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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


MATRIMONIO E FAMIGLIA: UNA CONNESSIONE SPEZZATA
Prolusione inaugurale Anno Giudiziario Tribunale Ecclesiastico Regionale Flaminio
Bologna, 20 febbraio 1997

"Uomo e donna li creò ... E poi disse: crescete e moltiplicatevi" (Gen. 1,27-28). La solenne affermazione biblica pone in chiara luce il rapporto esistente fra matrimonio e famiglia. Il matrimonio sussiste nella uguaglianza, diversità e reciprocità dell’uomo e della donna: così uguali da rendere possibile una comunione reale e personale, così diversi perché nel loro reciproco richiamarsi si completano a vicenda. Ma la coppia uomo-donna, il matrimonio, non esiste per chiudersi in se stesso: per la sua intima natura, l’amore coniugale è orientato al dono della vita sia in senso fisico che spirituale. E così, benché matrimonio e famiglia siano due realtà distinte, ciascuna dotata di valori propri, tuttavia sono fra loro intimamente collegate e si sostengono a vicenda.

Ma oggi non è mia intenzione riflettere su questo intimo legame nella sua luce diciamo "ideale" (che non significa irreale), ma prestare attenzione ad un fatto che come studioso vedo di drammatica problematicità, e come pastore carico, gravido di incalcolabile potenza negativa per la persona umana. Quale fatto? La progressiva sconnessione fra matrimonio e famiglia.

Vorrei riflettere su questo fatto dai seguenti due punti di vista. Dapprima, vedere come questa sconnessione è andata progressivamente imponendosi nella coscienza e nella cultura dell’uomo occidentale. In secondo luogo, vedere quali conseguenze questa sconnessione produce nel vissuto umano.

1. LA SEPARAZIONE

L’intimo legame fra matrimonio e famiglia, di cui è testimone il testo biblico, si regge sulla percezione spirituale di alcune verità antropologiche e valori etici, le quali precisamente convergono verso l’affermazione della connessione, non solo di fatto, ma di diritto fra matrimonio e famiglia. Se e quando queste verità sulla persona umana non sono più affermate e questi valori vissuti, inevitabilmente anche la connessione fra matrimonio e famiglia si scioglie.

Quali sono queste verità e valori? Sarei tentato di dire che è una sola, la verità ed il valore della sessualità umana. Ma questa affermazione, nella sua sinteticità, non dice molto. E’ preferibile, anche se più monotono, un procedimento analitico.

Che la sessualità umana abbia in sé un duplice valore, non è difficile da vedere, almeno per chi guarda la realtà con occhi semplici. La sessualità umana è in primo luogo linguaggio della comunione interpersonale. Essa, cioè, è il "segno" attraverso cui la persona esprime il dono di se stessa all’altra: è il linguaggio dell’auto-donazione. Ma il linguaggio che è la sessualità, non è solo espressivo. Esso è anche realizzativo (performative language). Cioè: è capace di realizzare ciò che dice. Nel momento in cui la sessualità dice il dono che la persona fa di se stessa, realizza anche questo dono stesso. Ma dono di che cosa? Dono della persona stessa. Si può donare il proprio avere; si può donare il proprio essere: il proprio io stesso. La donazione può essere auto-donazione. La sessualità umana è il linguaggio che dice - realizza l’auto-donazione della persona. Come può essere possibile questo? E’ possibile in quanto la sessualità non appartiene all’avere della persona; è una dimensione della persona stessa. Esiste cioè una connessione fra la persona e la propria sessualità, tale per cui la persona è intimamente sessuata (ogni persona è uomo-donna) e la sessualità è sempre personale. Non possiamo ora dare la spiegazione filosofica di questo fatto. Teniamo, dunque, ben presente che esiste una connessione fra sessualità e persona, tale per cui la sessualità è la persona nella sua capacità di auto-donazione. E’ la prima connessione in cui ci siamo imbattuti: la connessione fra persona e sessualità.

Vorrei ora richiamare la vostra attenzione su una delle esperienze più misteriose della nostra esistenza umana, esperienza sulla quale Platone scrisse per primo pagine rimaste insuperabili. Che cosa spiega la profonda, reciproca attrazione fra uomo e donna? E’ un duplice fatto. Il fatto, in primo luogo, che la femminilità/mascolinità non sono determinazioni puramente biologiche. Esse connotano ricchezze spirituali di incomparabile preziosità: il mondo senza le donne sarebbe molto povero dal punto di vista spirituale, così come un mondo senza uomini. L’altro fatto è che né l’uomo né la donna esauriscono l’intera ricchezza del nostro essere persone umane, ma solo, di conseguenza, la loro unità è in grado di esprimere tutta l’intima ricchezza dell’umano.. E’ questo che spiega la profonda, misteriosa reciproca attrazione che, precisamente da Platone in poi, si chiama eros.

