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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


LA FILIAZIONE DIVINA
Adunanza per la Famiglia emiliana della Comunità dei Figli di Dio
Novembre 2005
(Documento tratto dal sito www.figlididio.it)


Ringrazio il Signore che mi ha dato finalmente la possibilità di incontrare tutta la vostra Comunità; i vostri responsabili li avevo già incontrati, ma con tutta la Comunità nel suo insieme, se non vado errato, non ci eravamo mai incontrati. Questo è un grande dono che il Signore oggi mi fa.
Vedo in voi uno dei segni di quella affezione che lega Cristo, lo Sposo, alla sua Sposa, la Chiesa, coprendola di regali, di doni, continuamente; di carismi, fra i quali – preziosissimi - come quelli del Padre don Divo Barsotti. Un ringraziamento dunque al Signore perché ci siete. Semplicemente la prima cosa che volevo dirvi era proprio questa: "ma come è bello che voi ci siate nella nostra Chiesa!".
Poi vi confido che mentre Pino Guarnieri parlava, dentro alla mia mente correva come un film, le cui scene erano tutti gli incontri che io ebbi con il Padre, dal primo che ricordo benissimo: ero giovanissimo sacerdote, ordinato da pochi anni a Tossignano; il mio vescovo mi disse: "Se vuoi venire a fare gli esercizi spirituali con noi vescovi, li predica il padre Barsotti". Io dissi: "Se mi prendete, vengo molto volentieri, anche se sono solo un piccolo prete". Dal primo incontro di allora ebbi un colloquio che durò parecchie ore, un venerdì pomeriggio con lui, e poi la guida che egli mi donò in preparazione alla mia consacrazione episcopale, quando passai dieci giorni a San Sergio assieme a lui proprio in preparazione della mia consacrazione episcopale.
Perché mi passava davanti questo? Perché nelle parole di Pino Guarnieri sentivo la bellezza e la grandezza di questo carisma che, attraverso don Divo, il Signore ha dato alla sua Chiesa. Qual è nel suo nucleo fondamentale questo carisma, che è affidato a ciascuno di voi?
È detto nel modo con cui la Chiesa vi conosce e con cui la Chiesa vi chiama: la Comunità dei figli di Dio. Qui ci sono due parole, qui sono denotate due realtà: la filiazione divina e la comunione; sono i due pilastri della vostra esperienza carismatica.

Il primo: la divina filiazione. Molti sono i modi attraverso i quali il mistero di Dio si rende intelligibile all’uomo, ma Dio ha rivelato che cosa pulsava dentro al suo cuore nel momento in cui ha voluto effondere su ciascuna creatura umana la sua paternità. Ha voluto rivelarsi come colui che voleva introdurre l’uomo dentro alla stessa vita trinitaria. Questo é la grazia, questo é la gratuità assoluta, questo é ciò che rende Dio sommamente amabile: questa chiamata che Egli compie nei confronti di ciascuno di noi ad entrare nella sua vita. I figli di Dio, la filiazione divina. Pertanto il nostro amore a Dio, il primo di tutti i comandamenti é sempre un amore di cor-rispondenza: non siamo stati noi ad amare Dio per primi, é stato Lui, e siccome ci ha amati con amore paterno, la nostra risposta è un amore filiale. Questo è il nucleo essenziale della nostra esperienza cristiana. Questo è il nucleo essenziale del vostro carisma; cioè don Divo in fondo ha voluto richiamare a questo. (I padri fondatori hanno questo scopo, lo sapete, nella storia della Chiesa: non di dirci cose nuove, ma di aiutarci a capire ciò che la Chiesa ha sempre creduto; di farcelo capire in un modo nuovo). Dunque questo é il nucleo dell’esperienza cristiana, ma la meraviglia, lo stupore cresce all’infinito quando noi vediamo come il Padre eterno ha realizzato questo suo disegno. La comunicazione della sua paternità divina é avvenuta in un modo unico ed irrepetibile (anche se, come vedremo subito, partecipabile), é avvenuta con Gesù, in Gesù. Lui - l’Uomo Cristo Gesù - é il Figlio naturale del Padre. L’uomo Cristo Gesù! Ma ci rendiamo conto di che cosa noi stiamo dicendo? L’uomo Cristo Gesù é il Figlio naturale del Padre! Lì è avvenuta la suprema comunicazione della vita di Dio ad una creatura: l’umanità di Cristo. Per cui la sua coscienza umana visse in maniera indicibile l’esperienza, umanamente vissuta, di essere Figlio naturale del Padre.
Il vangelo di Giovanni, fra i quattro vangeli, anzi fra tutti gli scritti del Nuovo Testamento apre come delle feritoie dentro questo mistero del Verbo incarnato. "Non faccio nulla da me stesso, le mie parole non sono mie…" Questa consapevolezza della filiazione divina umanamente vissuta, umanamente espressa nell’amore obbediente di Cristo fino alla croce. Ecco, il progetto del Padre di fare dono del Suo amore paterno all’uomo e la perfetta corrispondenza dell’uomo a questo amore, in Cristo si realizza in maniera perfetta.
I filosofi ci dicono che ciò che è primo in un certo genere di realtà diventa la fonte a cui partecipano tutte le cose che sono parte di quel genere. Detto in parole più semplici: se io voglio scaldarmi, devo avvicinarmi alla fonte del calore, perché là c’è il calore ed io ne partecipo, ne sento solo io i benefici. Cristo Gesù è il centro di tutto. E la mia filiazione divina è una partecipazione alla filiazione naturale del Verbo incarnato. Io sono figlio nel Figlio perché mi è stato donato lo stesso Spirito. Il Padre mi chiama ad essere figlio nel suo Figlio unigenito e io rispondo a Lui, al Padre – corrispondo a Lui – in Cristo e con Cristo e per mezzo di Cristo, nello stesso Spirito Santo.
Questo è la nostra divina filiazione, primo "pilastro" della vostra esperienza di fede.
Ditele queste cose ai vostri amici di lavoro, a vostro marito, a vostra moglie, ai vostri bambini… ditele queste cose. Perché, vedete, oggi l’uomo soffre di quella che io chiamo la "disperazione per debolezza", cioè la disperazione che si vive quando l’uomo scende di sua spontanea volontà da quel trono in cui l’ha messo Iddio, in Cristo.
Così il primo pilastro è la divina filiazione in Cristo: l’essere in Cristo, il vivere in Cristo. Questo per noi è tutto. Non abbiamo bisogno d’altro. Non abbiamo bisogno di vivere in Cristo e in più di qualcosa d’altro. No. Perché in Lui noi realizziamo la ragione per cui fin dall’eternità siamo stati pensati e voluti. "Predestinati ad essere conformi all’immagine del Suo Figlio, primogenito di tanti fratelli".

E c’è l’altra "colonna", detta dalla parola di don Divo. Io non ho mai pronunciato fino ad adesso una parola, però in realtà vi ho parlato di una realtà che normalmente viene indicata con una sola parola: la Chiesa. La Chiesa è questo: è Cristo effuso e diffuso nell’umanità.
La Chiesa è questo: è la filiazione divina naturale del Verbo incarnato partecipata agli uomini. È la risposta dell’uomo a questo amore paterno di Dio. San Cipriano allora dirà (E il Vaticano II cita questa cosa nella Lumen Gentium): "Che cosa è alla fine la Chiesa? È il popolo riunito nella unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
Così voi capite che la causa della Chiesa è la Grazia del Padre, non è l’abilità dei diplomatici, la sapienza dei teologi, la capacità organizzativa dei pastori… è la Grazia del Padre che è Gesù Cristo. Perché la Chiesa si realizza in una corrispondenza… in questo senso io devo dire: la Chiesa è Maria, colei che si è lasciata plasmare dallo Spirito Santo.
La Chiesa è questa unità, questa comunione questa com-unità.
Quindi voi capite che cosa fa uno quando in un modo o in un altro divide la Chiesa? Non si può immaginare qualcosa di più grave di questo. Perché introduce la divisione nella vita Trinitaria. Non ce la fa, lo sappiamo bene: sant’Agostino spiega bene questo: la Chiesa è una "Tunica inconsutile", la Chiesa è Una, non la si spezza. Però cosa succede quando uno cerca di dividerla? Che è lui stesso che si divide dalla Chiesa. E Agostino dice che quando tu ti dividi dalla Chiesa è come quando un uccello che non sa ancora volare cade giù dal nido. Io che son cresciuto in campagna, mi ricordo molto bene da bambino che quando alcuni uccelli cadevano giù dai nidi morivano, perché la madre nutre solo i piccoli che sono nel nido. Agostino dice: così è chi si divide dalla Comunità ecclesiale, cade giù dal nido e la madre Chiesa non lo può più nutrire e quindi muore.
Allora che cosa grave è qualunque causa di divisione nella Chiesa!

"Comunità dei figli di Dio". Per custodire questo che è il grande carisma che don Divo ha trasmesso alla Chiesa, è necessario che si ricorra ad alcuni grandi "strumenti": prima di tutto dobbiamo entrare nell’universo della Chiesa, di queste grandi realtà soprannaturali, e non è facile. Gesù lo dice: se uno non rinasce non vede il Regno, non lo vede.
Vedo qui dei bimbi piccoli. Per nove mesi sono stati nel grembo delle loro madri. Proviamo a fare uno sforzo di immaginazione. Immaginiamo che un bimbo, quando è ancora nel grembo di sua madre acquisti piena coscienza di se stesso. Cosa concluderebbe? Concluderebbe: "Ma come è fatto il mondo? È fatto solo di acqua… io come sono fatto? Perché devo essere attaccato a quest’altra persona?" E così via!
Se si dicesse "questo è il mondo" gli si risponderebbe: "Non hai ancora visto il meglio, cominciando dal volto di tua madre, devi nascere, devi uscire da questo ambiente che è il grembo materno e vedrai un’altra realtà".
Così qui: uno dice: "questa è la realtà: gli uomini si mettono assieme – direbbe il grande poeta Eliot – per ricavare denaro gli uni dagli altri, non per altra ragione; l’uomo si sposa con la donna per contrattare il diritto alla felicità individuale in modo tale che fra il dare e l’avere ci sia quantomeno una parità… perché nel caso risultasse che io ti sto dando di più di quello che sto ricevendo, taglio la corda…
Bè, la realtà è questa".
No, la realtà non è questa. E come si fa ad uscire dal grembo materno, chi è che mi introduce dentro alla realtà?
È la fede. Gli occhi della fede. E la fede da che cosa nasce? Dall’ascolto della Parola di Dio "Fides ex auditu".
Quante volte don Divo parla di questo "Ascolta figlio. Ascolta, perché se ascolti io ti introduco dentro a una Realtà che è quella vera: la fede. Allora tu vedrai che c’è un modo di stare assieme tra l’uomo e la donna molto più bello, molto più profondo; che c’è un modo di lavorare molto più vero, molto più profondo; che c’è un modo di vivere la tribolazione della malattia che è molto più vero, molto più profondo; insomma in una parola: che c’è un modo di vivere, di essere nella realtà che è diverso. E questo "parto" avviene ogni volta che voi leggete la Scrittura; come don Divo vi ha insegnato a fare, però! La Scrittura non va letta come si legge l’Eneide o l’Odissea.
La Scrittura è l’ostetrica. Pietro la paragona a una luce che brilla in una bella notte, e continuerà a brillare fino a quando la stella del mattino sorgerà. A quel punto non ci sarà più bisogno perché viene il giorno e nessuno tiene accese le luci in pieno sole.
La vita di fede è la vita eterna già incominciata quaggiù. Solo la modalità è diversa, ma nella sostanza è la stessa cosa. La vita di fede è la vita della beatitudine eterna.

Secondo modo, o secondo momento fondamentale per custodire questo carisma che abbiamo descritto: la Liturgia.
Dove e quando noi riceviamo l’amore del Padre in Cristo se non nella Liturgia Eucaristica? Quando noi rispondiamo a questo amore? Quando celebriamo l’Eucarestia, che poi ha come una continuazione nella Liturgia delle Ore, che è come una continua celebrazione dell’Eucarestia. E ha anche una continuazione seppur più personale nella adorazione eucaristica.
Concludo con le stesse parole con cui concludevo domenica il mio incontro col Consiglio Pastorale in Cattedrale. Dicevo a loro: alzate gli occhi: di fronte a voi avete due sfide, l’Annunciazione e in fondo la consegna della chiavi a Pietro; Maria e l’inizio di quello straordinario mistero che è la successione apostolica dentro la storia umana. E dicevo: pensate ad un’ellisse; essa ha due fuochi, due centri. Si crea come uno spazio nella nostra Cattedrale, dentro questo spazio è collocato l’altare e la Cattedra del Vescovo. La Cattedra del Vescovo è dentro a questo spazio: la successione apostolica che Cristo ha voluto non perché noi predicassimo noi stessi ma perché fossimo pura trasparenza della Parola di Dio, come fu Maria. E infatti chi è che prende in casa sua Maria? Fu un apostolo. Maria va nella casa dell’apostolo. Guai se l’apostolo non prende in casa Maria. Rischierebbe di predicare se stesso; cieco che guida altri ciechi e tutti e due cadono nel fosso, dice Gesù.
Ecco, ci lasciamo con questa duplice immagine che nella nostra Cattedrale domina le nostre sante assemblee: Maria e Pietro. La fedeltà alla Chiesa, la successione apostolica, l’esperienza della pura sponsalità nella obbedienza della fede. Giovanni che ha tenuto in casa Maria è arrivato primo al sepolcro, però si è fermato e ha lasciato entrare per primo Pietro, e dopo è entrato lui.

Grazie molto della vostra presenza. E siccome il Vescovo è anche un po’ una suocera, deve anche dire "non fate questo, non fate quest’altro…" dico solo questo: la responsabilità che avete nella chiesa di Bologna è grande perché voi siete i portatori di uno dei più grandi carismi che il Signore ha dato alla sua Chiesa nel XX secolo. Di questo io ogni giorno di più sono sicuro. E la Chiesa se ne renderà conto sempre di più andando avanti. È affidato a voi; non dilapidatelo! non rovinatelo! E come fare a non dilapidarlo? Ve l’ho già detto: dentro allo spazio creato da Maria e da Pietro; quello è lo spazio giusto, è la nostra dimora.