ISTITUTO SCOLASTICO SAN VINCENZO: INCONTRO CON I GENITORI
23 novembre 1995
Il nostro incontro è di importanza straordinaria perché
parleremo della cosa più preziosa che esista nell’universo, la persona
umana. Noi siamo qui per parlare della persona umana dei nostri bambini.
Il valore incomparabile della persona umana, del bambino e dell’adolescente
ha il segno della fragilità. Essa si affida a noi in un gesto di
incondizionata fiducia. Per questo già la sapienza pagana diceva:
al bambino si deve la massima riverenza.
Per dare un certo ordine alla mia riflessione, distinguerò la
mia riflessione in due parti.
1. Due pregiudizi anti-educativi
Vorrei dedicare il primo punto della mia riflessione alla individuazione
e descrizione di alcuni atteggiamenti. Essi possono prendere dimora
nella mente e nel cuore di chi ha responsabilità educative (genitori,
sacerdoti, insegnanti) e così impedire ogni vera proposta, ogni
serio impegno educativo. Potremmo chiamarli i “pregiudizi anti-educativi”.
Sono dei pregiudizi: non sono cioè risultati di un rigoroso discorso
razionale, ma solo attitudini emotive. Sono anti-educativi: se essi prendono
stabile dimora nel nostro spirito, ci impediscono di educare. Ecco perché
è così importante individuarli e descriverli accuratamente,
per difendersene ed eventualmente liberarsene.
1.1. Il primo pregiudizio anti-educativo (il più diffuso) lo
chiamerei il pregiudizio dello spontaneismo. Comincio col descriverlo in
termini molto semplici, per tentare poi una riflessione più profonda.
Esso consiste nel ritenere che educare significa non imporre nulla di certo,
non condizionare la persona, lasciare che sia essa a fare tutte le esperienze
perché poi - si dice - possa fare le sue scelte. Faccio subito un
esempio. Chi ha accettato questo pregiudizio, di solito quando si tratta
di scegliere la scuola per i propri figli, pensa che sia meglio o non inviarlo
a una scuola cristiana oppure se ve lo ha inviato ad un certo momento toglierlo,
per inserirlo in una scuola “laica”, in modo tale - si pensa - che possa
fare e conoscere tutte le esperienze.
Al di sotto di questa posizione ci sta spesso la convinzione
che “per la libertà del singolo ragazzo occorra che esso da solo
si formuli la sua unitaria concezione delle cose; e che ciò può
benissimo avvenire nell’indiscriminato spontaneo incontro con tutte le
teorie“ e tutte le esperienze. Ho chiamato “pregiudizio dello spontaneismo”
questo primo pregiudizio. Chi lo fa proprio infatti, pensa che non ci possa
essere o non ci debba essere alcuna guida oltre se stessi. E così,
con grande stupore, si osserva a volte che famiglie, le quali hanno comunicato
per anni ai loro bambini sicuri orientamenti di fondo, al momento della
adolescenza, non si preoccupano che la scuola “neutra” compia indisturbata
il suo lavoro di squilibrio interiore degli adolescenti stessi.
Vorrei ora mostrarvi perché si tratta di un pregiudizio,
mostrarvi cioè come chi accetta questa posizione si precluda ogni
possibilità di educare.
Partiamo da una esperienza umana molto diversa da quella educativa
di cui stiamo parlando. Ogni grande scoperta scientifica è stata
possibile perché lo scienziato si era mosso per verificare una ipotesi
che egli aveva formulato. Di solito, cioè, nella storia della scienza
le cose sono andate nel modo seguente. Lo scienziato si pone una domanda:
come mai - si chiede Newton - cade la mela sulla mia testa e la luna non
cade sulla terra? Formula una ipotesi: perché esiste tra i corpi
una forza di reciproca attrazione che ... E’ una interpretazione della
realtà che però deve essere verificata: se essa resiste alle
verifiche, è accettata. Qualcosa di simile accade nel rapporto educativo.
La persona umana (del bambino o dell’adolescente) si inserisce
sempre più nella realtà e sente il bisogno profondo di scoprirne
il significato, di interpretarla cioè (ritornerò più
avanti su questo punto). Ora, a questo punto, può accadere uno dei
seguenti due fatti.
Al bambino, all’adolescente viene offerta dall’educatore (dal
genitore, dall’insegnante, dal sacerdote) una proposta esplicativa della
realtà, una proposta che per l’educatore è l’unica vera.
Questa proposta funziona per l’adolescente come una specie di ipotesi esplicativa,
sulla base della quale egli si muoverà fino a giungere alla sua
propria visione della realtà ed alle proprie scelte. Ecco la persona
matura: sa ragionare; sa scegliere.
Al bambino, all’adolescente non viene offerta dall’educatore nessuna
proposta esplicativa, ma solo una serie di proposte una contraria all’altra.
Che cosa succede nell’adolescente? egli deve camminare senza nessuna precisa
direzione; si genera in lui quella incertezza esistenziale che tanto spaventa
il giovane, richiamato come è dalla realtà ad una adesione
precisa; il risultato è l’indifferenza, la carenza di impegno che
toglie al giovane ogni gioia e passione di vivere. Ecco la persona distrutta:
non sa ragionare e ritiene inutile farlo e quindi non è lui a guidare
la propria vita, ma sono altri o altro a farlo.
Ho finito la riflessione su questo primo pregiudizio anti-educativo.
Essa ci ha fatto guadagnare una convinzione: non è possibile nessuna
educazione senza la proposta chiara di una interpretazione unitaria e certa
di tutta la realtà.
1.2. Il secondo pregiudizio anti-educativo è molto connesso con
quello precedente; esso riguarda l’autorità: lo chiamerei il pregiudizio
dell’anti-autorità. Esso si presenta di solito nelle vesti di una
attitudine di passività nei confronti della responsabilità
educativa. Si comincia col dire che oggi i bambini, gli adolescenti sono
più svegli di prima, sono più intelligenti e meno timidi.
E si finisce col dire da parte dei genitori, e degli educatori, che si
ha più da imparare da loro che da insegnare loro. E a questo punto
l’autorità educativa è scomparsa e con essa l’educazione
tout court.
Per capire bene la portata distruttiva di questo pregiudizio
dobbiamo riflettere bene sul concetto di autorità educativa. Che
cosa sia l’autorità nel processo educativo non è difficile
a capire se ricordiamo ciò che abbiamo detto poc’anzi. Brevemente
(e poi mi spiegherò): l’autorità è il “luogo” in cui
il bambino o l’adolescente trova l’ipotesi esplicativa della realtà,
che egli deve verificare. Mi spiego. Vi ricordate che cosa significa e
come funziona l’ipotesi esplicativa della realtà. Ebbene la persona
che possiede questa ipotesi, che la vive perché è certa della
sua verità e che quindi la pro-pone al bambino o all’adolescente,
è la persona che nel processo educativo ha autorità. Essendo
questa, nel bambino, nell’adolescente che sente insopprimibile il bisogno
di una spiegazione globale dell’intera realtà, l’autorità
suscita una inevitabile soggezione, obbedienza. Ora, nell’età prima
della vita (si chiama la “minore età”), è la Sapienza provvidente
di Dio stesso, attraverso la natura, a fissare l’autorità diciamo
originaria, cioè i genitori stessi.
Il pregiudizio anti-autorità consiste nel negare di fatto
(almeno) che nel rapporto educativo debba esserci un’autorità (nel
senso suddetto), poiché, si pensa, nel rapporto educativo non deve
essere proposta al bambino o all’adolescente nessuna ipotesi esplicativa
della realtà. Appunto: nell’educazione non c’è autorità.
Non è difficile capire come questo pregiudizio renda impossibile
ogni atto educativo. Se scompare ogni autorità, se non esiste
più “luogo” in cui il bambino e l’adolescente trovino espresso il
“significato possibile” della realtà in cui vive, egli cadrà
o in quell’incertezza radicale di cui ho già parlato oppure sarà
portato a esigersi maestro di se stesso, con quella presunta impertinenza
che caratterizza oggi così spesso il giovane, incapace di un vero
approccio alla realtà, chiuso come è nel “mi piace - non
mi piace”.
(Si potrebbe parlare a questo punto dell’autorità della e nella
Chiesa: si capisce l’autorità del santo, l’autorità dei Pastori).
Ho finito la riflessione su questo secondo pregiudizio anti-educativo.
Essa ci ha fatto guadagnare una convinzione: non è possibile nessuna
educazione se si abdica alla propria autorità educativa.
2. Quale “ipotesi esplicativa” della realtà?
In questo secondo punto della mia riflessione vorrei aiutarvi a capire
sempre più profondamente perché la Chiesa si attribuisce
una autorità educativa e come la esercita.
2.1. La risposta alla prima domanda è molto semplice: la Chiesa
si attribuisce una autorità educativa perché possiede la
“ipotesi esplicativa” della realtà intera. Questa ipotesi si chiama
Gesù Cristo. La Chiesa, cioè, ritiene il Signore Gesù
il significato, il principio, lo scopo dell’intera creazione, di tutta
la realtà. Non dobbiamo ora spiegare lungamente questa affermazione.
Mi limito solamente ad accennare alla sua valenza educativa.
La fede nel Signore Gesù non è qualcosa che si
aggiunge alle altre esperienze: essa è la chiave di volta di tutto
l’arco dell’esistenza. Vi dicevo che non si può educare se non si
fa la proposta di una interpretazione completa di tutta intera la realtà.
La Chiesa ha la coscienza di possedere questa “chiave interpretativa globale”
e perciò si sente “autorizzata” (nel senso che abbiamo già
spiegato) ad educare la persona umana.
Vorrei subito rispondere a una difficoltà che può
essere sorta dentro di voi o che comunque a questo punto viene sempre fatta
di fronte a questa “pretesa educativa” della Chiesa. Si dice: se si accetta
la Chiesa come “soggetto educativo” inevitabilmente si deve accettare un
integralismo educativo che genera intolleranza e fanatismo. Dobbiamo ora
ragionare rigorosamente su questa opposizione. Essa può significare
due cose.
Primo: si intende rifiutare l’autorità educativa della
Chiesa perché si rifiuta il concetto stesso di autorità nell’educazione;
si rifiuta il concetto stesso di autorità nell’educazione, perché
si rifiuta ogni proposta esplicativa della realtà, come base di
ogni rapporto educativo. In poche parole: il rifiuto della autorità
educativa della Chiesa non è che la conseguenza dell’accettazione
di quei due pregiudizi antieducativi di cui ho già parlato. Non
mi ripeto.
Secondo: si rifiuta l’autorità educativa della Chiesa
in quanto la si ritiene incapace di educare a causa della inevitabile chiusura
ad una parte della realtà, in cui cade chi accetta l’ipotesi educativa
della Chiesa. Questa seconda posizione merita di essere seriamente esaminata.
Che cosa significa che nell’educazione cristiana, Cristo è
la “ipotesi esplicativa” della intera realtà? Significa due cose.
Primo, che ogni verità di qualunque genere, ogni valore ovunque
sia, ogni esperienza umana che sia buona, che sia bella, è nativamente
un riflesso, come una risonanza di Lui, un frammento della sua Pienezza.
Secondo, che ogni verità ... chiede di essere condotta a Lui proprio
perché si realizzi in tutta la sua pienezza. Chi ha capito questo,
quale attitudine ha verso la realtà, verso ogni realtà? di
una accoglienza di tutto ciò che di vero, di buono, di bello esiste
nel mondo, una instancabile ricerca di tutto ciò che di positivo
si ha nel mondo, convinto come è che ogni frammento chiede di essere
inserito nel tutto per essere salvato. In che cosa consiste l’integralismo
intollerante e fanatico? nell’affermare come intero ciò che è
solo parte, come tutto ciò che è solo frammento. Perché
l’ipotesi educativa cristiana è contro ogni forma di integralismo?
perché vuole collocare la persona umana nel centro da cui partono
e a cui arrivano tutti i raggi. In una parola: l’educazione della Chiesa
è una educazione cattolica.
2.2. Ora si dovrebbe vedere come la Chiesa esercita la sua autorità
educativa. Non lo faccio. Mi limito solo ad un accenno e finisco.
Uno dei luoghi fondamentali in cui la Chiesa esercita la sua
autorità educativa è la scuola. Avremo altre occasioni di
parlare lungamente della scuola cattolica. Mi limito a tre osservazioni.
La prima. La scuola è cattolica quando è fortemente
e chiaramente unificata attorno a quella che ho chiamato l’ipotesi esplicativa
della realtà, che sta alla base del progetto educativo della Chiesa.
La seconda. L’educazione dei figli non è un optional per
i genitori: è la loro stupenda missione. I genitori credenti sono
chiamati ad essere il segno evidente della educazione della Chiesa. La
scelta della scuola è una scelta di importanza decisiva. So bene
che esistono anche problemi economici: ne dovremo parlare accuratamente.
La terza. Il vescovo è compartecipe della missione educativa
dei genitori in quanto responsabile dell’educazione della Chiesa. Egli
quindi ha una profonda corresponsabilità nella educazione dei bambini
o degli adolescenti. Dovremmo vedere come vivere ed esercitare questa corresponsabilità.
Ho finito. Vorrei terminare colle parole con cui ho cominciato.
La singolare dignità della persona che ci è stata affidata:
la persona umana da introdurre nella Realtà. E’ la nostra passione
educativa: condurre la persona umana alla pienezza del suo essere-persona,
nella gioia dell’incontro con Cristo.
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