La dimensione erotica della sessualità pone però un problema etico assai grave. Essendo essa il segno della povertà della persona, la dimensione erotica della sessualità spinge la persona al possesso dell’altra. L’eros trasforma la sessualità in un bisogno ed il bisogno chiede, urge il suo soddisfacimento. Sennonché, l’oggetto (si fa per dire) del bisogno è la persona, in questo caso. E nel momento in cui tu tratti una persona come ciò di cui hai bisogno per soddisfare te stesso, in quel momento hai già perduto la persona stessa. L’hai ridotta a qualcosa . L’unica via è che le persone si incontrino nel dono reciprocamente fatto ed accolto. Questa via è l’amore. Esso solo dà compimento all’eros. Abbiamo così scoperto una seconda connessione: la connessione fra amore come auto-donazione ed eros come ricerca del proprio compimento.

Ma la sessualità non è solo linguaggio che dice-realizza la persona nel suo donarsi all’altra. Essa è capacità di porre le condizioni perché sorga una nuova persona umana. Il fatto che la sessualità umana sia e comunione inter-personale e capacità di dare la vita, è in sé e per sé privo di significato? Cioè, la compresenza nella stessa sessualità umana di queste due capacità (dire-realizzare il dono; donare la vita) è un dato puramente di fatto oppure è un dato carico di significato e di valore? La domanda non è oziosa. Se è vera la prima ipotesi, distruggendo quel dato (separando cioè le due capacità) non faccio nulla di male. Se è vera la seconda ipotesi, distruggendo quel dato io sopprimo un bene.

Che sia vera questa seconda ipotesi, si può mostrare in molti modi. Mi limito ad una sola riflessione. La persona umana, ogni persona umana chiede in ragione della sua stessa dignità, di essere voluta in se stessa e per se stessa. Cioè: di essere amata. Quale è l’attività eticamente degna di far entrare nell’universo dell’essere una nuova persona? Quella dunque dell’amore.

Si può giungere a questa stessa conclusione "per contrarium". L’unica via, diversa da questa, sarebbe costituita da un’attività umana, quella di fatto cui si ricorre nella fecondazione in vitro, che avrebbe il profilo della "produzione". Ora si producono le cose, non le persone.

Che tutta la procreatica artificiale sia governata dalla logica della "produzine" è stato ampiamente confermato da tutto ciò che è accaduto dopo la prima concezione in vitro. Perfino il vocabolario stesso è inequivocabile. Non si parla di "embrioni sovra-numerari", per esempio? Che senso ha qualificare così delle persone umane se non che non servono allo scopo?

Abbiamo così scoperto una terza connessione: la connessione fra capacità unitiva della sessualità umana e capacità procreativa.

Se ora ci chiediamo: quale è il modo eticamente degno di realizzare la propria sessualità? Non c’è dubbio che sarà quello nel quale quella triplice connessione è salvata e realizzata. E quale è questo modo? Dal punto di vista puramente umano, è il modo matrimoniale. Esiste anche un altro modo, nella prospettiva della fede, quello verginale: di questo non parliamo. Perché il modo matrimoniale? Non è poi tanto difficile a mostrare.

L’auto-donazione della persona esige di essere definitiva ed integrale. Ora solo una comunione-coniugale orientata al dono della vita ha questa proprietà. Dunque, la forma coniugale salvaguardia e promuove la connessione fra sessualità e persona, la connessione fra eros ed amore, la connessione fra capacità unitiva e capacità procreativa insite nella sessualità. Ma il dire "comunione coniugale / orientata al dono della vita" equivale a dire che matrimonio e famiglia devono essere fra loro connesse.

Che cosa è successo e che cosa sta succedendo nella nostra cultura occidentale? Ognuna di quelle tre connessioni è ormai andata in crisi nel vissuto, nell’ethos delle nostra società, dopo essere stata lungamente contestata sul piano teoretico.

La prima separazione, di gran lunga la più grave, è stata la separazione della sessualità dalla persona, causata dalla separazione del corpo dalla persona. Il risultato di questa separazione è stato che la sessualità ha perduto ogni serietà: ha cessato di essere "un caso serio" per trasformarsi progressivamente in gioco. La figura del Don Giovanni che a cominciare dal XVII secolo comincia a circolare nella letteratura dei popoli europei, è significativa.

