Quarta Veglia di Avvento
Cattedrale, 23 dicembre 2006
1. Miei cari fedeli, le parole della Scrittura sono fonte di vera consolazione e di intimo gaudio. Come infatti ci spiega S. Ippolito, antico scrittore cristiano, nella seconda lettura, "quanti di noi vogliamo esercitare la vera religione, non la possiamo esercitare in altro modo che conoscendola dalle parole di Dio".
Questa sera il Signore ci parla attraverso il profeta Isaia. E ci comunica una grande rivelazione circa il Mistero: il nostro Dio è un Dio fedele; è un Dio che mantiene le promesse fatte. "Alzate al cielo i vostri occhi e guardate la terra di sotto, poiché i cieli si dissolveranno come fumo, la terra si logorerà come veste… Ma la mia salvezza durerà sempre, la mia giustizia non sarà annientata". Cioè: anche quanto sembra godere di una stabilità immutabile, l’assetto stesso dell’universo, potrà scuotersi, mentre la fedeltà del Signore al suo piano di salvezza dura in eterno. Quali sono queste promesse divine? Quale è il suo piano di salvezza? Il profeta richiama il "patto originario" fra Dio ed Abramo: "guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo vostro Padre, a Sara che vi ha partorito". Queste parole valgono per Israele, il popolo eletto e prediletto: noi che siamo i pagani eravamo esclusi da questo patto di salvezza. Ma per l’infinita misericordia di Dio anche noi siamo chiamati; l’alleanza stretta con Abramo è stata estesa anche a noi. Anche il figlio minore è stato accolto nella casa del Padre perché divenisse erede col fratello maggiore, il popolo di Israele.
Miei cari fedeli, contro questa parola profetica noi però siamo tentati di contrapporre un argomento che sembra smentirla in modo incontrovertibile: la condizione in cui spesso ci troviamo a vivere la nostra esistenza quotidiana. A noi scoraggiati il profeta dice: "Davvero il Signore ha pietà di Sion, ha pietà di tutte le sue rovine, rende il suo deserto come l’Eden, la sua steppa come il giardino del Signore". La potenza che l’amore del Signore possiede è così grande, che ricostruisce le rovine cui può essersi ridotta la nostra vita, che trasforma in giardino il deserto in cui si è trasformata la nostra esistenza.
2. Miei cari fedeli, l’apostolo Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto dice: "Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo predicato fra voi … non fu "sì" e "no", ma in lui c’è stato il "sì". E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "si"" [2Cor 1,19-20].
Tutto quanto ci ha detto il profeta si compie per mezzo di Gesù, il Figlio di Dio. In Lui le nostre rovine sono riedificate e il nostro deserto è reso un giardino: chi infatti è in Lui, in Cristo, diventa una nuova creatura.
Miei cari fedeli, come voi sapete la celebrazione liturgica del Natale non ha solo il compito di richiamare alla nostra memoria un fatto accaduto nel passato. In questi giorni santi quanto è accaduto nel mistero dell’incarnazione del Verbo può accadere anche in ciascuno di noi. Nell’incarnazione del Verbo l’umanità è stata rigenerata; la nostra umanità in Gesù è rigenerata, come ci ha promesso il profeta.
Dobbiamo allora concludere colla preghiera del profeta: "svegliati, svegliati, rivestiti di forza o braccio del Signore", perché sia giubilo e gioia nel cuore di ciascuno.
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