INCONTRO SINDACATI
19 GIUGNO 1996
Ho desiderato profondamente questo incontro per la stima che nutro
verso l’organizzazione sindacale, attesa la sua decisiva importanza nella
costruzione di una società, nella quale l’uomo possa vivere con
dignità.
Sono venuto in mezzo a voi privo di qualsiasi competenza per
risolvere i problemi economici che tanto vi assillano: non è questo
il compito di un Vescovo. Sono venuto in mezzo a voi non per difendere
gli interessi di chicchessia: sono povero e non ho interessi da difendere.
Sono venuto con una sola passione nel cuore: la passione per la dignità
di ogni persona umana, fondata sul suo essere persona umana. L’unico “privilegio”
che posso attribuirmi è questo: farmi promotore e difensore della
verità dell’uomo. Sono sicuro che parlando di “dignità”,
di “verità” della persona umana, scendo alle radici della vostra
storia e del vostro impegno. E dunque sono sicuro di essere compreso.
1. Vorrei precisamente cominciare la mia riflessione da quello che considero
essere il “punto centrale” di ogni visione o dottrina della società:
il concetto di persona come soggetto autonomo di decisioni morali, il quale
costruisce l’ordine sociale mediante tali decisioni. Non sono in grado,
non ho la competenza di dirvi che cosa significhi concretamente questa
centralità della persona nella costruzione sociale. Chiedo precisamente
alla vostra sapienza e saggezza, alla vostra competenza di tradurre in
pratica questa centralità.
Da parte mia, mi limito a sottoporre alla vostra riflessione
alcuni (li chiamerei) “assiomi di transizione”: transizione dall’affermazione
della centralità della persona alla soluzione dei difficili problemi
pratici.
Il primo assioma mi sembra il seguente: centralità della
persona non significa centralità dell’individuo. Dire che l’uomo
è una persona non equivale a dire che è un individuo. L’individuo
è un soggetto che si considera separato e contrapposto ad ogni altro:
una sorta di casa senza porte e senza finestre. Una visione individualistica,
nella costruzione della società, è esattamente all’opposto
di una visione personalista. Chi dice “persona”, dice qualcuno che ha un
senso profondo della condivisione, del bene comune. E’ necessario che buttiamo
a mare l’idea di un supposto “diritto alla propria felicità individuale”
che sta devastando la nostra società. Si apre qui un grande e fecondo
campo di impegno e di lotta, in nome della giustizia, per le vostre organizzazioni.
Il secondo assioma su cui vorrei richiamare la vostra attenzione,
è il seguente: proprio perché l’uomo non è un individuo,
ma una persona, egli non viene al mondo da solo, ma dentro la famiglia.
Dire “centralità della persona” equivale a dire “centralità
della famiglia”. Non si possono mai affrontare i problemi dell’uomo, i
problemi intendo dire sociali ed economici, astraendo dal fatto o dimenticando
il fatto che egli è sempre membro di una famiglia. Non posso tacere
il mio stupore di fronte ad una proposta, non ancora approvata fortunatamente,
di o.d.g. del Consiglio Comunale di Ferrara, riunito in seduta straordinaria
il 31-05-96, dedicata all’infanzia: in esso non è affermato il ruolo
primario della famiglia! Gravissima lacuna che rischia di rendere inefficace
le altre pur positive proposte. L’affermazione della centralità
della famiglia è affidata in maniera decisiva anche a voi, sindacati,
che contrattate non solo i minimi salariali, ma anche le condizioni di
lavoro.
Il terzo assioma su cui vorrei attirare la vostra attenzione,
è la continuazione ideale del secondo. Lo chiamerei la soggettività
della società civile. Mi spiego. Non c’è un passaggio diretto
dall’individuo allo stato, come se l’uomo vivesse o individualmente o politicamente.
Esistono socialità intermedie che, in quanto espressioni della persona
umana, hanno, sempre dentro il bene comune, la loro propria autonomia.
E’ questo che si chiama “soggettività della società civile”.
E’ compito della vostra sapienza e saggezza giudicare nei fatti se questa
soggettività è rispettata o se, al contrario, non esista
un’invadenza vera e propria dello Stato nel sociale. In questo contesto
la vostra autonomia di giudizio e di impegno dalle parti politiche, è
un valore costitutivo del bene comune. Di questa autonomia dovete essere
custodi gelosi. Una corretta affermazione della soggettività della
società civile è condizionata dal rispetto di due esigenze
fondamentali: l’esigenza della sussidiarietà e l’esigenza della
solidarietà.
L’esigenza della sussidiarietà chiede che lo Stato e in
genere ogni ente pubblico non faccia ciò che può essere fatto
dalle libere associazioni e che aiuti queste associazioni.
L’esigenza della solidarietà chiede che tutto avvenga
nel contesto del bene comune, ponendosi a difesa dei più deboli,
assicurando anche a questi l’esercizio dei diritti fondamentali della persona
umana.