Il processo della separazione del corpo dalla persona è stato un processo lungo e complesso. Mi devo limitare solo ad alcuni accenni. La tesi tomista dell’unità sostanziale della persona umana, è rimasta isolata nella cultura occidentale. Di fatto, essa non è risultata vincente nei confronti di una visione di lontane ascendenze agostiniane, secondo la quale il corpo manteneva pur sempre una alterità nei confronti della persona. Un’alterità sempre ambiguamente pensata in termine e/o metafisici e/o etici. Più semplicemente: l’innegabile esperienza di una scissione che ciascuno vive in se stesso era interpretata non solo in chiave diciamo congiunturale, ma anche tendenzialmente strutturale. A causa di questa ambiguità di fondo, il principio fondamentale dell’oggettività posto a base della scienza moderna, non trovò alcuna resistenza ad imporsi anche nella considerazione del corpo umano. Si innescò così un processo di oggettivazione del corpo (i sociologi parleranno di reificazione) in forza della quale la persona ha fondamentalmente nei confronti del corpo, la stessa relazione che ha colla natura. La considerazione naturalistica del corpo, la sua spersonalizzazione ha comportato la negazione che la sessualità abbia in sé e per sé un significato proprio, possedendo solo quel significato che le viene attribuito dalla libertà creatrice della persona.

E qui si innesta una tremenda ambiguità, che è l’ambiguità presente nel rapporto uomo-natura, ed ormai la corporeità appartiene alla natura quale si è venuto configurando in questa cultura che chiamerei della disintegrazione. Potrei esprimere questa ambiguità con una formulazione molto sintetica: o la ragione-libertà umana è una ragione-libertà senza natura o la natura è una natura senza ragione-libertà umana. Mi spiego.

Poiché la sessualità è un fatto insignificante, posso fare di essa ciò che voglio. L’unica esigenza è che se nell’esercizio della sessualità è coinvolto un altro, questi deve liberamente consentirvi. Non è vero che solo l’etero-sessualità è un esercizio umanamente degno: l’esercizio omosessuale ha la stessa dignità e merita lo stesso riconoscimento. Non è vero che esistono solo due sessualità, quella maschile e quella femminile: esiste l’uomo, e la donna, l’uomo che è relativo alla donna, la donna relativa all’uomo, la donna relativa alla donna, l’uomo relativo all’uomo.

E qui si innesta una precisa corrente dell’ideologia femminista. Essa si costruisce precisamente su due affermazioni. Il rapporto originario fra l’uomo e la donna non è un rapporto di reciprocità nell’assoluta uguaglianza della dignità, ma è un rapporto di conflitto nell’affermazione dell’uno contro l’altro. E secondo: la vocazione originaria della donna non è né la sponsalità, né la verginità, né la maternità. La donna non deve essere né sposa, ne vergine, ne madre. Ecco ciò che significa, la ragione-libertà umana è una ragione-libertà senza natura.

Ma esiste anche una visione opposta. La sessualità è pura natura che deve semplicemente essere seguita, pena l’infelicità dell’uomo. In linea di principio, ogni "regola" dell’esercizio della sessualità è da considerarsi contraria alla felicità dell’uomo, una indebita oppressione. Il relativismo della prima posizione si abbraccia coll’istintivismo naturalista della seconda e generano quel permissivismo sessuale che è caratteristico della nostra cultura.

La rottura della connessione fra sessualità e persona legittima ormai qualsiasi esercizio della sessualità, escluso quello che pensa la sessualità come dono definitivo di sé, aperto al dono della vita; escluso cioè l’esercizio coniugale della sessualità.

La seconda separazione ha rotto l’armonia fra eros ed amore. E’ questa una grave malattia spirituale, come dirò dopo.

Il terreno su cui questa separazione ha potuto impiantarsi e crescere, è stato l’ingresso nel nostro ethos occidentale di quella visione utilitaristica dell’uomo, che formulata coerentemente e compiutamente per la prima volta da T. Hobbes è risultata di fatto vincente. Per visione utilitaristica intendo quella concezione dell’uomo secondo la quale, l’uomo non dispone di una ragione egemone capace di misurare e ordinare i suoi desideri secondo specifiche virtù. Al contrario: l’uomo è portatore di desideri, passioni, interessi, alla cui soddisfazione la ragione è posta al servizio. Richiamarsi ad una verità scoperta dalla ragione e quindi ad un bene intelligibile secondo cui guidare desideri e passioni, è di fatto una indebita ed infondata limitazione dell’uomo.

