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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Sessualità
alla luce dell’antropologia e della Bibbia


(Traduzione di Giovanna Dezza dell'opera Sexualidad a la luz de la antropología y de la Biblia, Instituto de Ciencias para la Familia, Universidad de Navarra, Madrid 1990, edito dalle Edizioni San Paolo nel 1994 - ISBN 88-215-2779-4)


 

Parte prima

Introduzione

L’obiettivo di questo breve saggio i. l’analisi dei presupposti antropologici fondamentali su cui si basano la struttura della sessualità umana e la comunicazione tra uomo e donna. Questi presupposti sono, a loro volta, alla base dell’etica sessuale di ispirazione cristiana ed è di estrema importanza chiarirli alla mente dell’uomo contemporaneo. Ritengo, infatti, che la difficoltà di comprendere oggi il comportamento proposto dall’etica sessuale cristiana dipenda in gran parte dalla loro anticipata "non accettazione".

Tali presupposti, secondo me, sono tre: in primo luogo, l’unità sostanziale della persona; in secondo luogo, l’integrazione della persona; e, in terzo luogo, l’esistenza di una legge naturale nella sessualità umana. In queste pagine verranno esposti solamente i primi due argomenti.

1.
L’unità sostanziale della persona

È importante chiarire, anzitutto, che il metodo adottato per l’analisi di questa tematica non è formalista né essenzialista, bensì metafisico. In altre parole, la realtà della persona e della sua unità sostanziale non sarà esaminata considerandone separatamente le singole componenti — corpo e anima — ma ci si avvvicinerà a esse nell’unità e dall’unità che sorge dalla comunicabilità propria dell’essere (spirituale).

La nostra coscienza ci rivela chiaramente due fatti molto importanti. In primo luogo, che le azioni dell’essere umano sono varie e diverse. In secondo luogo, che il soggetto che compie tutte queste diverse azioni è invece, unico. In altre parole: la coscienza ci rivela l’esistenza di una pluralità di operazioni in un unico soggetto operante. Ebbene, l’affermazione che c’è un’unità sostanziale dell’essere umano è la spiegazione metafisica di questi due fatti.

Ciò che caratterizza un essere che è persona (Dio, gli angeli, gli uomini) è la sua sussistenza, cioè, il fatto che l’essere personale è in se stesso ed è per se stesso. Facciamo un passo avanti. Solo l’essere spirituale e non il mero essere materiale può essere in sé e per sé. Esistono individui non spirituali: il mio setter, ad esempio. Invece, non troviamo persone che non siano spirituali. La ragione di ciò risiede nel fatto che, in senso stretto e pieno, solamente lo spirito può essere in sé e per sé. Si può dunque concludere che la personalità coincide con la spiritualità. Essere persona è lo stesso che essere spirito.

Una conferma, insieme importante e tragica, di questa identità essere persona-essere spirito si può osservare nel fatto che tutte le culture materialiste sono sempre culture antipersonaliste.

Nell’identità persona-spirito ha origine la questione fondamentale del presupposto antropologico della sessualità umana che stiamo analizzando, cioè, l’unità sostanziale della persona. Vediamo perché. Identificando la personalità con la spiritualità, in tal caso sembrerebbe che il corpo non possa avere un posto antropologico fondamentale. Il corpo sarebbe, in quanto oggetto materiale e non spirituale, qualcosa che la persona ha, qualcosa di sovrapposto al suo essere personale, ma non costitutivo della sua condizione di persona. Si aprirebbe così un dualismo irriconciliabile tra la persona e il corpo. Questa tesi dualista sembra costituire il presupposto antropologico attuale dell’etica sessuale moderna.

Fortunatamente, tale conclusione di segno dualista non viene richiesta dalla considerazione dell’identità tra personalità e spiritualità. È piuttosto il contrario. Il corpo è parte costitutiva della personalità. Questa affermazione è d’importanza capitale, ma deve armonizzarsi con un’altra che non lo è meno, vale a dire: l’essere umano è persona in primo luogo per la sua spiritpalità. Il corpo forma con lo spirito un’unità sostanziale. E proprio questa unità sostanziale che costituisce la persona.

Così si può comprendere che, essendo l’essere sommamente comunicabile, l’atto dell’essere che è proprio dello spirito è comunicato al corpo e, in virtù di questa comunicazione, il corpo è elevato alla dignità stessa della persona e diventa parte costitutiva di essa. Di conseguenza, da un punto di vista metafisico si può affermare che il corpo umano è personale e, a sua volta, che la persona è corporale. Questa è la tesi dell’unità sostanziale della persona. Da questa tesi si possono dedurre i seguenti corollari: a) il corpo umano è essenzialmente orientato a essere espressione della persona; b) il corpo umano è linguaggio della persona, anche se come ogni linguaggio può essere vero o falso, a seconda che sia o meno espressione ordinata dell’unità sostanziale che costituisce la persona; c) la castità, in quanto espressione ordinata di quell’unità sostanziale, rappresenta il vero linguaggio del corpo umano e suppone anche l’integrazione della persona, che è ora il secondo presupposto antropologico che dobbiamo analizzare.

