LA VITA RELIGIOSA E LE SFIDE ODIERNE
Incontro USMI Regionale
Bologna 25 aprile 2002
La riflessione che farò ha bisogno di essere introdotta da alcune premesse.
Il titolo pone come referente della vita religiosa le "sfide odierne". La legittimità di tale riferimento è fuori discussione, purché non si dimentichi che non è il riferimento fondamentale. Il referente decisivo della vita religiosa non sono le sfide odierne, ma Gesù Cristo col quale la religiosa è chiamata a vivere un rapporto, un incontro unico. E’ questo rapporto, è questo incontro il fondamento della vita religiosa ed il suo principio ermeneutico di comprensione. La religiosa non comprende se stessa in ordine a sfide o bisogni del mondo in cui vive, ma in ordine a Gesù Cristo.
Questa posizione essenziale ed esistenziale della religiosa nell’essere la colloca in una condizione di inattualità storica? La risposta a questa domanda è la seconda necessaria premessa all nostra riflessione.
Si può intanto dire che la prima preoccupazione spirituale, se è vero quanto detto nella premessa precedente, non deve essere quello della attualità/inattualità della propria esistenza nei confronti del mondo, ma deve essere quella della fedeltà alla sequela di Cristo. Ma il punto fondamentale è un altro: il rapporto alle sfide odierne deve essere mediato dal e nel rapporto a Gesù Cristo. Essere nel mondo di fronte alle sfide odierne in quanto si è in Cristo e senza mai uscire dal proprio essere in Cristo: potrebbe essere questa la formula che descrive l’attualità/l’inattualità della vita religiosa. La religiosa è attuale/inattuale come è attuale/inattuale Gesù Cristo.
Da questa duplice premessa deriva la scansione della nostra riflessione in tre momenti. Nel primo punto cercherò di offrirvi uno schizzo di riflessione sul rapporto di Cristo col mondo, nel secondo sul rapporto della religiosa con Cristo; infine rifletteremo sulla religiosa in rapporto alle sfide odierne.
1. Cristo "redemptor hominis"
Più che col mondo, è più preciso parlare di rapporto con l’uomo in quanto unica realtà di questo mondo "propter scipsam …".
Possiamo partire da un testo del Vaticano II: "In realrà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (cfr. Rom 5,14) e cioè di Cristo Gesù. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" [Cost. past. Gaudium et Spes 22,1; EV 1/1385].
Il testo pone a confronto il mistero del Verbo incarnato [mysterium Verbi incarnati] e il mistero dell’uomo [mysterium hominis]. Il confronto trova la sua ragione d’essere in una verità rivelata esplicitamente dalla S. Scrittura ed ampiamente approfondita dai Padri della Chiesa: Adamo, il primo uomo, era figura di quello futuro, cioè di Cristo Signore, che è il nuovo Adamo.
Fermiamoci un momento a riflettere sulla fondazione del rapporto fra il mistero del Verbo incarnato e dell’uomo.
Esiste una vera e propria solidarietà fra Cristo ed ogni uomo: "con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo" [ib.; 1386]. L’unità di ogni uomo col Verbo incarnato consiste nel fatto che ogni persona umana è stata pensata e voluta, cioè creata, in Cristo, perché fosse partecipe della divina figliazione del Verbo mediante l’umanità assunta dal Verbo stesso [cfr. Ef 1,4-5]. S. Tommaso scrive: "eodem actu aeterno, praedestinavit Deus nos et Christum: col medesimo atto eterno, Dio predestinò noi e Cristo" [3, q.24,a.3]. Nella stessa eterna predisposizione con cui fu decisa l’incarnazione del Verbo, l’elevazione della natura umana ad essere ipostaticamente assunta dal Verbo, fu deciso che ciascuno uomo divenisse partecipe della stessa figliazione divina. L’Unigenito del Padre divenne primogenito fra molti fratelli.
