VANGELI E STORICITA’ - AULA MAGNA UNIVERSITA’ FERRARA
11 LUGLIO 1996
Consentitemi di cominciare il mio breve intervento con due citazioni.
La prima è di Platone:
“Che cosa ne dovremmo pensare se ad un uomo mortale capitasse di poter
contemplare il bello in se stesso, assoluto, puro, non mescolato per niente
con la carne umana e con il corpo umano, ma potesse contemplare la stessa
bellezza di Dio? O uomo, tu ritieni forse una vita ancora mortale quella
di colui che potesse riuscire a vedere una tale bellezza? Se mai altro
uomo lo divenne, costui diventerebbe immortale e avrebbe la vita eterna”.
La seconda è di Leopardi:
“Cara beltà...
Fra cotanto dolore
quanto all’umana età propose il fato,
se vera e quale il mio pensier ti pinge,
alcun t’amasse in terra a lui fora
questo viver beato ...
e teco la mortal vita saria
simile a quella che nel ciel india”.
E’ difficile trovare due testimonianze più identiche e più
contrarie, nello tesso tempo, di queste.
Identiche: è il desiderio, l’invocazione del cuore umano
di “contemplare la stessa bellezza di Dio”, che pervade sia il testo del
filosofo che il testo del poeta. In una pagina mirabile, S. Tommaso parla
della presenza nella persona umana di un “desiderium naturale videndi Deum”
E’ un desiderio che il grande aquinate scopre presente in quella “curiosità”,
in quello “stupore” che l’uomo prova di fronte alla realtà e che
lo spinge a cercare la causa della realtà medesima.
Contrarie: il contrasto si pone quando l’uomo si domanda se sia
possibile vedere “la bellezza stessa di Dio” in questo mondo. Il filosofo
lo esclude radicalmente: ogni presenza della bellezza stessa di Dio nella
carne umana comporta una deturpazione della bellezza medesima. Il poeta
lo invoca senza posa: solo se la bellezza prende corpo, può essere
vista dall’uomo e si realizza l’incredibile, “la mortal vita saria/ simile
a quella che nel ciel india”. La “mortal vita” che si “divinizza”.
Chi ha ragione il filosofo o il poeta? La risposta a questa domanda
è il Cristianesimo. E la risposta è la seguente: «ciò
che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi,
ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani
hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è
fatta visibile, noi l’abbiamo veduta) ... perché la nostra gioia
sia perfetta». Questo è il Cristianesimo: il Verbo della vita
si è fatto carne e così è dato all’uomo mortale “di
poter contemplare il bello in se stesso”, perché è divenuto
carne umana.
Da questo deriva la “centralità” che per il cristiano
ha la storia di Gesù Figlio di Dio intesa come “quanto Gesù
Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò
ed insegnò per la loro salvezza eterna, fino al giorno in cui ascese
al cielo” (Dei Verbum 19): ogni separazione fra un Gesù della storia
e un Cristo della fede distrugge semplicemente la fede cristiana. E questo
è stata l’impresa della modernità.
“Nell’età moderna si è infatti scoperto, e sempre con
maggior nitidezza che cosa sia essenziale anche nel cristianesimo o nel
Gesù storico! Non ciò che è esteriore, casuale, storico,
bensì lo Spirito universale, l’identità di soggetto ed oggetto,
di finito ed infinito, di Dio ed uomo in generale. E non è forse
«tolto» qui, nel migliore dei modi, ciò che stava a
cuore a Gesù? Essenziale non è tanto l’evento unico, o il
concreto Gesù storico (che non viene però negato), bensì
il contenuto assoluto, l’idea di cristianesimo, l’idea della identità
di Dio e di uomo, la conciliazione di Dio e di uomo nello Spirito assoluto
come processo eterno”. (H. Kung, Incarnazione di Dio. Introduzione al pensiero
teologico di Hegel, prolegomeni ed una futura cristologia, pp. 461-462)
Il risultato è stato la riduzione di Gesù il Cristo ad
una pura occasione per poter parlare poi d’altro: di solidarietà,
di pace o d’altro ancora. E l’uomo è stato consegnato solo ad una
legge morale dalla quale egli si è ben presto liberato, poiché
non esiste una legge in grado di far osservare la legge. E nulla è
più noioso di un cristianesimo ridotto a predica morale!
La riflessione di questa sera si inscrive dunque nel contesto
di un drammatico “scontro”, In che senso ed in che modo? E’ necessario
precisarlo bene.
Il cristianesimo si propone dunque come l’annuncio che Dio si
è fatto uomo e chiede all’uomo di credere che la “storia” di Gesù
di Nazareth è la storia di una divina Persona. Ma nello stesso tempo,
ti chiede che il tuo atto di fede sia un atto ragionevole. Che cosa significa
“ragionevole”? Non significa che quell’affermazione ti risulti come vera
ed intelligibile alla luce della tua ragione. Significa che esistono dei
motivi di credibilità tali che la decisione di credere non è
“affatto un cieco moto dello spirito”. Di conseguenza, il credente può
“rendere ragione della sua speranza” anche a chi non crede. Ed anche chi
non crede può verificare se questa “resa di ragione” è tale,
cioè di ragione, oppure è solo esclamazione di stati d’animo.
All’interno della ragionevolezza della fede si colloca il problema
della storicità dei Vangeli: problema certo che non va sopravalutato,
ma neppure svalutato. Nel suo “rendere ragione” la Chiesa dice: “Gli autori
sacri scrissero i quattro Vangeli ... sempre però in modo tale da
riferire su Gesù cose vere e sincere” (DV 19). Ora è noto
a tutti che l’affidabilità di un documento scritto è tanto
maggiore quanto più vicina ai fatti narrati è la sua composizione.
Dunque, la domanda sulla datazione dei vangeli è una domanda seria
sia per il credente sia per il non credente. Non perché la fede
nel Dio fatto uomo dipenda dalla data dei vangeli. Ma il fatto che quello
scritto sia degno di fede storica a causa della sua vicinanza all’avvenimento
narrato, costituisce uno degli elementi essenziali che formano quel fondamento
razionale, capace di rendere ragionevole e degno dell’uomo l’atto di fede
propriamente detta. La presenza dunque fra noi del prof. Thiede è
un grande avvenimento.
Concludo leggendo un appunto preparato da Dostoesvskij per I demoni:
“Su Cristo potete discutere, non essere d’accordo... Tutte queste discussioni
sono possibili, e il mondo è pieno di esse e a lungo ancora ne sarà
pieno. Ma io e voi sappiamo che sono sciocchezze; che Cristo, se fosse
solo uomo non sarebbe il Salvatore e fonte della vita; che la sola scienza
non completerà mai ogni ideale umano, e che la pace e la gioia per
l’uomo, la fonte della vita per l’uomo, la salvezza dalla disperazione
per tutti gli uomini, la garanzia del significato dell’intero universo,
si racchiudono in queste parole: E il Verbo di è fatto carne”
Ecco perché ciò di cui parleremo questa sera riguarda
in un qualche modo il senso stesso della nostra vita.
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