2.
L’integrazione della persona

Il presupposto dell’unità sostanziale della persona, che la coscienza ci rivela attraverso l’esistenza di una pluralità di azioni differenti in un unico soggetto, significa anche l’esistenza di una possibilità strutturale di conflitto nella persona. Di nuovo, come prima, l’evidenza della possibilità di tali conflitti e contraddizioni sembra cospirare contro la tesi esposta dell’unità sostanziale. Dunque, come è possibile essere uno e allo stesso tempo poter essere contraddittorio? Esaminare come si risolve questo apparente conflitto significa sviluppare il presupposto antropologico che denominiamo con l’espressione "integrazione della persona".

La persona è un’unità sostanziale di corpo e spirito, ma entrambi sono principio di azioni diverse. In altre parole, la persona ha contemporaneamente una natura spirituale e una non spirituale e, di conseguenza, ha anche un dinamismo spirituale e un altro non spirituale. Esiste una differenza molto profonda tra i due.

Mediante il dinamismo non spirituale (il dinamismo fisico e quello psichico) si percepisce sempre la realtà in relazione alla persona, cioè, in quanto tale realtà le è utile, necessaria o piacevole. Invece, attraverso il dinamismo spirituale si percepisce la realtà in se stessa e per se stessa. In questo consiste la differenza essenziale tra le azioni spirituali e non spirituali della natura umana e qui risiede anche la possibilità di conflitto tra loro. Un esempio potrebbe essere il seguente: nonostante che l’intelligenza ci avverta della dignità di qualsiasi persona, è possibile e, sfortunatamente, accade spesso che il rapporto personale sia ridotto a meccanismo di piacere quando i soggetti dello stesso si concepiscono reciprocamente come realtà utile, necessaria o piacevole.

Ebbene, se la persona costituisce un’unità nell’essere (unità sostanziale di corpo e spirito), deve anche costituire un’unità al momento di agire, cioè, nel suo dinamismo spirituale e psicofisico. Questa unità nell’agire riceve il nome, in termini metafisici, di integrazione della persona. Gli elementi principali di questo tipo di unità sono i seguenti:

a) Cominciamo dalla pluralità di parti. Difatti, se la persona fosse solo spirito non ci sarebbe bisogno di integrità (1), perché lo spirito è semplice, in altre parole, non si compone di una pluralità di parti diverse. Tuttavia, sappiamo che la persona è un’unità sostanziale di corpo e spirito, ossia che contiene una pluralità di parti e di dinamismi propri di ognuna di esse. Ne consegue la necessità di un’unità di integrazione tra le azioni spirituali e quelle non spirituali della sua natura.

b) La necessità di tale integrazione ci rivela l’esistenza di una gerarchia o ordine tra le parti. Con ciò vogliamo dire che le parti — spirito e corpo — non hanno lo stesso valore: esiste tra loro un ordine assiologico. La componente spirituale ha più valore di quella non spirituale. Di conseguenza, si può dire che quella pluralità di parti diventa unità integrata proprio quando tali parti sono ordinate secondo la vera gerarchia derivante dal loro valore. Questa subordinazione gerarchica non implica nemmeno per un istante la distruzione, l’annullamento o l’assorbimento degli aspetti meno validi a opera dei più validi. Al contrario, implica che la componente che ha meno valore sia portata alla sua pienezza quando viene elevata, acquisendo così un maggior valore.

Il processo di integrazione nell’agire, e in generale nel comportamento umano, è teoricamente possibile per due ragioni. In primo luogo, perché nell’ordine dell’essere la persona è già un’unità. In secondo luogo, perché la proprietà specifica dello spirito è quella di esercitare un dominio su quanto non è spirituale.

Poiché la sessualità è una dimensione della persona, sono presenti in essa i tre dinamismi e azioni dell’essere personale: fisico, psichico e spirituale. Il processo di integrazione di questi tre dinamismi consisterà, in base a quanto abbiamo precedentemente esposto, nella subordinazione del dinamismo fisico a quello psichico, e di questo al dinamismo spirituale. Tale subordinazione, come abbiamo già notato, non comporta una distruzione o una diminuzione delle operazioni fisiche e psichiche da parte di quelle spirituali, ma, al contrario, consiste nella pienezza e nella perfezione dei primi livelli in virtù del loro contatto, della loro elevazione e governo da parte del livello più fortemente personale: quello spirituale. Se individuiamo il dinamismo fisico e psichico della sessualità umana come la sua dimensione "erotica" e il dinamismo spirituale come la sua dimensione "amorosa", potremo affermare che una sessualità umana integrata — in armonia con l’unità sostanziale della persona — sarà quella in cui l’eros è subordinato all’amore e governato da questo.

A livello pratico, ad esempio, l’integrazione della sessualità umana significa che l’atto psichico e l’atto fisico dell’unione sessuale vengono subordinati all’atto spirituale di donazione personale degli sposi, del quale passano a essere espressione. In conseguenza di ciò, l’atto di unione sessuale acquisisce la dimensione di essere un modo di intercomunicazione personale. Invece, senza questa integrazione, l’atto fisico dell’unione sessuale non sarà espressione di una previa donazione personale tra gli sposi, ma semplicemente espressione di un rapporto psicologico tra amanti, o può addirittura ridursi a un mero rapporto fisico tra soggetti, come accade nel caso della prostituzione.