Questo progetto divino si realizza nella modalità redentiva in quanto l’uomo ha rifiutato la sua predestinazione, ha trasgredito la divina Volontà. Dove Adamo aveva fallito ["Allora il Signore disse: il mio spirito non resterà sempre nell’uomo perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni" Gen 6,3], poiché in Lui tutti moriamo [1Cor 15,22], il nuovo Adamo riesce, essendo divenuto, nella sua Risurrezione, "spirito vivificante" [1Cor 15,45]. Egli diventa capace di donare lo Spirito Santo "nel quale gridiamo "Abbà, Padre"" [Rom 8, ]. Il secondo e vero Adamo diviene la causa non solo esemplare, ma efficiente della nuova umanità, perché è divenuto nella sua Risurrezione "spirito vivificante".
L’uomo dunque nella sua concretezza, nel suo vivere quotidiano, più precisamente nell’esercizio della sua libertà, si trova ad essere collocato nel piano divino della salvezza in Cristo: già pre-disposto dalla grazia ad essere e vivere in Cristo. L’uomo non si trova inspiegabilmente gettato dentro all’essere. A causa però del primo Adamo nasce nell’ingiustizia, che muove la sua libertà ad agire contro la pre-disposizione di grazia: a negare la verità del proprio essere. L’esistenza umana in quanto realizzata dalla libertà è quindi un passaggio dalla vita mortale in cui ci siamo posti alla vita vitale cui siamo stati pre-disposti e di cui diveniamo partecipi in Cristo mediante la fede e i sacramenti. L’autore della lettera agli Efesini descrive questo processo nel modo seguente: "dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e dovete … rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustiziai e nella santità vera" [4,22-23].
Possiamo anche citare una mirabile sintesi di quanto abbiamo detto in un testo del Nisseno: "dal momento che in noi tre sono le generazioni per mezzo delle quali riceve la vita la natura umana, quella del corpo, quella secondo il mistero della rigenerazione e quella per mezzo della risurrezione dei morti, che noi speriamo. Egli diventa primogenito in tutte e tre" [Contro Eunomio III, 35, 51; Rusconi ed., Milano 1994, pag. 386]. Ed ancora prima di Gregorio, S. Ilario scrisse: "noi siamo in Lui per la sua nascita nel corpo; Egli è in noi per l’azione misteriosa dei sacramenti [La Trinità VIII, 15; S Ch 448, pag. 400]
Alla luce di questo breve schizzo di antropologia teologica possiamo misurare tutta la portata dell’affermazione del Vaticano II. Essa ci fa percepire tutte le dimensioni del "mysterium hominis". La libertà di questi non è una libertà di indifferenza, neutrale di fronte alle scelte possibili. Essa è abitata ed orientata da una "finalizzazione", in ordine alla quale la persona umana è stata costituita. "Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte [= verità sulla costituzione della persona umana] trovino in Lui la loro sorgente e tocchino il loro vertice" [l.c.].
La verità ultima ed intera dell’uomo si svela nel mistero del Verbo incarnato. La verità ultima: quella che conosciuta placa il questionare che l’uomo fa a se stesso su se stesso [cfr. S. Agostino, Le confessioni IV, 9]; la verità intera: non lascia inevasa nessuna domanda riguardante il senso del vivere, del soffrire, del morire.
L’unica soluzione al problema umano del vivere è quindi per l’uomo quello di essere con tutto se stesso in Cristo; di entrare con tutto se stesso nel mistero della sua redenzione. "A questa unione con Cristo luce del mondo sono chiamati tutti gli uomini: da lui siamo, per lui viviamo, verso di lui tendiamo" [Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium 3; EV 1/286].
- La religiosa e Cristo
Da quanto ho cercato di balbettare nel punto precedente sul mistero del Verbo incarnato in rapporto al mistero dell’uomo, deriva una conseguenza: porre se stessi in Cristo e disporre di se stessi in ordine a Cristo è la condizione migliore, la posizione migliore per affrontare la realtà [cfr. su questo tema L. Giussani, L’attrattiva Gesù, BUR ed. Milano 1999, pag. 287], per vivere la propria vita nel tempo. Nel tempo, sottolineo, perché o il seguire Cristo e l’essere in Lui ha un rilevanza per la vita nel tempo o altrimenti non avrebbe senso il seguirlo.
