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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Veglia di preghiera per le Vocazioni e Candidatura al Ministero Sacerdotale
Seminario Arcivescovile, 24 aprile 2012


1. Il dialogo fra Gesù risorto e Pietro è una delle pagine più commoventi e suggestive della Sacra Scrittura. Quale ‘ il "tema" del dialogo? La reintegrazione di Pietro nel suo servizio di pastore del gregge di Cristo. possiamo dire la conferma della vocazione di Pietro. E’ una pagina che esige una grande attenzione spirituale.

- E’ un dialogo che si svolge fra Gesù e l’apostolo, che si svolge in un’atmosfera d’intimità, di vera amicizia. Il rapporto che s’istituisce è così strettamente personale, che Gesù chiama l’apostolo col suo nome di nascita, ricevuto da suo padre: "Simone di Giovanni". Gesù non lo chiama col nome che gli ha dato Lui stesso: Kephas – Pietro. Come invece continua a fare il narratore

- Solo tenendo conto di questa atmosfera di confidenza, possiamo entrare nel dialogo. La comprensione immediata di esso non è difficile.

Che cosa chiede Gesù a Simone? Se lo ama; anzi se lo ama più di tutte le cose che sono la sua vita. Il fatto singolare, che addolora l’apostolo, è che Gesù glielo chiede tre volte di seguito.

Forse il dolore di Simone è dovuto al fatto che quella triplice domanda lo riportava alla memoria della triplice negazione di Gesù. Nel racconto che ne fa Giovanni, notate un particolare. La negazione di Pietro è riferita con una semplice parola: "Non sono" [Cf. Gv 18,17.25-27]. Cari giovani, Pietro aveva detto a Gesù un giorno: "Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna". L’apostolo aveva capito che il suo destino era legato indissolubilmente a quello di Gesù. Aveva intuito in quel momento che per lui vivere era stare con Gesù, non andarsene da Lui. In breve: aveva scoperto che la sua identità era posta in essere dal rapporto con Gesù.

Nel momento in cui Pietro rinnega questo rapporto, cade nel non-essere; smarrisce la sua identità: ha perduto se stesso. "Non sono" dice.

Ecco, cari amici, Gesù si trova di fronte un uomo in queste condizioni.

- Che cosa fa Gesù? Lo costringe, per così dire, a riscoprire la sua identità; a ripercorrere all’inverso il cammino della sua perdita. Ciò poteva avvenire solo invitando Pietro a "guardare alla sua relazione a Cristo", alla natura – se così possiamo dire – del vincolo che lo lega a Lui, alla consistenza della sua affezione a Cristo. ["… più di tutto questo"]. Perché, in fondo, Pietro doveva scendere a queste profondità per ritrovare se stesso. Ma non con l’uso della … psicologia. Alla profondità di se stesso nella luce di quella Presenza che gli stava di fronte: affascinante, determinante. E’ in questa luce che Pietro ritrova se stesso, perché giunge perfino a dire: "tu sai tutto; tu sai che io ti amo". Si è sottoposto al giudizio dell’infinita sapienza di Gesù.

Cari amici: la persona ritrova se stesso ricostruendo il suo legame a Gesù. Che cosa aveva indotto Pietro a tradire Gesù? Forse la via che Gesù aveva scelto: di umiliazione, di sofferenza. Pietro aveva preso in disparte Gesù, e lo aveva già una volta rimproverato [Cf. Mc 8,32]. All’ultima cena Pietro aveva detto: "non mi laverai mai i piedi in eterno" [Gv 13,8]. Ora l’apostolo ha ritrovato se stesso perché può seguire Gesù e morire con Lui. E’ stato pienamente reintegrato nel suo servizio: "pasci le mie pecore".

2. Cari giovani, avete ascoltato la narrazione di un percorso vocazionale tortuoso, gravemente accidentato, in cui è presente perfino il tradimento. Vorrei che vi rispecchiaste in tutta questa vicenda. Vi aiuto ora con qualche semplice suggerimento.

- La domanda sulla "vocazione" – che fare della mia vita – è prima di tutto la domanda sulla vostra identità. Non: che cosa dovrò fare? Ma: qual è la ragione per cui sono stato creato/a? Chi pensa di essere frutto del caso non si pone neppure la domanda, alla fine. Semplicemente non avrebbe senso farsela.

- La vostra identità di persone non è quella di un individuo senza relazioni. Essa è costituita dalla relazione a Cristo. Pietro ha dovuto ricostruirla alla sua radice, perché pensava un Cristo a sua misura; ha dovuto misurare se stesso secondo la misura di Cristo e non misurare Cristo secondo la misura di Pietro. Questa ricostruzione è alla radice opera della fede: essere certi che comunque Cristo ha ragione, sempre. E viene compiuta dall’amore per Cristo: "tu solo hai parole di vita eterna".

Cari amici, la vocazione è questa. E’ la presenza di Cristo nella vita; una presenza che ci ha affascinati e riempiti fino al punto di vincolarci a Lui per sempre, così che possiamo dire con Paolo: "Signore, che cosa vuoi che io faccia?" o sentirci dire da Gesù: "seguimi".

Quando Pietro, ormai anziano, esorterà i responsabili delle comunità, si presenterà "come testimone delle sofferenze di Cristo".

3. Termino con il racconto di un’esperienza singolare. Quando il Beato Giovanni Paolo II celebrò il 25° anniversario della sua elezione al pontificato, confidò: "ogni giorno si svolge all’intimo del mio cuore lo stesso dialogo tra Gesù e Pietro. Nello spirito, fisso lo sguardo benevolo di Cristo Risorto. Egli, pur consapevole della mia umana fragilità, m’incoraggia a rispondere con fiducia come Pietro: Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo [Gv 21,17]. E poi m’invita ad assumere le responsabilità che Lui stesso mi ha affidato".

Uno dei più grandi pontificati si è interamente svolto in questo scambio di sguardi amorosi. Sia così anche di ciascuno di voi.