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INTRODUZIONE ALLO STABAT MATERdi G. B. Pergolesi
Chiesa S. Maria Nuova e S. Biagio
20 marzo 1998
Ciò che questa sera stiamo vivendo è come l’introduzione
alla Grande Missione che inizieremo domenica. E sento profondo il bisogno
più che il dovere di ringraziare chi ha reso possibile questo
momento: l’orchestra del Conservatorio di Ferrara, il Centro Culturale
“L’umana avventura”, in particolare il Dott. Carlo Tellarini, tutti.
E’ un modo singolare di introdurci nella Missione, ma è
forse quello più adeguato: essere aiutati a concentrare tutto noi
stessi – intelligenza e cuore, affettività e sentimento, ragione
e passione – sull’avvenimento che in fondo la Missione vuole fare incontrare
ad ogni ferrarese. Ora solo l’arte, (la musica in particolare) è
capace di introdurre tutto l’uomo alla contemplazione del Mistero della
nostra salvezza. E’ questo mistero che vogliamo sia annunciato a ciascuna
casa: l’amore di Dio che si manifesta nella morte di Cristo. “Ed io ti
amo”, abbiamo scritto su tutti i muri della nostra Città.
Ma c’è un fatto che sembra contestare quest’affermazione,
che la fa suonare come falsa: la sofferenza e la morte. L’esperienza della
sofferenza e della morte è il vero banco di prova: se infatti non
ha senso il morire, allora non ce l’ha neppure il vivere, dal momento che
questo finisce inevitabilmente in quello. Ha ragione chi ha ragione in
punto di morte. Il cristianesimo è un morto risorto in carne ed
ossa: è uno che ha vinto la morte e ci vuole rendere partecipe di
questa nuova vita.
Questa sera sentiremo narrare l’esperienza straordinaria di un
uomo, un giovane poco più che ventenne che già si sapeva
condannato alla morte imminente. Quel giovane ha trasformato questa “condanna”
nella certezza che anche nel disfacimento della sua giovane persona, nulla
di vero e di buono andava perduto. Quest’esperienza egli l’ha narrata,
narrandoci il dolore di Colei che più di ogni altro ha vissuto e
risolto l’intima contraddizione del nostro vivere: Maria ai piedi della
Croce.
Solo una lingua era capace di narrare tutto questo: la musica.
Questa narrazione finisce allo stesso modo con cui finisce la nostra professione
di fede: Amen. Cioè: sì, è così! Soltanto Cristo
può far percepire e vivere interamente l’amore, la bellezza, la
giustizia: anche ad un giovane di soli 26 anni distrutto dalla tisi ossea.
Finis. Deo gratias: scrive Pergolesi alla fine dello spartito.
Morirà dopo pochi giorni. E’ il sigillo messo sulla breve esistenza
di un giovane “che nell’Amen innalza, dal suo stato rattrappito dalla malattia,
il più fulgido ringraziamento al Mistero che salva attraverso il
dolore”.
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