home
biografia
video
audio
english
español
français
Deutsch
polski
한 국 어
1976/90
1991/95
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


VEGLIA DI PENTECOSTE 1999
Catechesi ai giovani

Carissimi,

iniziamo col ripercorrere brevemente il cammino che abbiamo fatto quest’anno. Abbiamo voluto capire, avere un’intelligenza vera di ciò che significa amare.

E’ necessario avere quest’intelligenza? E’ necessario sapere la verità sull’amore? E’ lo stesso che chiederci se è necessario sapere se vivere ha un senso e se sì, quale è questo significato. Non meravigliatevi di questa equivalenza che ho istituito fra "vivere" ed "amare". Questo infatti è stato il punto centrale, o uno dei punti centrali, della catechesi di quest’anno: vivere significa amare. Nella sua prima lettera, l’apostolo Giovanni ha scritto: "noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte" (1Gv 3,14). "Chi non ama rimane nella morte": anche se fisicamente continua a vivere ed anche se riesce a trovare dei momenti che gli danno l’illusione di vivere non solo fisicamente.

Proviamo allora a capire perché vivere significa amare. Certamente, si può vivere in tanti modi e non ogni modo di vivere significa, equivale ad amare. E qui si pone la prima domanda, quella fondamentale ed originante, sulla quale non mi stancherò mai di richiamare la vostra attenzione: quale è il modo vero, il modo giusto di vivere così da non "consumare" la propria vita? Se tu usi un orologio come fermacarte, tu lo consumi, poiché lo usi ben al di sotto delle sue possibilità: era fatto per ben altro e un qualsiasi peso poteva adempiere quella funzione. E la vita, la tua vita "per che cosa è fatta"? la puoi "usare" al di sotto delle sue possibilità? Sarebbe una stoltezza inqualificabile.

Ma consentitemi anche un’altra osservazione, prima di riprendere il filo delle nostre catechesi. Ho parlato di un modo vero di vivere la nostra vita; ho parlato di un modo giusto di vivere la nostra vita. Ora, voi capite bene che dobbiamo sapere la verità della vita; dobbiamo volere la giustizia della vita. Ma per sapere dobbiamo fare uso della nostra ragione; per volere dobbiamo fare uso della nostra libertà. La nostra ragione e la nostra libertà sono le due sorgenti della nostra esistenza. Se tu le spegni, se tu non vigili perché nessuno ti impedisca di usarle, non puoi vivere nel modo vero e giusto la tua vita. Siate ricercatori appassionati della verità; siate custodi gelosi della vostra libertà. Non accontentatevi mai di ciò che è dato per scontato; diffidate di ogni proposta che non richieda un esercizio intenso di libertà suprema per viverla. La peggiore schiavitù in cui potete cadere voi è quella di confondere spontaneità e libertà: anche gli animali sono spontanei, ma non liberi. La peggiore schiavitù in cui la cultura in cui viviamo cerca di farci cadere è quella di farvi rinunciare all’uso della vostra ragione nella misura intera di tutte le sue possibilità. Non è forse stato scritto che il compito dell’educazione dei giovani è di aiutarli a convivere con la noia e ad adattarci all’ingiustizia? Nelle nostre catechesi voglio aiutarvi precisamente al contrario: a non abituarvi mai ad un’esistenza abitata dalla tristezza del cuore, dalla noia. Anche quella che si esprime nel restare permanentemente fuori di se stessi. Da dove comincia la rinuncia ad essere liberi? Quando si estingue il gusto della libertà? Quando si comincia a perdere il gusto della differenza. Prestatemi attenzione: il punto è importante.

La vera chiarezza nella vita, il sapere la verità sulla esistenza comincia se sappiamo distinguere, differenziare il valore delle cose. Se per noi tutto, alla fine, ed il contrario di tutto ha lo stesso valore, noi saremo portati a fare le nostre scelte sulla base delle reazioni emotive o di chi ha il potere dei mass-media. E la vera differenza fra le "cose" non consiste nella differenza fra "ciò che mi piace – non mi piace" [= mi procura – non mi procura piacere], e/o nella differenza fra "ciò che mi è utile – ciò che mi è dannoso". Questa differenza la sanno cogliere anche gli animali. La vera differenza è fra "ciò che è vero - ciò che è falso", fra "ciò che vale in sé e per sé – ciò che non vale in sé e per sé". E’ questa differenza che ci fa essere veramente liberi; e questa differenza la sa scoprire solo una persona che non rinuncia ad usare la sua ragione fino in fondo. Senza censurare mai nessuna domanda. Senza pre-giudicare come devono essere le cose, imponendo noi alla realtà la nostra misura.

