GRANDE MISSIONE CITTADINA
Ferrara 27 marzo 1998
Incontro con i sindacati
Vi ringrazio profondamente per l’invito fattomi ad incontrarvi, ad incontrarvi
durante la Grande Missione cittadina. Essa è certamente una decisione,
un’iniziativa presa e realizzata dalla comunità dei credenti. Ma
ha un destinatario ben preciso: la persona umana, la persona umana nella
sua concreta vita quotidiana. E la persona umana non è un individuo
isolato, ma nasce e vive dentro a delle comunità, in primo
luogo la famiglia. Pertanto, proponendosi la Grande Missione come suo proprio
destinatario la persona umana, volendo la nostra comunità cristiana
porsi sempre più sulla sua propria strada, cioè l’uomo, questo
incontro non poteva in un certo senso non accadere. Tutta la vostra storia
in fondo è nata da una sola, grande preoccupazione: la persona umana.
Ne avete dato anche recentemente testimonianza, assicurando alla Charitas
diocesana un notevole contributo. E’ su questo comune terreno, su questo
interesse supremo, su questa massima preoccupazione che noi oggi ci siamo
incontrati: il comune terreno dell’umanità dell’uomo da promuovere,
l’interesse supremo dello sviluppo vero della persona da proseguire, la
preoccupazione massima della dignità della persona da difendere.
Poiché, alla fine, tutto parte dalla persona e tutto deve ritornare
alla persona: in economia come in politica, in Municipio come nello Stato,
ovunque.
Certamente, il compito e la competenza del vescovo è ben chiaramente
distinta dal vostro. Tuttavia, avendo ed io e voi la stessa finalità,
il bene della persona umana, abbiamo bisogno gli uni degli altri. Quale
vuole essere in questo momento di Missione l’apporto che io rispettosamente
vorrei dare al vostro impegno sindacale specifico? Nell’umile ma forte
consapevolezza che mi è stata affidata la cura di ogni uomo in questa
città in ciò che ne costituisce il valore proprio ed eterno,
la difesa della verità di ogni persona, vorrei molto semplicemente
attirare la vostra attenzione, l’attenzione del movimento sindacale intendo
dire, su ciò che oggi mi sembrano i principali attentati e insidie
alla dignità della persona umana nella nostra città. Se ciò
che vi dirò, vi sembrerà vero, esso allora diventi principio
di azione, criterio di giudizio e direttrice di azione per il vostro necessario
impegno sindacale.
1. La mia prima riflessione è ancora di carattere generale, ma
è, credo, di particolare importanza per la nostra città.
Lo sviluppo economico non è solo dovuto a considerazioni e decisioni
di carattere tecnico, ma anche e soprattutto di carattere etico. Che lo
sviluppo economico medesimo, infatti, accada in un modo piuttosto che un
altro non è la conseguenza di leggi economiche semplicemente né
tanto meno di una specie di fatalità dipendente dalle condizioni
naturali o dall’insieme di altre circostanze. La concezione stessa dello
sviluppo economico ha la sua origine fuori da considerazioni economiche,
perché nasce sempre da una visione dell’uomo. “Il vero sviluppo
non può consistere nella semplice accumulazione di ricchezza e nella
maggior disponibilità dei beni e servizi, se ciò si ottiene
a prezzo del sottosviluppo delle moltitudini, e senza la dovuta considerazione
per le dimensioni sociali, culturali e spirituali dell’essere umano” (Giovanni
Paolo II, Lett. Enc., Sollecitudo rei socialis 9; EV 10/2524).
In questa prospettiva ho parlato di preoccupazioni per il bene intero
della persona umana, per la sua dignità, come direttrici di azioni
per chi come voi ha responsabilità sindacali.
Ho parlato di “visione dell’uomo”. Che cosa intendo? Una cosa che è
al contempo estremamente semplice e profonda: sapere chi è la persona
umana, qualcuno non qualcosa; di conseguenza sapere che cosa è assolutamente
necessario per essa e di che cosa invece può anche far senza; i
suoi fondamentali diritti cioè. Una società che non assicuri
il necessario ad ogni persona umana, non intendo solo il cibo, deve essere
profondamente ripensata. Nella nostra città è assicurato
tutto ciò che è necessario alla dignità della persona
umana, di ogni persona umana? Vi chiedo di riflettere seriamente su questa
domanda. Consentitemi di aiutarvi in questa riflessione, richiamando la
vostra attenzione su due punti.
2. Partiamo dalla constatazione di un fatto che riguarda la società
ferrarese, ma non solo. Assistiamo ad un aumento della produzione, ma non
di posti di lavoro. Da questo dato nasce una domanda che sottopongo alla
vostra riflessione: un sistema economico che non ha più al suo centro
il lavoro dell’uomo, è ancora un sistema umanamente giusto? Che
posto deve avere il lavoro umano nel sistema economico?
So che tocco forse il punto centrale oggi dell’etica di ogni sistema
economico. “In passato la mano d’opera esuberante in agricoltura è
stata scaricata nell’industria (in Italia è scomparso l’80% dei
contadini nel giro di un secolo); la manodopera esuberante nell’industria
è stata scaricata nei servizi (in Italia è scomparso il 20%
degli operai manifatturieri nel giro di un triennio); la manodopera esuberante
nei servizi è stata scaricata nell’informazione (che, nei paesi
avanzati, impiega ormai il 40% della popolazione attiva). Oggi la tecnologia
e l’organizzazione permettono ai settori di destinazione ... l’assorbimento
di una aliquota di manodopera assai minore della massa liberata dai settori
di provenienza” (D. De Masi, Sviluppo senza lavoro, ed. Lavoro, Roma 1994,
pag. 14).
Ma non è neppure questo il lato più drammatico della
situazione. Esso è costituito da due fatti. Il primo è la
disoccupazione giovanile. E questo è un fatto irrazionale. Credo
che nessuna legge dell’economia possa spiegare o giustificare l’esclusione
delle giovani generazioni dalla produzione economica. Credo che questa
sia una delle “mine vaganti” nella nostra società fra le più
pericolose.
Certamente anche in questo problema entrano molte responsabilità,
in primo luogo il sistema scolastico sempre oscillante fra un’impossibile
rincorsa al sistema produttivo, col rischio di diventare solo “produttore
di produttori” e un’insipiente evasione dai veri bisogni dei giovani, col
rischio di essere da essi solo subito.
Il secondo fatto davvero allarmante lo vado scoprendo sempre più
in questi giorni, sulla base di numerose testimonianze dei nostri ottimi
parroci, persone profondamente vicine alla nostra gente. Esso consiste
nel progressivo impoverimento delle famiglie. Le famiglie sono sempre più
povere e molte di loro faticano ad arrivare alla fine del mese. Numerose
volte i due fatti si intrecciano: la famiglia spesso deve tenere nel suo
ambito anche economico giovani che hanno già superato abbondantemente
i vent’anni, precisamente perché non trovano lavoro.
Non sto facendo il processo a nessuno; non sto giudicando la politica
di nessuno. Dico solo questo: il lavoro non è un lusso per una persona
umana, è un diritto fondamentale; un uomo che non trova lavoro è
una “mezza-persona” e spesso è un disperato. Cresce il numero delle
famiglie povere; la disoccupazione (specie giovanile) non diminuisce in
modo consistente. Di fronte a questi fatti, chiedo a voi sindacati un grande
impegno per l’uomo: di fronte a chiunque ha responsabilità politiche,
amministrative, economiche, affermate ed esigete che il lavoro per tutti
sia la prima e fondamentale preoccupazione. Sia davvero concesso ogni facilitazione
possibile a chi vuole creare posti di lavoro; sia promossa e premiata la
libertà di impresa. Meglio una pianta viva che un tronco perfettamente
scolpito, ma morto. Non sentitevi in questo legati a nessuna parte: state
solo da una parte, dalla parte dell’uomo e del suo fondamentale diritto
al lavoro.
3. Vorrei anche richiamare la vostra attenzione su un altro problema
profondamente umano: il problema della sanità. Come voi sapete,
la Chiesa è sempre stata particolarmente attenta alla persona dell’ammalato.
L’ospedale moderno è stata una sua invenzione. La sofferenza accompagna
spesso il nostro già faticoso vivere umano ed il volto dell’uomo
sofferente rifulge per la Chiesa di un particolare splendore. La Chiesa
di Ferrara ha capito profondamente tutto questo: l’Arcispedale S. Anna
è stato fondato dal santo Vescovo il Beato Giovanni Tavelli.
Non voglio addentrarmi nelle questioni tecnico-amministrative,
perché non ho né la competenza né il diritto per farlo.
Ancora meno non voglio fare, come si dice, di ogni erba un fascio. Sarebbe
profondamente ingiusto non dire, non riconoscere con profonda gratitudine
e stima il lavoro che tanti fanno, nel modo migliore, nonostante innumerevoli
difficoltà, nel servizio sanitario: sia nelle strutture pubbliche,
sia nelle strutture private. Ci sono però dei fatti che testardamente
ci costringono a farci delle domande assai serie.
I fatti. In data odierna presso il Tribunale dell’ammalato, a far tempo
del primo gennaio giacciono già oltre 200 denunce. Nessuno vorrà
dire che sono poche. L’anno scorso erano un totale di 530. Sono cifre che
fanno riflettere.
Le domande. E’ necessario che si faccia una rigorosa verifica spirituale,
morale se nella gestione della sanità la persona dell’ammalato è
veramente messa al primo posto. Che la persona dell’ammalato non possa
essere una delle voci del bilancio, può essere detto solo da pseudo-moralisti
che vivono fuori della realtà oppure quell’affermazione è
e deve essere semplicemente la “stella polare” che orienta tutta la nostra
politica sanitaria? Diversamente che cosa è da mettere al primo
posto? Oppure questo modo di raginare significa prendere le cose
troppo alla larga, ritenendo che bisogna essere più concreti e più
pratici? Non lo credo. C’è bisogno più di sapienza che di
tecnica.
Sono sicuro che non lascerete cadere nel vuoto questa mia riflessione:
ho dato voce a tanti poveri non rispettati nella loro intangibile dignità
umana. La dignità dei poveri! so che è un valore a cui il
Movimento sindacale è profondamente sensibile. Ho dato voce a Cristo
stesso che ci giudicherà tutti e quanti, poiché davanti al
suo Tribunale tutti compariremo. Voglia Egli dirci: “ero ammalato e mi
avete curato; ero disoccupato e mi avete dato lavoro”!
Conclusione
Inviando domenica scorsa i più che seicento missionari laici
in ogni famiglia ferrarese, durante la S. Messa ho detto che la Grande
Missione è “la reintegrazione dell’uomo nella sua dignità,
il ritorno dell’uomo alla verità su se stesso … è la salvezza
di un bene fondamentale, del bene fondamentale di ogni persona: la sua
umanità chiamata a vivere col Padre”.
Se è così, la Grande Missione in realtà non finisce
il 5 aprile: è un impegno che deve continuare. Sono sicuro che l’intero
movimento sindacale, secondo la sua specifica finalità, non mancherà
di raccogliere questa sfida: ridonare ad ogni uomo la sua intera
dignità. Sono venuto a chiedervi di aiutarmi in questo, e ad assicurarvi
reciprocamente il mio aiuto in questo.
Grazie di avermi ascoltato.
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