucinazione permanente. E’ la fuga dalla realtà.
 Il secondo evento è quello di una cosiddetta “sottomissione alla realtà” che in realtà è la dichiarazione di rinuncia ad ogni ideale, in un grigiore annoiato ed indifferente.
 Ma è già ora che ci chiediamo: come si può introdurre una persona nella realtà? Cioè: come si può educare?
 Partiamo da una constatazione molto profonda, ma assai semplice, poiché essa descrive una delle più grandi esperienze umane: l’esperienza dell’amore. L’amore è qualcosa di paradossale. Mai la persona umana si “sente” se stessa, pienamente realizzata come quando ama. Eppure, in quel momento essa non si appartiene più: non è più di se stessa, perché precisamente ama in quanto dona se stessa. L’amore ci fa capire la verità più grande sulla persona umana: la persona umana realizza se stessa nel dono di se stessa. Non esiste che un modo di realizzare se stessi: il dono di sé.
 Ma questa straordinaria esperienza ci fa capire anche qualcosa d’altro di molto profondo. Niente è più “libero” del dono di sé che una persona fa alla persona amata: libero nel senso che essa esprime nel dono di sé un auto-dominio ed un auto-possesso superiore ad ogni costrizione. Ma nello stesso tempo, niente è più “necessitante” dell’amore. Che cosa è questa “necessità” che sente in sé colui che ama? In fondo egli dice: tu “meriti” niente di meno che il dono di me stesso. Cioè: l’unico modo adeguato di riconoscere il tuo valore è il dono. Ora l’adeguazione della persona alla realtà si chiama verità. Dunque: nell’amore l’uomo è supremamente libero perché è nella verità. E’ libero perché riconosce la realtà. E’ se stesso perché esce da se stesso; esce da se stesso perché riconosce la realtà.
 Ho cominciato questo primo punto della mia riflessione, dicendo: educare significa introdurre nella realtà. Spero che ora risulti più chiaro il suo contenuto: significa aiutare la persona ad uscire dal chiuso del suo mondo di sensazioni soggettive per avvicinarsi alla realtà, che è così come è senza di noi.
Questo “esodo” è compiuto quando la persona è capace di amare: l’amore è il riconoscimento  perfetto della realtà più grande (più reale) che esista, la persona.
 Perché, allora, educare è una “sfida”? Lo è da un duplice punto di vista, uno (diciamo) strutturale ed uno (diciamo) congiunturale. Cioè l’atto educativo è per sua natura una sfida e lo sarà sempre, come lo è sempre stato. Ma, l’atto educativo è una sfida soprattutto oggi.
 Per sua natura, l’atto educativo è una sfida lanciata dall’educatore alla libertà della persona che si sta educando. Come ho già detto, infatti, si tratta di fare uscire la persona dal chiuso dei propri interessi, gusti soggettivi: sfidare la libertà della persona a divenire veramente “principio delle proprie scelte”. A passare da un agire puramente spontaneo ad un agire veramente libero. Proviamo a guardare la cosa più in profondità. Che cosa vogliamo veramente ed ultimamente è il piacere, lo star bene? Se è così, la persona umana non è niente più che una pura spontaneità. Ma noi vogliamo la realtà. Se non siamo malati o drogati, non vogliamo un’euforia illusoria, ma una felicità che poggi sulla realtà.
E’ la sfida lanciata alla libertà.
 Ma questo ha un’implicazione di straordinaria importanza. Voglio partire ancora una volta da un esempio. Una persona che ama la musica, godrà certamente nell’ascoltare sia Bach che Beethoven e conclude che in fondo è ugualmente  bello ascoltare sia l’uno che l’atro. Chi li conosce davvero entrambi, resterà semplicemente ... esterrefatto di fronte a costui. Egli sa che ci sono differenze fondamentali: che non è solo questione di gusto. Ma tutto questo è frutto di studio. Volere la realtà, significa volerla come essa è. Come essa è? quando l’uomo vuol rispondere a questa domanda, comincia a compiere una attività che si chiama “pensare” e che si conclude nella “verità”. Dunque non ci può essere libertà senza pensiero: il “pensare” è la radice della libertà. E la libertà consiste nella sottomissione alla verità. E l’educatore sfida la persona ad essere veramente ragionevole, cioè a pensare e non semplicemente a “sentire”.
 Insomma: l’educazione, in fondo, è una sfida rivolta alla persona perché diventi se stessa.
 Non sarà difficile ora vedere come oggi questa sfida educativa sia incredibilmente accresciuta. Per quale ragione? perché l’idea di persona umana veicolata dalla cultura attuale è la negazione dei due presupposti base di ogni vera educazione. Il primo è la negazione che essere liberi sia più che essere spontanei; il secondo è la negazione che ci sia una verità, che ci sia una costituzione immutabile della realtà: che ogni opinione valga l’altra, anche se contraria. In questo contesto, che cosa significa educare? più nulla. E nei fatti questa è la situazione.

