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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


SS: Corpo e Sangue di Cristo
Piazza Maggiore, 22 maggio 2008


1. "Mosè parlò al popolo dicendo: ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere … nel deserto". Cari fratelli e sorelle, il cammino di Israele nel deserto è stato l’itinerario che lo ha condotto "dalla condizione servile" alla condizione di libertà. È stato, se così possiamo dire, il periodo di gestazione di un popolo.

Durante quel periodo, durante il passaggio dalla schiavitù alla libertà, il popolo è stato nutrito "di manna sconosciuta", e ristorato da "acqua sgorgata da roccia durissima". È stato cioè sostenuto da un cibo e da una bevanda divini. Ha potuto compiere il cammino di liberazione perché fu il Signore stesso a percorrerlo con il suo popolo.

Mosè esorta Israele a custodire la memoria di tutto questo, a non dimenticare mai che deve la sua libertà a questa presenza operante del Signore; che la sua libertà non è frutto di abilità politica dei capi o di coraggio militare del suo esercito, ma è dono di Dio.

Miei cari fratelli e sorelle, l’apostolo Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto, e riferendosi proprio al cammino di Israele nel deserto, insegna: "Tutte queste cose accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi" [1Cor 10,11].

Quanto ci è narrato da Mosè era la prefigurazione di quanto ci è narrato nel Vangelo appena proclamato. Anche a noi che siamo il popolo di Dio è dato un pane "disceso dal cielo", che ci sostiene nel nostro cammino verso la pienezza della vita. Di che pane si tratta? Riprendiamo in mano la pagina santa del Vangelo.

"Io sono il pane vivo disceso dal cielo". Nel nostro cammino verso la vita noi siamo nutriti da Gesù stesso. Non in senso metaforico. Non si tratta solo di accogliere Gesù e la sua parola colla fede. Questo pane di cui si parla è la sua carne e questa carne bisogna realmente mangiarla. Bisogna realmente mangiarla, come Israele nel cammino del deserto dovette mangiare la manna.

E la ragione è la seguente: "se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita". La vita divina ha preso dimora nella carne, nel corpo e nel sangue del Verbo Incarnato. Non altrove; in nessun altro luogo. È necessario dunque entrare in contatto fisico col corpo e sangue di Gesù; consumare la sua carne, farla diventare nostro nutrimento.

In conseguenza avviene come un misterioso ma reale "metabolismo all’inverso". Non siamo noi a trasformare il cibo in noi stessi, ma è il cibo – il corpo ed il sangue di Gesù – che ci trasforma in Sé. Pertanto, "chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me" dice il Signore "ed io in lui".

2. Cari fratelli e sorelle, Mosè nella prima lettura parla d’un uscita di Israele "dal paese d’Egitto", di un passaggio "dalla condizione servile" alla condizione libera.

Gesù nel santo Vangelo parla di un passaggio dalla morte alla vita, ad una "vita eterna".

Esiste una profonda armonia fra i due insegnamenti. Possiamo coglierla attraverso quanto scrive Giovanni nella sua prima lettera: "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte".

Il primo che ha vissuto il passaggio dalla morte alla vita è stato Gesù. Avendo egli sopportato la sua morte come un atto di amore, egli non poteva vedere la corruzione. La sua carne non poteva, non doveva conoscere la corruzione del sepolcro, perché era stata donata in un atto insuperabile di amore, sulla croce.

È questa carne totalmente trasformata dall’amore che ci è donata in cibo. In essa e mediante essa noi passiamo dalla morte alla vita perché siamo liberati dal nostro egoismo, e resi capaci di amare: "chi non ama rimane nella morte". La vera libertà è la libertà condivisa nella comunione reciproca. Siamo liberi nella misura in cui siamo capaci di donarci; usciamo dal nostro destino di morte se siamo capaci di amare.

È quanto accade quando mangiamo la carne di Cristo glorificata dall’amore. Egli ci fa passare dalla morte alla vita; ci introduce nella vera vita. Spesso il nostro cammino percorre un "deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, e senz’acqua", e rischiamo di morire nella prigione del nostro io e della nostra solitudine. L’Eucaristia è il cibo che ci sostiene e ci conduce alla vera libertà, alla vita: "buon Pastore, vero pane, … nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi".