VENTENNIO DI PONTIFICATO
Relazione al Meeting di Rimini
28 agosto 1998
1/ Di ogni esistenza umana possiamo scrivere due biografie. Una narra
ciò che l’osservazione esteriore può registrare: fatti, avvenimenti
datati e localizzati accuratamente. L’altra narra la vicenda interiore
della persona, lo svolgimento di quel compito unico che ad ognuno la Provvidenza
ha assegnato. E’ stato Agostino ad insegnarci questo modo di narrare la
vita della persona. Lo chiama «confessio».
Ho pensato a questa duplice possibilità di narrare una
vicenda umana, quando – accogliendo l’invito degli amici del Meeting –
mi sono posto di fronte, ancora una volta, al ministero petrino di Giovanni
Paolo II di questi venti anni. Certamente non farò una narrazione
del primo tipo: è già fatta dai giornali e dai vari Annuari.
Vorrei tentare una narrazione del secondo tipo.
Ma le difficoltà sembrano essere insormontabili, per varie
ragioni. L’esercizio del ministero petrino è un avvenimento spirituale
abitato da un mistero insondabile: la presenza di Cristo che nella
forza dello Spirito Santo, realizza il progetto salvifico del Padre. Non
si capisce il senso di questa presenza dentro ad un “frammento” (il ventennio
di Giovanni Paolo II) se non si vede il «tutto». Ma questa
visione compete solo all’Agnello, al quale è dato di aprire il libro
chiuso da sette sigilli, nel quale è scritta l’intera partitura
del dramma. E’ nella Tradizione della Chiesa, che ha un passato ed un futuro,
che sì comprende il mistero di un pontificato.
Ma vorrei richiamare anche la vostra attenzione su un’altra dimensione
del mistero che stiamo meditando. In Cristo c’è una perfetta coincidenza
fra persona e missione: Egli è – colui che è mandato. Il
suo essere è un essere-mandato. Questa coincidenza caratterizza
anche il ministero di ogni pastore inviato da Cristo. La sua persona è
la sua missione e la sua missione esprime in pieno la sua persona. E’ questa
coincidenza che impedisce al ministero apostolico di corrompere la missione
in professione e di trasformarsi nel suo esatto contrario, la burocrazia
ecclesiastica.
Abbiamo così individuato le due coordinate essenziali
dentro le quali deve muoversi la narrazione di questo ventennio di pontificato:
il mistero di una Presenza; la coincidenza di una persona concreta con
questa Presenza che la trascende e l’abita.
Devo però a questo punto fare una riflessione assolutamente
necessaria per non equivocare quanto detto finora. La coincidenza della
persona di Pietro colla Presenza del Redentore dentro la storia (“chi ascolta
voi ascolta me – chi disprezza voi disprezza me”) pone la medesima persona
di Pietro in un rapporto unico coll’uomo, con ogni uomo. Coram hominibus:
“siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini” (1Cor
4,9). Essendo l’uomo in cui la Presenza si fa più forte e più
autorevole, Pietro cessa di appartenersi, perché appartiene ad ogni
uomo (“quando eri giovane …”). Dunque: mistero della Presenza; coincidenza
della persona col mistero, dentro la storia.
2/ Se non vado errato, ci sono due testi del Vaticano II citati di preferenza
ed in continuità da Giovanni Paolo II. Non c’è documento
del suo Magistero di una certa importanza in cui quei due testi oppure
uno dei due non sia presente. Li trascrivo integralmente.
- “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova
vera luce il mistero dell’uomo … Cristo … proprio rivelando il mistero
del Padre e del suo Amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli
manifesta la sua altissima vocazione” (Cost. Past. Gaudium ed Spes 22,1).
- “L’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia
voluto per se stessa, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso
un dono sincero di sé” (ibid. 24,4).
Vorrei in primo luogo attirare la vostra attenzione sulla prima
affermazione conciliare, vera chiave interpretativa fondamentale di questo
ventennio di pontificato.
Esiste un’invocazione di Cristo, che è inscritta per grazia
dallo stesso gesto creativo nelle viscere della persona umana. Il Signore
Gesù Cristo non è «estraneo» all’uomo e l’uomo
costitutivamente per grazia non è estraneo al Signore Gesù
Cristo. Da questa intuizione nasce quel grido con cui Giovanni Paolo II
ha dato inizio al suo pontificato e che spesso ripete: “aprite le porte
a Cristo; non abbiate paura, Egli sa che cosa c’è nel cuore umano”.
E’ importante in questo contesto ricordare un’altra affermazione richiamata
spesso dal S. Padre, ultimamente sviluppata nella Enc. Veritatis splendor,
secondo la quale Gesù Cristo attraverso l’Incarnazione si è
misteriosamente legato ad ogni concreta persona umana e quindi chiama
ogni persona a sé nella concreta quotidianità della
sua esistenza.
Questa visione ha in sé la forza di chiudere definitivamente
un’estenuante stagione di discussioni ecclesiali, da considerarsi quanto
meno inutili e fuorvianti precisamente alla luce del presupposto ideologico
da cui nascevano. Il presupposto era di considerare Cristo e l’uomo (l’economia
della redenzione e l’economia della creazione) come due grandezze originariamente
estranee l’una all’altra, e quindi semplicemente giustapposte. Ciò
presupposto, il problema centrale della missione della Chiesa diveniva
quello del come far incontrare (dialogare, si diceva) queste due realtà.
Non voglio ora neppure abbozzare tutto il ventaglio delle figure che questo
confronto è andato via via assumendo, nella frequente e stolta contrapposizione
fra “progressisti” e “conservatori”, fra “mediazione” e “presenza” e così
via. Vorrei invece richiamare la vostra attenzione su un’implicazione particolarmente
importante di quel presupposto: implicazione che per contrario ci farà
meglio capire la forza profetica di questo ventennio.
Se Cristo e l’uomo sono due realtà originariamente estranee,
il problema fondamentale, la cui soluzione è necessario presupposto
ad ogni evangelizzazione (annuncio di Cristo), è che la fede debba
giustificarsi di fronte al mondo. Presupposta l’originaria estraneità,
a quali argomenti ricorrerà per giustificarsi? Non potranno non
ridursi ad uno solo: essere di aiuto al mondo in ciò in cui il mondo
crede di aver bisogno.
La Chiesa sarà per esempio di volta in volta una sorta
di Croce Rossa che raccoglie lungo i fossi tutti i feriti dalle spietate
società neo-liberali; sarà l’istituzione alla quale è
chiesto di insegnare un codice morale; o altro ancora. La pagina di Solove’v
sull’anticristo descrive precisamente questa situazione ecclesiale.
Che cosa c’è di falso e falsificante in tutto questo?
Il fatto di non ritenere che la fede non ha bisogno di giustificarsi
prima di annunciarsi, poiché nel momento in cui si annuncia essa
si giustifica, dato che l’uomo, l’uomo concreto in carne ed ossa, trova
una corrispondenza (adequatio) fra il desiderio del suo cuore e il Vangelo
che è Gesù Cristo: “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole
di vita eterna” (Gv 6.68). La corrispondenza di cui parlavo consiste in
questo. Quando l’incontro, per grazia, accade davvero, nella persona succede
che Cristo approfondisce e svela tutte le domande dell’uomo (“svela l’uomo
a se stesso”) e le domande si spalancano ad accogliere l’intero dono del
Cristo, il suo Santo Spirito.
Dice il S. Padre nell’Enc. Veritatis splendor: “urge recuperare
e riproporre il vero volto della fede cristiana, che non è semplicemente
una serie di proposizioni da accogliere o ratificare con la mente. E’ invece
una conoscenza vissuta di Cristo, una memoria vivente dei suoi comandamenti,
una verità da vivere …. E’ incontro, dialogo, comunione di amore
e di vita del credente con Gesù Cristo” (n. 88).
E ‘ in questo contesto che comprendiamo un altro “motivo” ritornante
di questo ventennio: la via della Chiesa è l’uomo; la via della
Chiesa è Gesù Cristo. Ora possiamo coglierne il profondo
significato. L’uomo è la via della Chiesa: essa è chiamata
ad incontrare non le ideologie, ma l’uomo in carne ed ossa. Ogni sentimento
umano, ogni pensiero umano, ogni volontà umana, ogni speranza umana,
ogni dolore umano, ogni gioia umana appassionano la Chiesa. Perché?
perché Cristo è la via della Chiesa: “perché ogni
sentimento umano sente qualcosa di Lui; ogni pensiero umano pensa qualcosa
di Lui; ogni volontà umana vuole qualcosa di Lui; ogni speranza
umana attende Lui; ogni dolore umano invoca Lui: ogni gioia umana prelude
alla beatitudine dell’incontro con Lui” (A. Sicari). Non sono due vie parallele:
l’una incrocia l’altra. E l’incrocio si chiama «nuova evangelizzazione»,
il grande impegno di questo ventennio. La nuova-evangelizzazione è
l’introduzione dell’uomo, di ogni uomo e di tutto l’uomo dentro all’atto
redentivo di Cristo.
Si capisce allora come non sia successo per caso che durante
questo ventennio i movimenti ecclesiali abbiamo avuto una così grande
fioritura e riconoscimento ecclesiale pieno. Essi, infatti, più
di ogni altra realtà ecclesiale, si collocano nel punto in cui la
via della Chiesa che è l’uomo si incrocia colla via della Chiesa
che è Cristo.
Si capisce bene come la Chiesa in un certo senso debba uscire
da ogni forma di pavidità, di pusillanimità: “non abbiate
paura”, continua a dire il S. Padre. Poiché molti osservatori sono
ancora rinchiusi dentro al presupposto (illuministico) dell’originaria
estraneità dell’uomo a Cristo, hanno parlato e parlano di «crociata»
e cominciano già a stilare i loro bollettini della (supposta) guerra:
dove Giovanni Paolo II è stato sconfitto e dove ha vinto. E’ un
totale equivoco.
In realtà, e qui entriamo in un'altra dimensione del mistero
di questo ventennio, lo scontro esiste, non può non esistere, ma
è ben più profondo e ben più drammatico da quello
che risulta dal … computo statistico di quanti fedeli cattolici ricorrono
o non alla contraccezione. Le pagine più illuminanti mi sembrano
quelle dell’Enc. Dominum et vivificantem (cfr. per es. n. 46, ma tutta
la seconda parte)
Il vero scontro è fra l’uomo che si ritiene, che si pensa
non bisognoso assolutamente di Gesù Cristo, che dà di se
stesso un’interpretazione esaustiva dell’intera esperienza umana prescindendo
dall’atto redentivo di Cristo e il Vangelo della grazia e della misericordia.
Il vero scontro è quello posto in essere dallo Spirito Santo stesso
in persona nel mondo di oggi, e che consiste nella riapertura del processo
a Gesù, che i sigillatori della sua tomba ritenevano definitivamente
chiuso. Ed il luogo in cui il processo è riaperto, l’aula del tribunale,
è il cuore dell’uomo. E’ in esso che lo Spirito Santo rende testimonianza
a favore di Cristo, della sua veridicità quando dice di essere l’unico
salvatore del mondo. Ma è ugualmente in esso, nel cuore, che viene
introdotto il sospetto che tutto si può accettare di Cristo, ma
non la sua assoluta pretesa ad essere l’unico. E se la testimonianza dello
Spirito accompagna l’evangelizzazione della Chiesa, il sospetto del cuore
è sostenuto dalla cultura prodotta dal presupposto dell’estraneità
dell’uomo a Cristo. Ed allora lo scontro vero avviene fra l’annuncio del
Vangelo in quanto risposta totale all’intera misura del desiderio umano
(“svela pienamente l’uomo all’uomo”) e una visione dell’uomo che non riconosce
interamente la verità, la bontà, la bellezza dell’umano:
una visione ideologica.
I punti dello “scontro” sono, coerentemente, le esperienze fondamentali
del vivere umano. Esse sono denotate da cinque parole: coscienza morale,
cultura, amore, lavoro, sofferenza-morte. Dovrei sviluppare un’ampia riflessione
su ciascuna di esse, costituendo ciascuna un riferimento costantemente
presente nel ventennio del pontificato. Il tempo a nostra disposizione
non me lo consente. Mi limito ad alcune riflessioni essenziali.
Inizio da un testo dell’Enc. Dominum et vivificamentem: “All’uomo
creato ad immagine di Dio lo Spirito Santo dà in dono la coscienza,
affinché in essa l’immagine possa rispecchiare fedelmente il suo
modello, che è insieme la sapienza e la legge eterna, fonte dell’ordine
morale nell’uomo e nel mondo” (n. 36).
La rivelazione originaria accade nella coscienza morale (cfr.
Newman), e pertanto è attraverso essa che l’uomo ultimamente capisce
il senso delle sue scelte, anzi della sua vita. La falsificazione della
coscienza morale inquina la sorgente stessa della verità dell’uomo:
chi è l’uomo e quale è il suo vero bene. Falsificazione che
presuppone sempre la negazione della verità su Dio. La problematica
etica è centrale nella testimonianza profetica del S. Padre, ma
non nella stessa direzione dell’ossessivo dibattito etico contemporaneo.
Questo è un vuoto girare su se stesso, poiché parte dal presupposto
che sia possibile un’etica senza verità; che sia possibile una regolamentazione
dell’agire prescindendo da ogni giudizio veritativo sui contenuti delle
scelte. In una parola: riduzione del problema etico ad un problema
tecnico. La problematicità etica invece è il luogo dove la
domanda sulla verità e del bene della persona assume tutta la sua
serietà: l’etica è il respiro dell’eternità dentro
il tempo. La Veritatis splendor in sostanza è la testimonianza
a quella verità sull’uomo: sull’uomo che è ogni uomo concreto.
Ed ancora una volta, e non a caso, l’Enciclica è infatti costruita
sul dialogo fra Gesù e il giovane ricco.