2. Famiglia ed educazione

 Vorrei ora rispondere alla domanda se la famiglia oggi è in grado di raccogliere questa sfida educativa.
 La situazione della famiglia nei confronti della “sfida educativa” è singolare. Da una parte, bisogna affermare che non solo la famiglia è in grado di raccogliere questa sfida, ma è l’unica realtà in grado di farlo. Dall’altra parte, la famiglia può essere privata di questa capacità. Vorrei ora brevemente riflettere su questi due punti.
 Solo la famiglia è in grado di raccogliere questa sfida. Essa è il luogo in cui la persona umana può vivere quell’esperienza fondamentale che potremmo chiamare della “fiducia originaria”. E’ l’attitudine di apertura alla realtà che contraddice pienamente sia l’idea di una libertà come puro spontaneismo sia l’idea del pensare come misura della realtà. Perché solo la famiglia è in grado di offrire questa esperienza? Perché nella famiglia la nuova persona è accolta nel suo valore puro e semplice. E così, reciprocamente la nuova persona incontra la realtà non come ostile, ma come accoglienza. “La madre è al principio del mondo del bambino, mondo nel quale egli vive una relazione simbiotica in cui non è neppure cosciente della differenza fra sé ed il mondo. Per tutta la vita il bambino vivrà l’essere secondo l’originaria temperatura emotiva con cui avrà vissuto la sua relazione con la madre. L’essere, l’altro, il mondo verrà riconosciuto come dimora accogliente, carica di positività, originariamente e fondamentalmente benevola. Se questa esperienza non fosse concessa, alla persona umana è ostacolata la percezione della fondamentale verità metafisica che l’essere è bene.
 Ma d’altra parte, la famiglia può essere privata di questa capacità, se essa si trova a vivere in un contesto sociale che o la ignora o la ostacola di fatto. In questo caso infatti, essa non può adempiere alla sua fondamentale funzione educativa. Essa è ignorata, quando di fronte allo Stato esiste solo l’individuo: quando non si riconosce che la persona è sempre dentro una famiglia. Si veda per esempio  la politica fiscale.

Essa è ostacolata, quando non le si riconosce più il suo primato nell’ambito educativo. Primato significa che essa detiene il diritto originario e insurrogabile dell’educazione della persona. Significa, di conseguenza, che ogni altro soggetto educativo è al servizio di essa.
 So bene che dire queste cose oggi sembra di raccontare una favola. Ma dobbiamo essere coscienti di combattere una battaglia giusta. Non solo, ma uno dei fondamentali criteri in base ai quali compiere la nostra futura scelta elettorale deve essere la libertà dell’educazione.
 

CONCLUSIONE
 
La crisi educazionale è senza precedenti per la sua gravità. La certezza che deve orientarci è che niente e nessuno potrà spegnere nel cuore umano il bisogno di educazione. E’ necessario ricostruire su questa certezza un forte impegno associativo delle famiglie: per la ricostruzione dell’uomo.