Il "grande guaio" di un cristiano consiste nel capovolgere la situazione: ciò che consegue porlo come principio e ciò che è principio porlo come conseguenza. Cioè: elaborare, indipendentemente dal proprio rapporto con Cristo, una presenza storicamente rilevante nel vivere umano per poter legittimare poi di fronte alla propria coscienza ed alla società il proprio essere in e con Cristo. Per cui, è significativa la mia sequela di Cristo per la mia libertà e per gli uomini del mio tempo in quanto e perché è rilevante ed efficace dentro alla storia ed alla società umana. Versare un vaso di olio tanto prezioso sui piedi di Gesù quando si sarebbe potuto venderlo e darlo ai poveri, è un gesto insensato, pensa Giuda. Ma questo gesto sarà sempre notificato fino a quando durerà l’annuncio del Vangelo. Perché? E’ necessario che ora riflettiamo dunque, anche se brevemente, sul rapporto fra la religiosa e Cristo, sulla modalità con cui il "mysterium hominis" nell’esperienza della religiosa "plene clarescit in mysterio Christi".
Inizio … fenomenologicamente. La religiosa nella Chiesa e nella società si qualifica "per consiliorum evangelicorum professionem" come dice anche il CJC [can 573,1]. Tuttavia questa qualificazione non è ancora quella decisiva, anche se necessaria, come vedremo fra poco. Si può essere continenti per più ragioni, così come si può rinunciare in larga misura all’esercizio autonomo della propria libertà di scelta, e non sono mai mancati uomini e donne che hanno vissuto nella più grande povertà per una ragionata visione gerarchica dei beni umani.
Ed allora è necessario scendere molto più in profondità nella vita dello spirito. Il vero problema – riprendo la finale del primo punto – è la posizione della persona di fronte a Cristo: o meglio, la risposta alla posizione che Cristo ha nel destino umano. Ed in fondo Cristo ha posto se stesso dentro al destino di ogni persona come l’unica risposta totalmente vera al desiderio di senso di cui è impastato il cuore umano. Ora la vita religiosa è la forma esemplare suprema – fate bene attenzione che non ho detto la vocazione – dell’unico consenso adeguato alla posizione che ha Cristo. Voglio dirlo in modo più chiaro, spero. Cristo è posto dal Padre in una precisa posizione dentro al destino di ogni uomo: ogni uomo è chiamato, è "costretto" a corrispondervi ["Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché diamo svelati i pensieri di molti cuori": Lc 2,24-25]. Quale è l’unica corrispondenza adeguata della posizione di Cristo? Quella di chi dice: "Tu solo, Signore, hai parole di vita eterna: da chi andrò?". Che è corrispondenza totale, totalizzante ed esclusiva. La vita religiosa è la forma esemplare perfetta della corrispondenza adeguata alla posizione che Cristo ha nel destino di ogni persona. Fenomenologicamente, oserei aggiungere: la vita religiosa claustrale.
Ho distinto "forma" da "vocazione". Penso che questa distinzione basti per non cadere in equivoci teologicamente rozzi e spiritualmente assai dannosi. Non penso sia necessario fermarmi ulteriormente su questo punto.
Essendo la vita religiosa intesa come sopra, la forma esemplare della risposta umana a Cristo, essa diventa anche la forma esemplare suprema di come ci si pone dentro alla realtà umana, alla realtà umana nostra e di ogni persona che quotidianamente incontriamo.
3. La vita religiosa e le sfide odierne
Parlando di "realtà umana" intendo parlare delle persone in carne ed ossa che ogni giorno voi incontrate.
Vorrei partire da una lettura, da un’interpretazione che mi sembra la più convincente della realtà umana attuale. Potrei esprimere questa interpretazione in due parole: la nostra attuale è una realtà priva di fondamento. Mi servo di una citazione: "Una delle metafore che traducono meglio la condizione dell’uomo contemporaneo è senz’altro lo sradicamento. L’uomo sradicato, o peggio, privo di radici, non ha più letteralmente un ubi consistam, un fondamento, una base morale. Dentro di sé il vuoto di senso, fuori il deserto. Non gli resta, allora, che incamminarsi. Sapendo però che nessuna stella polare indicherà più la via. Né illuminerà più la meta. Un cammino assurdo: alla via recta della tradizione si è sostituito il circolo vizioso. Ulisse senza Itaca, navigante senza approdo: questo è l’uomo che l’arte, la letteratura e la filosofia contemporanea ci hanno consegnato. Nient’altro" [M. Stolfi, in F. Kafka, La meta e la via. Racconti scelti. BUR ed., Milano 2000, pag. 5]. Da che cosa è stato causato questo totale "spaesamento" dalla regione dell’essere? Mi limito ad una risposta molto sintetica e schematica.
Secondo Agostino due sono le domande che portiamo dentro di noi, fondamentalmente: la domanda sull’essere di ciò che è o domanda sulla verità; la domanda sul valore di ciò che è o domanda sul bene. E’ dalla risposta a queste due domande che l’uomo costruisce la sua dimora, il suo ethos dentro alla realtà. Ma non solo. Poiché l’uomo non è solo, ma è sempre con gli altri, esiste anche una terza domanda, la domanda sul come essere-con l’altro. Orbene siamo giunti al punto in cui si sta costruendo una dimora dentro all’essere sul fondamento di un non-fondamento, perché alla prima domanda si è risposto che l’essere non è intelligibile, ma è solo manipolabile; che non esiste una verità sul bene, e pertanto non esiste possibilità di sapere "quando l’ago magnetico devia e quando indica la direzione giusta" [S. Kierkegaard]; che l’unica comunità possibile è la coesistenza regolamentata di egoismi opposti. E’ la sfida nichilista che si articola nella sfida del relativismo metafisico, nella sfida del cinismo morale, nella sfida dell’individualismo/ asociale.
Ho parlato di una dimora senza fondamento, di un camminare la cui meta è il camminare stesso: è la perdita del senso della realtà. Un grande convertito, G.K. Chesterton, ha scritto "Dall’inizio del mondo moderno nel XVI secolo, non c’è sistema filosofico che corrisponda veramente al senso reale di tutti… L’uomo deve credere in qualcosa in cui nessun uomo normale crederebbe, se venisse proposto improvvisamente alla sua semplicità" [in Tommaso d’Aquino, ed. Guida, Napoli 1992, pag. 122].
La lettera ai Colossesi dice che "tutte le cose sussistono in Lui". [1,17]. Un esegeta del secolo scorso così commenta: "in Lui tutte le cose sono state create come nel cento supremo di unità, di armonia, di coesione, che dà al mondo il suo senso, il suo valore e perciò la sua realtà" [J. Huby, cit. da G. Sgargi (a cura di) Lettera ai Colossesi, EDB 1999, pag. 35]. In sostanza, e questo è il punto centrale: ogni realtà e tutta la realtà ha in Lui la sua consistenza. Perdere il rapporto con Cristo è perdere il rapporto colla realtà; giungere all’identità fra il vostro rapporto con Cristo e il vostro rapporto colla realtà deve essere il vostro desiderio più struggente.
Facciamo qualche esempio. Quale consistenza ha la persona del bambino che voi cercate di educare nelle vostre scuole materne se voi vivete in Cristo il rapporto educativo con lui? Quale consistenza ha l’atto stesso dell’educare? Provate ora a pensare tutto questo fuori o comunque non deciso dal rapporto con Cristo. Fate bene attenzione: l’incontro colla realtà non è un "pretesto" per incontrare Cristo. Voi dovete godere di incontrarvi con la realtà del mondo, delle persone.
E’ questo il modo proprio della forma religiosa di vita di rispondere alla sfida del nichilismo contemporaneo, nella sua triplice faccia: la sfida di chi in Cristo ha gioiosamente ritrovato la realtà, ne ha scoperto la verità, ne ha amato la bellezza, nella condivisione di chi si dona all’altro.
Conclusione
Mi rendo perfettamente conto che molti dei temi li abbiamo appena sfiorati. Il mio voleva essere un invito alla riflessione mossa dalla preoccupazione pastorale di rimettere sempre Cristo al suo posto, perché questa oggi mi sembra la necessità più urgente nella Chiesa, come hanno dimostrato le singolari reazioni alla dich. Christus Dominus.
Quale risposta dare a questo uomo che ha smarrito la capacità di rapportarsi alla realtà con quella positività dello sguardo da farlo partecipe della visione stessa del Creatore che vedeva che tutto era buono? L’unica risposta è l’incontro con una persona che ha posto al centro della sua esistenza la Presenza di quella Persona nella quale ogni realtà trova la sua consistenza: la religiosa si è votata a questo modo di essere nel mondo in una forma esemplare suprema.
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