Veglia di preghiera per le vocazioni
Seminario, 10 maggio 2011
1. Forse vi stupirete un poco costatando che in una veglia come questa, abbiamo letto il Vangelo che narra la lavanda dei piedi fatta da Gesù ai suoi discepoli. In esso non si parla di vocazione. Perché allora questa scelta?
La narrazione evangelica ci rivela come Gesù pensava e viveva la sua vicenda umana: quale era la coscienza che aveva di Se stesso. "Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono", Gesù dice ai suoi amici. Egli ha la coscienza di essere Maestro e Signore. Come allora manifesta la sua Signoria …lavando i piedi ai suoi amici? Essere Maestro e Signore e lavare i piedi non sono in contrasto? La reazione di Pietro ["non mi laverai mai i piedi"] la si comprende benissimo.
L’apostolo Paolo ci aiuta molto a capire. Scrivendo ai cristiani di Filippi, parlando di Gesù dice: "[Cristo Gesù], pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo". Anche Paolo mette assieme due estremi: la natura divina – la condizione di servo. Ma fa un’aggiunta straordinaria: "non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio". Cioè, non si avvinghiò gelosamente alla sua gloria divina, come fosse una preda da tenere ben stretta. È questa attitudine profonda del cuore di Cristo che spiega come i due estremi si compongano assieme.
Cari giovani, perché Dio ha fatto così? perché non si è chiuso nella sua irraggiungibile solitudine? Perché ci ha amati. La lavanda dei piedi è la rivelazione dell’amore che giunge fino alla "spogliazione di se stesso" [S. Paolo]. La pagina evangelica vi aiuta quindi in primo luogo a compiere quella pulizia che oggi è per voi la più necessaria: quella della vostra idea di amore. Prestatemi bene attenzione, perché tocchiamo il cuore della vostra vita.
2. Non riuscirete mai a cogliere la verità dell’amore fino a quando lo confonderete con l’innamoramento; fino a quando ridurrete l’amore ad un fatto puramente emotivo e spontaneo. Per capire meglio ciò che sto dicendo, pensiamo per il momento solo alla relazione maschile-femminile.
"Con innamoramento si deve intendere […] il fenomeno subitaneo, necessitato/spontaneo ed estatico dell’attrazione affettiva […]. È un accadimento che improvvisamente sorprende, anche all’insaputa dello stesso interessato" [F. Botturi, Etica degli affetti, in AA.VV. Affetti e legami, V e P, Milano 2004, 50].
Questo però è solo l’inizio possibile dell’amore. Ma l’amore vero è frutto di una coltivazione del proprio affetto: è un’opera della ragione e della libertà. L’amore non è in se stesso solo né soprattutto sentimento, ma un atto di volontà: è il volere il bene della relazione che si instaura fra i due. L’innamoramento è spesso un evento istantaneo; l’amore esige durata. L’innamoramento è di solito un episodio che accade fra i due; l’amore è una storia che ha una trama. In una parola: l’amore esige fedeltà.
Cari giovani, l’educazione all’amore è necessaria se non volete dilapidare la vostra ricchezza più preziosa: il vostro cuore.
Provate ora a riflettere sul gesto di Gesù, come ce lo ha fatto comprendere S. Paolo. È l’amore vero che dona Se stesso, in un atto supremo di libertà.
3. Voi direte: che cosa c’entra tutto questo con la riflessione sulla vocazione? Vi rispondo brevemente: c’entra, poiché la chiamata al sacerdozio, alla verginità consacrata, è chiamata a vivere un’esistenza donata al Signore Gesù e in Lui ad ogni uomo.
"Vi ho dato […] l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi": questa è la vocazione. Vivere la propria vita dentro alla logica di un amore che rende presente nel mondo la stessa donazione di Gesù. Non è vita da onesti funzionari del sacro; non è vita di assistenza sociale motivata evangelicamente. È la profondità del proprio io che viene raggiunta dalla vocazione: "non sono più io che vivo; è Cristo che vive in me", dice S. Paolo. Non è ciò che nella vita – di sacerdote, di religiosa, di monaco/a – io sarò chiamato a fare, il contenuto della vocazione: "sono chiamato a… quindi a fare questo…". Ciò che è chiamato è l’io; ed è chiamato a "come ho fatto io, facciate anche voi". Ora comprendete la mia breve riflessione sull’innamoramento-amore: la nostra persona non è la somma di tanti stati d’animo, di episodi, di atti. La vocazione non è innamoramento, è amore.
Cari giovani, la vocazione è l’evento più grande. Pietro lo ha alla fine capito. "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?", e Pietro risponde: "Certo, Signore". "E detto questo aggiunse: seguimi" [Gv 21, 15-19]. Non posso pensare che non ci siano più giovani capaci e desiderosi di amare, poiché solo a loro è rivolta la vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata.
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