Nonostante le apparenze, questa proposta antropologica anziché liberare l’uomo, lo ha ridotto ad un’esistenza senza libertà che non fosse quella di seguire i propri istinti. Lo ha cioè fatto rinunciare alla sua inesauribile tensione alla verità, al suo desiderio di bene, di bellezza, di giustizia. Nel campo della sessualità significò e significa la espulsione della sua comprensione di ogni riferimento alla verità del dono, cioè dell’amore. Rimane solo la dimensione erotica come dimensione egemone.

La separazione dell’eros dall’amore ha così legittimato una visione edonista della sessualità. Ora non c’è dubbio che una visione prevalentemente o esclusivamente edonista lavora nel senso di una separazione della sessualità dal matrimonio e, quindi del matrimonio dalla famiglia. Per quale ragione? perché una visione edonista della sessualità de-responsabilizza profondamente la persona nei confronti della propria sessualità medesima: è un esercizio individualista.

La terza separazione ha rotto il rapporto fra le due capacità insite nella sessualità, in una duplice direzione. La "nobilitazione" della contraccezione ha separato nella coscienza (non solo nel comportamento) la capacità unitiva dalla capacità procreativa. La "procreatica artificiale" ha separato la capacità procreativa dalla capacità unitiva. E così il cerchio si è chiuso. L’amore coniugale non è più orientato al dono della vita sia perché si è pensato possibile un amore coniugale vero e nel contempo chiuso alla vita, sia perché esiste un modo di "produrre" la vita, che prescinde completamente dall’amore coniugale.

Per capire la portata culturale di questa distruzione del concetto di maternità, vorrei richiamare la vostra attenzione su due fatti accaduti in questi anni.

Il ricorso alla procreazione artificiale era stato presentato come rimedio ad una sterilità inguaribile, all’interno di una coppia legittima. Esso è andato progressivamente configurandosi come la possibilità offerta a chiunque ne sentisse il bisogno, di avere un figlio. E’ appunto la logica del "dominio" sulla natura per il soddisfacimento dei propri desideri.

L’altro fatto, solo all’apparenza contrario, sul quale vorrei attirare la vostra attenzione è la nobilitazione della contraccezione. Se non esiste, se non è inscritto nella sessualità umana l’orientamento , la destinazione alla comunione interpersonale fra l’uomo e la donna per il dono della vita, sarà conquista di libertà avere la possibilità di togliere dalla sessualità umana la capacità procreativa. Le due attitudini, "il figlio ad ogni costo" e "il figlio come il male da evitare", nascono dallo steso spirito: la paternità-la maternità non sono dimensioni costitutive dell’amore coniugale. Vale a dire: paternità-maternità, amore coniugale e sessualità umana sono tre grandezze non connesse da alcuna unità interna.

E’ accaduto un fatto che penso non era mai accaduto nella storia spirituale dell’umanità: è stata mutata la definizione stessa di matrimonio-famiglia. Ora siamo in grado di vedere tutta l’ampiezza di questa mutazione. Se il matrimonio è "l’unione legittima di uomo e donna per il dono della vita", la separazione di "dono dalla vita" dalla unione legittima e dalla sessualità umana ha distrutto l’istituzione.

E logicamente si è giunti al fatto forse più decostruttivo del rapporto matrimonio-famiglia: la progressiva legittimazione-equiparazione al matrimonio e alla famiglia, di qualsiasi tipo di convivenza, anche fra omosessuali. In vari paesi sono già stati riconosciuti diritti legati alle unioni fra omosessuali, di conseguenza si sta promuovendo anche il diritto di quest’ultimi ad avere figli mediante precisamente procreazione artificiale.

La sessualità non implica la definitività perché non è dono della persona. La sessualità non implica alcuna responsabilità dell’uomo verso se stesso e l’altro. La sessualità è unitiva e procreativa solo di fatto, non di diritto. Dunque: ci può essere una unione solo per gioco o piacere; ci può essere una unione omosessuale che ha lo stesso valore di quella coniugale; sessualità - amore - procreazione non sono connessi.

Cioè: ogni legame fra matrimonio e famiglia che non sia un legame puramente di fatto è semplicemente negato. La naturalità della famiglia, l’intimo legame fra matrimonio e famiglia, così evidente ad ogni generazione della storia umana, oggi si vanno sempre più oscurando.

Questa vicenda è divenuta ormai programma politico portato avanti dalle grandi organizzazioni internazionali. Le Conferenze svoltesi a Rio, al Cairo, a Pechino e ad Istambul sono collegate e rappresentano diversi momenti di una strategia di insieme. E’ molto significativo il tentativo di introdurre un nuovo vocabolario, che esprima ormai l’avvenuta sconnessione fra matrimonio e famiglia. Faccio qualche esempio. Si preferisce non usare più il singolare "family", ma il plurale "families": si comunica così l’idea che non esiste una definizione naturale di famiglia ("many forms of family"). Si cerca di introdurre una totale liberazione dell’aborto parlando di "women’s reproductive rights" o "women’s reproductive health".

 

2. CONSEGUENZE

Vorrei ora richiamare la vostra attenzione sulle conseguenze, sulla "portata" di questa sconnessione. Non sulle conseguenze istituzionali che già si stanno realizzando, ma sulle conseguenze diciamo etiche, nel senso più profondo del termine. Riprendo e sviluppo brevemente alcuni accenni già fatti.

La separazione della famiglia dal matrimonio tocca uno dei cardini della nostra cultura, perché tocca e muta la stessa visione dell’uomo di cui quella cultura si è sempre nutrita.

La separazione della sessualità dalla persona è la punta di un iceberg: la separazione del corpo dalla persona. Questa separazione disintegra al suo interno la persona stessa e muta profondamente il rapporto con l’altro. Ogni comunicazione umana è infatti mediata dal corpo ed una visione-esperienza dello stesso che sia errata, disarticola la comunicazione fra le persone. L’esercizio della sessualità si orienterà sempre più nella logica dell’uso e del consumo di un bene utile e piacevole, senza rendersi conto che in questa logica chi è usata e consumata è la persona stessa. L’unica responsabilità che oggi, quindi, si vede nell’esercizio della sessualità è quella di evitare i danni alla salute fisica: siano ormai alla riduzione della sessualità al cibo che si mangia per saziare la propria fame. E’ l’uomo qui che è "in questione". Egli è responsabile di se stesso in quanto è responsabile della sua capacità di dono. E’ di questa responsabilità che è stato privato.

La separazione dell’eros dall’amore orienta sempre più l’esercizio della sessualità verso la logica dell’edonismo. Ora chi guarda alla realtà in quanto essa è capace/incapace di procurargli un piacere, sarà inetto a vedere la realtà stessa nel suo valore proprio.

Ma non è tanto su questa linea che voglio ora proseguire. Vorrei attirare la vostra attenzione su un fatto che reputo molto importante.

La separazione della sessualità - corpo dalla persona e dell’eros dall’amore ha impedito ed impedisce sempre più di "vedere" il significato proprio dell’essere-uomo/dell’essere-donna. Si nega la reciprocità ed in questo modo la nostra cultura si sta impoverendo, a causa della progressiva assenza da essa della femminilità. Femminilità e mascolinità sono ridotte a mere funzioni sociali oppure sono alla fine private di ogni significato.

Distruggendo la connessione fra matrimonio e famiglia, si è distrutto l’originario habitat della persona umana, in una parola.

 

CONCLUSIONE

Non è la prima volta che l’umanità è costretta a ripensare le ragioni più profonde della sua vicenda, a riscoprire profondamente la sua verità. Quale cammino percorrere?

L’ultima cosa da fare è quella di credere che tali problemi possano essere risolti solo con nuove leggi istituzionali o in modo accademico. Essi possono essere risolti solo "ritornando alla sorgente". E quale è la sorgente? È il cuore dell’uomo. "E’ nell’intimo che abita la verità": dice S. Agostino. Prima e più forte di ogni ideologia, è il desiderio che dimora nel cuore dell’uomo. E’ il desiderio di essere nella verità, la sola che genera la libertà. E’ necessario combattere senza alcuna dimissione l’errore antropologico, l’errata visione dell’uomo che ormai vuole imporsi anche a livello legislativo nazionale ed internazionale.

A me sembra che questa falsa visione dell’uomo si regga sui seguenti pilastri, che pertanto devono essere scardinati con un profondo impegno e di pensiero e di vita: la concezione individualista dell’uomo, la definizione della libertà come pura ed originaria indifferenza neutrale, la separazione fra bene e giusto.

Abbiamo cioè bisogno di testimoni dell’amore che suscitino col loro pensiero e con la loro vita, nell’uomo e nella donna sradicati dalla loro verità, la "nostalgia" di ritornare alla loro vera identità. "Non ci ardeva il cuore ...?" dicono i discepoli di Emmaus, dopo aver parlato col Signore Risorto.