Nel contesto di questa riflessione, consentitemi di fermare la
mia attenzione, e di chiedere anche a voi di fare altrettanto, sull’importanza
fondamentale che ha la libera iniziativa, il lavoro libero, la possibilità
concreta di investire mezzi ed energie umane e non, per produrre beni.
Questa importanza è sempre stata riconosciuta nei fatti? Scoraggiarla
comporta sempre un grave danno per la società. Lo dico soprattutto
pensando alla nostra situazione occupazionale. Lo dico pensando alla drammatica
“fuga” dalla nostra città di forze di ogni ordine, che potrebbero
ridarle slancio.
Si pone nel contesto di questa problematica il tema della giusta
funzione del profitto.
Ho detto “giusta”, poiché esso (il profitto) è
uno degli indicatori del buon andamento dell’impresa. “Quando una azienda
produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati
adeguatamente impiegati e i corrispettivi bisogni umani debitamente soddisfatti”
(Enc. Centesimus Annus 35,2). Certo: il profitto non è l’unico indice
delle condizioni dell’impresa. E’ possibile che i bilanci siano in ordine
e che gli uomini siano umiliati e offesi. La vostra funzione, al riguardo,
ha anche un carattere altamente culturale.
Centralità della persona contro una costruzione sociale
sempre più dominata dall’individualismo, centralità della
famiglia come luogo originario dell’esperienza umana, soggettività
della società civile contro una invadenza eccessiva del “pubblico”
sono - mi sembra - tre fondamentali assiomi “di passaggio”, come li ho
chiamati, per tradurre in termini concreti di società, di economia,
di costume sociale l’affermazione della dignità della persona.
2. In questo secondo, breve punto della mia riflessione consentitemi,
in nome della “passione per l’uomo” di cui parlavo all’inizio, di affidare
a voi alcune mie gravi e costanti preoccupazioni, e così concludere
la mia conversazione.
La prima riguarda, come potete immaginare, il problema dell’occupazione
giovanile. Mi rendo conto che parlando di disoccupazione giovanile, parlo
di un problema che è l’incrocio di molti altri problemi: la possibilità
delle imprese di creare nuovi posti di lavoro, la preparazione professionale
(quale è il modo migliore di preparare il giovane?), una “fragilità
psicologica” presente oggi nei giovani che li porta a rimandare scelte
decisive per la loro vita. E sono solo alcuni problemi che si incrociano
nel problema della disoccupazione giovanile.
Perché non pensare alla convocazione di un seminario di studio
o una conferenza dedicata a questo problema, organizzata dalle confederazioni
sindacali della nostra provincia?
La seconda riguarda il problema del lavoro delle donne, in particolare
quelle coniugate, con figli o con altri impegni di cura verso persone della
cerchia familiare. Ritengo che qui ci troviamo di fronte ad una grande
questione sociale: la difficoltà per la donna di conciliare un lavoro
extra-domestico (sempre più richiesto alla donna) con l’impegno
di custodire i valori propri della comunità familiare. Non si potrebbe
verificare se la promozione, a tutti i livelli, del part-time non costituisca
una delle soluzioni? senza, ovviamente, farne una panacea: non lo è.
La terza preoccupazione è per me, pastore della Chiesa,
la più seria. Ve la comunico, poiché penso che anche le organizzazioni
sindacali abbiano un loro compito proprio e specifico, al riguardo.
Noi tutti sappiamo che per secoli l’attività economica
era rivolta a soddisfare quei bisogni fondamentali, fissati già
in un qualche modo dalla nostra costituzione corporea. Oggi non è
più così, almeno per larga parte dell’umanità. L’attività
economica si orienta sempre più a soddisfare nuovi bisogni: quali?
E’ precisamente a questo punto che emerge un problema di incalcolabile
portata culturale. Quali bisogni? Dicevo. “Nel modo in cui insorgono e
sono definiti i nuovi bisogni, è sempre operante una concezione
più o meno adeguata dell’uomo e del suo vero bene; attraverso le
scelte di produzione e di consumo si manifesta una determinata cultura,
come concezione globale della vita” (Doc. cit. 36,2). E’ il problema del
consumismo. Esso impone una riflessione critica e rigorosa, sulla base
di una visione integrale della persona umana; una visione cioè che
veda tutte le dimensioni della persona umana, secondo la loro giusta gerarchia.
Sono riflessioni che, nonostante l’apparenza in contrario, hanno anche
un grande impatto sociale-economico, poiché, alla fine, determinano
la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore
produttivo piuttosto che in un altro.
Ho terminato. Vi chiedo troppo? Non lo credo, ben conoscendo che
la radice ultima di ogni impegno sindacale degno di questo nome, è
la passione per la dignità dell’uomo. Dignità che non è
la generosa concessione di nessuno, ma è inscritta nel suo semplice
essere.
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