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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Ordinazione di sei diaconi permanenti
Cattedrale di S. Pietro, 15 febbraio 2009


1. Cari fratelli e sorelle, il testo del libro del Levitico che abbiamo ascoltato nella prima lettura, esprime in modo drammatico come veniva trattato e considerato chi era colpito dalla lebbra. La lebbra è la morte civile perché costringe l’ammalato a rompere ogni legame sociale: "se ne starà solo, abiterà fuori dall’accampamento". La lebbra è la devastazione della persona perché degrada la sua dignità: "il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto; si coprirà la barba ed andrà gridando: immondo! immondo!".

Il testo del Levitico si presta anche ad una lettura più profonda. La condizione del lebbroso non è forse una metafora vivente della condizione dell’uomo che vive nel peccato? Se il peccato è il rifiuto libero e consapevole di obbedire alla santa Legge del Signore e quindi di rimanere nella sua Alleanza, esso non distrugge solo il giusto rapporto con Dio. Al tempo stesso, rompe il rapporto con gli altri, chiudendo l’uomo in una solitudine infrangibile. Non solo, ma chi commette il peccato, crea anche in se stesso divisione.

Cari fratelli e sorelle, la pagina evangelica narra la guarigione di un lebbroso compiuta da Gesù.

Se vi ricordate, l’evangelista Marco riassume tutta la predicazione di Gesù nel modo seguente: "il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" [1,15]. Gesù è colui che fa accadere in mezzo a noi "il Regno di Dio", l’azione cioè potente di Dio che si prende cura dell’uomo. Nelle letture evangeliche delle scorse domeniche abbiamo potuto costatare che "il Regno di Dio" – la cura che Dio si prende dell’uomo – si manifesta nella guarigione degli ammalati. Abbiamo letto domenica scorsa: "gli portavano tutti i malati e indemoniati… Guarì molti che erano afflitti da varie malattie" [1,32.34]. Oggi il Vangelo narra l’incontro con Gesù di un lebbroso: il malato più grave, per quei tempi. Come avviene l’incontro? Ogni particolare è importante.

"Mosso a compassione". Cari fratelli e sorelle, queste parole ci introducono nel mistero più profondo della nostra redenzione: nella sua sorgente ultima. L’atto redentivo ha la sua sorgente nella "compassione" che Dio sente per l’uomo. E la compassione di Dio si manifesta ed è presente nel cuore e nell’agire di Gesù. Ritroveremo ancora questa commovente rivelazione più avanti nel Vangelo di Marco, nella descrizione del miracolo della moltiplicazione dei pani: "e sbarcando vide una gran folla ed ebbe compassione di loro" [Mc 6,34].

"Stese la mano, lo toccò". La compassione di Dio verso l’uomo raggiunge il suo vertice quando il Verbo facendosi uomo, ha "toccato la nostra lebbra". Egli "non ha ritenuto un tesoro da custodire gelosamente la sua uguaglianza con Dio", ma avendo gli uomini "in comune la carne ed il sangue, anch’egli ne è divenuto partecipe". Gesù poteva guarire il lebbroso, poteva redimere l’uomo, "mantenendo la distanza": colla sola sua Parola. Non ha fatto così, ma "mosso a compassione, stese la mano e lo toccò e gli disse: lo voglio; guarisci". È il contatto fisico e la Parola che guarisce: non l’uno senza l’altro. Ogni dono di redenzione passa attraverso l’umanità del Verbo incarnato. Proprio in quanto uomo, Cristo è il mediatore della nostra salvezza, nella sua umanità e mediante la sua umanità. "Tutta l’umanità di Cristo, la sua anima cioè ed il suo corpo, agisce in ogni uomo" [S. Tommaso d’A. 3,q.8,a.2c].

La salvezza è quindi un evento che accade anche fisicamente. Ecco perché, carissimi, non è il solo ascolto della Parola che ci salva, ma il cibarsi del Corpo e del Sangue di Cristo: Parola e Sacramento.

2. Cari fratelli e sorelle, oggi la nostra Chiesa gode perché ancora una volta il suo Sposo le fa dono di nuovi diaconi permanenti.

Cari diaconi, la parola di Dio appena proclamata ed ascoltata è particolarmente adatta a farvi capire il servizio che voi assumete da questa sera nella Chiesa.

Mediante l’imposizione delle mani voi diventate partecipi, sia pure nel grado proprio del diaconato, del servizio redentivo di Cristo. Di questo servizio Cristo vi ha rivelato l’intima natura attraverso il miracolo della guarigione di un lebbroso. Quale suggestiva icona del diaconato è questa scena evangelica!

Il vostro servizio ha una sorgente da cui scaturisce: la compassione per l’uomo ferito, umiliato, oppresso, sofferente. Ma non una compassione qualsiasi. È la stessa compassione che dimora nel cuore di Cristo, e che scaturisce dalla insondabile profondità del Padre. E così accadrà un miracolo dentro a questo mondo sempre più devastato: potrete far sentire al fratello che avvicinate il "calore" stesso di Dio.

Ma la pagina evangelica vi insegna anche il metodo che dovete seguire: "stese la mano, lo toccò". È il metodo dell’incarnazione. Non abbiate paura di "sporcarvi le mani": sedetevi a tavola coi peccatori; condividete il destino dei vostri fratelli; faccia piaga nel vostro cuore ogni miseria umana.

È, alla fine, questo il bisogno più profondo dell’uomo: sentirsi amato. Non c’è povertà più grande e miseria più tragica per una persona: non essere amato. "Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò".