IL VALORE DELLA VITA UMANA NEL MAGISTERO DI GIOVANNI PAOLO II
16 ottobre 1998
Nel Magistero dei suoi Pontefici la Chiesa esprime la sua fede e la
sua testimonianza alla Verità di Cristo. Per questa ragione, l’autore
della lettera agli Ebrei raccomanda ai suoi destinatari di vedere nella
varietà delle persone che lo rappresentano, il Cristo che rimane
sempre lo stesso: ieri, oggi e sempre, non lasciandosi così sviare
da insegnamenti vaghi e peregrini (cfr. Ebr 13,8).
Ma è precisamente la permanenza della Verità di Cristo
nella Chiesa ad esigere dai suoi Pastori di richiamare la coscienza dell’uomo
soprattutto sulle verità evangeliche che, a seconda delle situazioni,
sono maggiormente contestate. Ed è fuori dubbio che oggi il valore
della vita umana lo sia particolarmente. La testimonianza al Vangelo della
vita è pertanto centrale nel Magistero di Giovanni Paolo II. Testimonianza
che ha trovato il suo momento più alto e teologicamente più
qualificato nella Lett. Enc. Evangelium Vitae del 25 marzo 1995. (da ora
in poi EV).
1. La certezza di base
Possiamo iniziare la nostra riflessione da un’affermazione di
sconcertante semplicità, ma di decisiva importanza. Quale è
la certezza di base, la radice più profonda della difesa della vita
umana da parte del Magistero della Chiesa? La certezza che l’esistenza
di ogni uomo è sempre e comunque un bene. Di fronte a una persona
umana nessuno ha il diritto di dire: “è un male che tu ci sia!”.
Al contrario, di fronte a qualsiasi persona ciascuno deve dire: “è
un bene che tu ci sia!”. E’ la certezza, assoluta ed incondizionata, che
“la vita è sempre un bene” (EV. 34,1).
La certezza della Chiesa si radica sull’affermazione che al principio
di ogni esistenza umana c’è un atto di intelligenza e di libertà
divine: c’è un atto creativo di Dio: “Prima di formarti nel grembo
materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato
(Ger. 1,5): l’esistenza di ogni individuo, fin dalle origini, è
nel disegno di Dio” (EV. 44,3: sott. nel testo). La Chiesa esclama di fronte
ad ogni essere umano vivente: “è un bene che tu ci sia, poiché
Dio ti ha pensato e voluto (cioè creato)”. La difesa del valore
di ogni vita umana è sempre implicata nella confessione del primo
articolo della fede cristiana: Dio Creatore e la Sua glorificazione
(cfr. EV. 34 e 36).
2. Il «test» decisivo: la vita umana concepita non ancora
nata
La certezza del valore di ogni vita umana accompagna il Magistero
di Giovanni Paolo II così costantemente, che è impossibile
riassumerlo in poco spazio. Vorrei allora attirare l’attenzione soprattutto
su un capitolo del suddetto Magistero: quello riguardante la vita umana
già concepita e non ancora nata. La ragione di questa scelta sarà
spiegata più avanti.
La prima domanda che il Magistero di Giovanni Paolo II si pone
è la seguente: quale è l’atto eticamente degno di dare origine
ad una persona umana o - il che equivale - quando la persona umana è
concepita in modo adeguato alla sua dignità? La seconda domanda
è coerentemente correlativa alla prima: quando il valore della vita
umana è negato nel suo stesso concepimento? Il Magistero di Giovanni
Paolo II ha dunque il momento della proposta positiva, quindi di conseguenza
diventa denuncia delle ferite inferte, già a questo livello originario,
alla dignità della persona umana.
L’atto eticamente degno di dare origine ad una persona umana
è l’atto sessuale coniugale. Si tratta di un’affermazione centrale
nel Magistero del S. Padre. Dignità etica significa che solo l’atto
coniugale ha in sé la capacità di istituire un rapporto col
possibile concepito, adeguato alla dignità di questi. Quali sono
le ragioni profonde di quest’affermazione? Ne troviamo diverse nel Magistero
di Giovanni Paolo II. Mi limito alle due fondamentali, fra loro strettamente
connesse.
La prima. L’atto di porre le condizioni del concepito di una nuova
persona umana è una cooperazione con l’attività creativa
di Dio (cfr. EV. 43 ad anche Es. ap. post-sinodale Familiaris consortio
28 e Lett. alle famiglie Gratissimum sane 9). Una cooperazione che deve
essere la più simile possibile all’amore creativo di Dio. La seconda
ragione è che, all’infuori di questo modo di porre le condizioni
del concepimento della nuova persona, non esiste che la possibilità
di un’azione di carattere tecnico che istituisce un rapporto ingiusto col
concepito: possiamo produrre le cose, non le persone (cfr. Congregazione
per la Dottrina delle Fede Istr. Donum vitae 22/02/87, soprattutto
n. 4).
Dall’affermazione dottrinale, secondo la quale l’unica culla degna
del concepimento di una persona è l’atto coniugale, deriva la conseguenza
che ogni procedimento tecnico che si sostituisca all’atto coniugale nel
porre le condizioni del concepimento, è da ritenersi moralmente
illecito, in quanto non rispettoso della persona umana. Quando Giovanni
Paolo II emise un giudizio negativo sulla fecondazione in vitro, ed allora
era solo omologa, non mancò chi, anche fra cattolici, parlò
di un “nuovo caso Galileo” che si poteva aprire; né mancò
chi avrebbe preferito che il S. Padre si limitasse a dare orientamenti
solo generali. Ma il futuro della procreatica, quello che oggi viviamo,
ha dato ragione al Magistero pontificio. Certo può sembrare strano,
ed a molti è sembrato e sembra tale, questo giudizio negativo: proprio
in rapporto al valore della vita umana. Sembra logico che la difesa, così
intransigente nel Magistero di Giovanni Paolo II, della vita umana e l’esaltazione
del suo valore comporti l’accoglienza di procedimenti, i quali precisamente
rendono possibile il sorgere di una nuova vita umana altrimenti impossibile:
almeno all’interno di una coppia legittimamente sposata. Il punto è
importante, perché ci aiuta a capire la vera, intima natura della
testimonianza del S. Padre al valore della vita umana. Non si tratta, infatti,
di una generica valutazione della vita, di una indistinta affermazione.
E’ la vita della persona che è un valore etico, non la vita come
tale. La vita di una pianta, di un animale non ha in sé alcuna preziosità
di carattere propriamente etico, ma solo di carattere utilitaristico al
servizio dell’uomo (cfr. EV 34,3), E’ la persona vivente il valore etico,
poiché essa è la Gloria di Dio. C’è un abisso a separare
la Chiesa dai movimenti ecologici, da questo punto di vista. La condanna
dei procedimenti procreativi artificiali non è altro che l’affermazione
della dignità della persona. Non ogni modo di dare origine alla
vita è eticamente accettabile, così come non ogni modo di
prolungarla comunque: è la «persona vivente» al centro
delle preoccupazioni del Magistero, non in quanto vivente, ma in quanto
persona.
E’ nella sua difesa che Giovanni Paolo II ha raggiunto, dal punto di
vista della qualificazione teologica, il vertice del suo Magistero (cfr.
EV. 57,3).
3. Il delitto abominevole dell’aborto
Durante gli ultimi trent’anni la legislazione permissiva dell’aborto
è stata massicciamente promulgata: anche nei paesi di più
lunga tradizione umanistica e cristiana. E’ difficile esprimere brevemente
tutto il Magistero di Giovanni Paolo II su questo fatto, di incalcolabile
portata. Mi limiterò all’essenziale accenno di alcuni temi che mi
sembrano i più importanti.
In primo luogo l’abdicazione da parte dello Stato di difendere
quella persona umana, la persona umana già concepita e non ancora
nata, è in realtà l’abdicazione dello Stato alla sua ragione
d’essere stessa, nel piano della Provvidenza divina. In una parola: è
l’abdicazione alla sua propria dignità. Rifiutando intatti la difesa
a chi può far appello per essere rispettato unicamente alla sua
appartenenza all’umanità, al fatto di essere una persona umana,
ritenendo che questo non sia sufficiente per meritare un rispetto assoluto
ed incondizionato, lo Stato diventa il garante dell’interesse dei più
forti. Ed è in questo che ha perduto ogni sua dignità. In
una parola: o la legge difende e promuove la dignità di ogni persona
umana semplicemente perché tale o essa diventa l’espressione della
volontà del più forte. Che sia una sola persona a promulgare
tali leggi o che sia una maggioranza parlamentare è indifferente
(cfr. EV 72).
La difesa della vita concepita si inserisce pertanto nel contesto
di un richiamo forte all’uomo di non tradire la propria identità,
tradendo la propria coscienza morale. Mi spiego. La negazione del valore
della vita umana, quale si ha nella legittimazione dell’aborto, è
la corruzione totale della sorgente stessa del sociale umano. La prima
originaria forma del sociale umano, cioè la società coniugale,
si “supera”, si apre, costituendo così tutto il sociale umano nel
suo germinare, quando la donna, per prima, si rende conto di aver concepito
un uomo. (cfr. EV 43,3). Dal sociale duale (un uomo-una donna) si esce
per aprirsi in un sociale che non ha limite. Se si legittima il principio
secondo il quale il concepito è uomo perché la donna lo riconosce
come tale e non il contrario, la donna riconosce il concepito come uomo
perché tale egli è, per ciò stesso si legittima il
principio che l’accesso all’umanità, alla dignità umana è
condizionato dal consenso di un altro. Si legittima il principio che il
sociale umano è posto in essere dalla convergenza degli interessi
e non dalla partecipazione di tutti e ciascuno alla e nella stessa umanità.
Si cambia la definizione stessa di «prossimità umana»:
non «mio prossimo perché partecipe della stessa umanità»,
ma «mio prossimo perché non contrasta la mia utilità».
Cioè: la fondazione ultima del sociale umano non è costituito
dal legame nella stessa umanità, ma dalla contrattazione sugli interessi
degli individui (cfr. EV 20).
Posta alla base del sociale umano questa «ontologia»
, il principio utilitarista e non la norma personalista ne diviene la base
etica colla conseguenza che l’esistenza di chi non può, non ha la
forza di difendere il proprio utile, viene inesorabilmente distrutto.
Alla radice di questa corruzione totale del sociale umano sta l’oscurarsi
della verità sul bene nella nostra coscienza morale. Questa viene
impedita di vedere in ogni persona umana qualcuno di incondizionato valore:
impedita di vedere il bene morale come tale. Il bene morale infatti si
mostra concretamente nella persona umana.
Nel magistero di Giovanni Paolo II anche la difesa della vita
umana contro i sacerdoti dell’idolo scienza al quale vorrebbero sacrificarla,
usando embrioni umani per la ricerca scientifica, è sempre fatta
nella luce abbagliante della certezza di fondo: l’esistenza di ogni uomo
è sempre e comunque un bene inviolabile perché “nell’uomo
risplende un riflesso della stessa realtà di Dio” (EV 34,2),
4. Nel cuore del dramma
“Occorre giungere al cuore del dramma vissuto dall’uomo contemporaneo”:
scrive il S. Padre (EV 21,1). Esso consiste nella «eclissi del senso
di Dio e dell’uomo» (ivi).
Spezzando il rapporto con Dio come ragione del proprio essere,
l’uomo ha voluto fondarsi su se stesso: essere ragione lui stesso del proprio
essere. Si deve notare che non stiamo parlando di quell’atto di libertà
che è il peccato e che implica sempre una “aversio a Deo”. Stiamo
parlando di un evento spirituale diverso, e più radicale e sconvolgente:
voler essere se stesso, fondando se stesso su se stesso, e non più
sulla Potenza che ci fonda. Sotto questo peso l’uomo è crollato
ed è giunto ormai alla rassegnata noia di un esistere che non sa
più donde viene e dove va: si accontenta solo di esserci. Il magistero
di Giovanni Paolo II fa notare quasi ad ogni pagina che questa vicenda
spirituale non poteva che generare una cultura di morte. Una cultura in
cui si è giunti perfino ad “attribuire alla libertà umana
un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri
e contro gli altri” (EV 20,4). Le coordinate essenziali di questa cultura
della morte sono due forme di disperazione. Una disperazione per ostinazione
(Kierkegaard): non voler essere ciò che si è, cioè
indegni della morte; una disperazione per debolezza: non poter essere
ciò che si è, e quindi chiamare la morte una conquista di
civiltà (come si è fatto per l’aborto e si sta facendo per
l’eutanasia).
Conclusione: il bacio della misericordia
“Non sono così grande!” sembra dire l’uomo di oggi alla
Chiesa che gli annuncia il Vangelo della vita. L’uomo, si dice, non è
assolutamente indegno della morte, e quindi non si può esigere che
non sia violata la vita di nessuno in nessuna circostanza. E’ la disperazione
per debolezza, appunto. Che cosa fa allora la Chiesa a questo uomo disperato
più per debolezza che per ostinazione? Ciò che Cristo fece
al grande Inquisitore, che pure rinfacciava a Cristo di nutrire troppa
stima per l’uomo. Lo bacia col bacio che è la Misericordia di Dio,
e per questo gli annuncia il Vangelo della vita.
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