Se mi avete seguito, ora capite tutto il peso della domanda da cui siamo partiti: quale è il modo vero, il modo giusto di vivere, così da non consumare la propria vita? Perché, voi ora lo capire, la domanda implica che ci sia un modo falso di vivere, cioè una vita che è tale solo in apparenza. La domanda implica che ci sia un modo ingiusto di vivere, cioè una vita non buona e non quindi attraente. Ora che cosa noi abbiamo cercato di capire durante la catechesi di quest’anno? che il modo vero, il modo giusto di vivere, così da non consumare la propria vita, è uno solo: AMARE. Fare cioè della propria vita un atto continuo di amore: questa è la vita vera, questa è la vita giusta. Lo avete sentito nella testimonianza del pastore della Chiesa, degli sposi, delle vergini consacrate a Cristo. E lo risentirete quando, fra poco, andrete in tre luoghi della nostra città per incontrare queste esperienze.

La parola biblica dettaci da Giovanni è molto chiara "noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i nostri fratelli. Chi non ama rimane nella morte". Riflettiamo seriamente, anche se brevemente su queste parole.

"Chi non ama rimane nella morte". Ecco, vedete che si può vivere solo in apparenza, ma in realtà si è morti, morti nel cuore. Morti nella nostra libertà, morti nella nostra ragione. E ciò succede quando non si ama. Ma l’apostolo dice qualcosa in più.

"Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita". Noi sappiamo: dunque ha fatto veramente l’esperienza del passaggio dalla vita falsa che in realtà è morte alla vita vera. Egli cioè non ha solo conosciuto, saputo la differenza fra la morte e la vita. Ha vissuto questa differenza, per cui parla per esperienza. Quando è successo questo passaggio? Come è successo? Lo narra nel suo Vangelo (cap. 1,35-42). E’ successo perché è accaduto un incontro vero: Gesù li ha guardati, li ha invitati a casa sua, restarono con lui diverse ore. Ed ormai vedono subito gli altri, Andrea vede suo fratello Simone, in un modo diverso.

Carissimi giovani: è nell’incontro con Gesù che voi passate dalla morte alla vita. E’ l’incontro non è una teoria; non è una dottrina, non è un’idea. E’ un fatto che accade imprevisto ed imprevedibile, che quando avviene ti cambia nel profondo: si nasce in quel momento. Forse chiederete: e dove posso incontrare Gesù? non pensate a chissà quali straordinarie "esperienze religiose". Esistono "luoghi" e "persone" che obiettivamente vi consentono di incontrare Gesù. Sono i sacramenti; sono i suoi discepoli [i sacerdoti che di Cristo sono "segno visibile" in modo unico; i suoi testimoni]. Rimani con Cristo: tu gli puoi parlare nella preghiera; tu puoi amarlo, perfino aiutarlo. Quando aiuti chi ha bisogno, è Lui che aiuti.

Ma che cosa succede nell’incontro con Cristo di così unico da farci nascere nella vita vera? Lo dice ancora Giovanni, questa volta nel suo Vangelo: Gv 20,19-22a. Gesù "alitò su di loro". Gesù alita su ciascuno di noi. E’ il suo respiro, è il suo stesso Spirito che ci dona. Ci dona cioè quello che ha di suo in modo unico: che cosa c’è di più proprio, di più intimo in ciascuno di noi del nostro spirito? Lo Spirito alitato su ciascuno di noi introduce in ciascuno di noi gli stessi sentimenti che sono in Gesù: il suo stesso Amore. Noi siamo resi capaci di amare come Gesù ha amato. Ecco perché quando lo incontriamo passiamo dalla morte alla vita, perché siamo resi capaci di amare: egli alita su di noi. La sua vita passa nella nostra morte e ci fa risorgere: risorgere da un’esistenza ridotta ad un vuoto nomadismo, dal grigiore di una quotidianità insignificante.

Le modalità fondamentali in cui si attua la capacità di amare le abbiamo sentite testimoniare: è l’amore del Pastore che dona la sua vita per i suoi fedeli; è l’amore degli sposi che sono capaci di amarsi per sempre fino al punto di divenire cooperatori dell’amore creativo di Dio; è l’amore delle vergini consacrate che donandosi a Cristo con cuore indiviso, sono capaci di amare ogni persona come fosse l’unica.

Questa sera chiedi allo Spirito che ti illumini circa la modalità in cui desidera che tu esplichi la tua capacità di amare.

Ho terminato. Riconosca ciascuno questa sera la propria dignità di persona. Non sei destinato alla morte, perché non sei stato fatto per odiare, ma per amare.