E qui siamo già entrati nel secondo tema, il tema della
cultura. E’ un tema, meglio un’esperienza umana, strettamente connessa
con quella precedente: è possibile una cultura priva del desiderio
della (conoscenza della) realtà? Solo l’uomo portato dalla «apprehensio-intentio
entis», direbbe Tommaso, sa costruire una vera cultura. Quando, come
sta succedendo ora, si ritiene che nulla sia degno di essere pensato perché
nulla esiste in senso proprio, allora la cultura non è altro che
la dissoluzione dell’umano pensare nella vacuità dell’infinita ricerca.
Possiamo certo imbiancare questi sepolcri con l’apparenza di una sofisticata
erudizione, ma dentro c’è la corruzione di un «io»
in decomposizione. Ecco perché, come ci ha mostrato questo ventennio,
non esiste un vero impegno per l’uomo, se non è provvisto di una
grande dignità culturale.
Dovrei ora continuare nella ripresa della le tre parole-chiavi:
il tempo a disposizione non me lo consente. D’altra parte anche la seconda
affermazione conciliare è troppo importante per essere completamente
tralasciata.
3. Da ciò che ho detto finora risulta che la passione per l’uomo
è immediatamente generata dalla passione per Cristo. E quindi è
inevitabile che la domanda su chi è l’uomo sia una domanda centrale
in questo pontificato. Ed è rispondendo a questa domanda che ci
incontriamo colla seconda affermazione conciliare «chi è l’uomo?»,
l’unica creatura voluta per se stessa dal Creatore; l’unica creatura che
realizza se stessa nel dono di se stessa, cioè nell’amore.
La prima parte del testo conciliare, che è una citazione
di Tommaso, è l’affermazione della persona, del valore della persona,
un valore che rifiuta radicalmente (contrariatur: Tommaso) la degradazione
della persona ad essere parte di un qualsiasi tutto. Affermare che l’uomo
è l’unica creatura voluta per se stessa significa precisamente questo:
l’uomo è voluto per la sua propria dignità: merita di essere
voluto dal Creatore non per il bene della specie come ogni individuo, o
per il bene dell’universo. Per se stesso ed in se stesso. L’affermazione
della dignità della persona è centrale in questo pontificato.
Ma che cosa significa “affermazione della dignità della
persona”? a prima vista, di potrebbe pensare ad un atto di conoscenza ed
a questo ridursi. Ma, al contrario di ciò che pensava Socrate, l’affermazione
della dignità della persona si ha perfettamente nel riconoscimento
pratico della persona per se stessa. E’ questo riconoscimento che si chiama
amore. “L’autonomia - destinata alla comunione, l’autodipendenza - chiamata
alla solidarietà: ecco il nome dell’uomo, ecco la struttura personale
del soggetto morale” (T. Styczen). La paradossalità della persona
umana cui è possibile realizzare se stessa solo nel dono di se stessa,
si risolve nell’atto dell’amore.
Il S. Padre vuole però vedere in atto questa struttura
personale del soggetto in quell’esperienza che Egli giustamente considera
archetipa di ogni esperienza di autorealizzazione dell’uomo: l’amore coniugale.
Nessun Papa ha riflettuto più a lungo e ci ha dato un magistero
più ampio sull’amore coniugale. E non a caso. L’amore coniugale
è l’espressione archetipa della verità impressa dall’atto
creativo nella persona umana uomo-donna, e pertanto è il test privilegiato
per misurare la stima che una civiltà ha dell’uomo, e la realizzazione
dell’uomo nella persona. “Nella lettera (alle famiglie), il Santo Padre
inizia affermando che se «l’uomo è la via alla Chiesa»,
come ha scritto nella Redemptor hominis, allora la famiglia è la
«prima e più importante via» sulla strada di questa
missione. Per comprendere questa «prima e più importante via»
della missione della Chiesa, Giovanni Paolo II torna di nuovo alla Gaudium
et spes a alla frase spesso citata che «Cristo rivela pienamente
l’uomo a se stesso» osservando che Cristo «realizza questo
iniziando con la famiglia». Pertanto, «il mistero divino dell’Incarnazione
del Verbo è dunque in stretto rapporto con la famiglia umana».”
(Carl A. Anderson)
Il vero dramma dell’uomo è dunque questo: il dramma dell’amore,
come già aveva visto Agostino. Questo dramma può essere vissuto
senza divenire tragedia (“gli altri sono l’inferno”) o senza divenire la
farsa del nichilismo attuale, solo nell’incontro con Cristo che mi doma
lo Spirito Santo. Egli mi fa libero, cioè capace di amare, e quindi
di percorrere l’unica via di auto-realizzazione: l’auto-donazione.
Conclusione
Il ministero petrino si inscrive nella Tradizione della Chiesa:
se ne nutre e la nutre. La testimonianza a Cristo redentore dell’uomo,
resa dal S. Padre in questo ventennio, deve divenire vita quotidiana della
Chiesa. E’ il compito che ci attende: per salvare l’uomo dal deserto del
nonsenso in cui vaga senza meta.
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