3.
Il processo di personalizzazione della sessualità

La nostra esperienza interiore ci dice che esiste una differenza tra l’atto dell’intelligenza e quello della volontà, tra capire e volere. La volontà pone la persona in un atteggiamento di movimento verso ciò che vuole, di tensione dinamica verso la realtà. La radice di questo movimento della volontà è la bontà e il valore dell’essere, che è stato previamente compreso dall’intelligenza. La sua bontà e il suo valore costituiscono una forza di attrazione che muove la nostra volontà.

Modalità della volontà nel processo amoroso

La nostra volontà, davanti a questa forza di attrazione che la scatena, si può attivare secondo tre disposizioni o modalità principali: edonista, utilitarista ed etica.

a) Chiameremo modalità edonista quell’atteggiamento della volontà per cui questa si muove verso una realtà perché tale realtà si presenta piacevole per la persona. In sintesi, quest’atteggiamento si può descrivere con la seguente espressione: "Quanto piacere mi dà il fatto che tu esista e che possa essere per me motivo di godimento".

b) Denomineremo modalità utilitarista quell’atteggiamento della volontà per cui questa si muove verso una realtà perché tale realtà si presenta utile per la persona. Questa disposizione della volontà si può descrivere con la seguente espressione: "Quanto mi risulta utile che tu esista per me".

c) Chiameremo modalità etica quell’atteggiamento della volontà per cui essa si muove verso una realtà che si presenta buona per la persona e ciò indipendentemente da ogni piacere o utilità. L’atteggiamento della volontà etica di fronte alla realtà può essere descritta con la seguente espressione: "Com’è bello che tu esista, indipendentemente dal fatto che tu mi dia piacere o utilità". Si può dire che la modalità etica è nell’uomo come il modo di respirare, "il soffio vitale", proprio dell’eternità (2).

La volontà etica nell’apprendere l’amore

Mi sia consentita un’apparente digressione, necessaria per poi affrontare l’argomento. Per imparare ad amare, non basta educare le disposizioni della nostra volontà, perché il nostro giudizio per primo deve percepire la verità dell’amato. Pertanto, nell’amore c’è anche una componente di intelligenza. Un principio fondamentale nella comprensione metafisica dello spirito è il seguente: esiste nello spirito una proporzione tra la facoltà di intendere e quella di volere. In altre parole, c’è una proporzione tra intelligenza sensibile e volontà sensibile, e tra intelligenza razionale e volontà razionale o intellettuale. La questione è importante perché l’altro — l’amabile poi amato — può essere percepito nella sua dimensione sensibile e nella sua dimensione più profonda o come essere spirituale. In cosa consiste la differenza essenziale tra la volontà sensibile e la volontà razionale? La differenza consiste proprio nel fatto che, ipotizzata la precedente proporzione, essendo l’intendimento sensibile incapace di astrazione, quando la volontà si orienta verso una realtà personale (che non è solo corpo, ma anche e soprattutto spirito) e la volontà è solo sensibile, allora può volere quella realtà personale solo in quanto le si presenta come utile o piacevole, che sono le dimensioni captate dai sensi. Se la realtà amabile o amata è un oggetto d’oro, non c’è sproporzione tra la natura del nostro volere e la quantità di essere che la cosa nasconde, che è solo materia. Ma se la realtà amata è una persona, la volontà sensibile la capta limitatamente, se la vuole solo in quanto utile o piacevole.

Vediamo ora la proporzione tra intelligenza razionale e volontà razionale. Essendo l’intelligenza razionale capace di astrazione e universalità, per la suddetta proporzione, la volontà razionale, a differenza della volontà sensibile, vuole la realtà, qualunque sia, in se stessa e per se stessa, poiché capta e vuole la sua bontà o valore intrinseci, non la sua utilità o piacere per sé. Possiamo esemplificare questa percezione razionale e questa volontà di bene intrinseco nel seguente modo: la costruzione della cupola della basilica di San Pietro in Vaticano non obbedì a ragioni di utilità o necessità relative alla protezione fisica dell’interno del tempio; per questo sarebbe bastato costruire un semplice tetto. La motivazione dell’agire del geniale Michelangelo è stata, in fin dei conti, la bellezza intrinseca della cupola. Quindi, è proprio della volontà intellettuale o razionale volere una realtà in se stessa e per se stessa. In altri termini, la volontà intellettuale ha il potere di volere le cose nella stessa misura in cui queste meritano di essere volute, cioè, nella giusta misura del loro valore intrinseco o del loro grado di essere.

Ebbene, nell’universo dell’essere, in tutto il complesso della realtà, c’è una pluralità di esseri che posseggono ciascuno il proprio valore intrinseco. Ma tale valore intrinseco non è lo stesso in ogni essere: mio fratello e il mio setter non hanno lo stesso valore. L’atteggiamento della volontà etica di fronte alle varie realtà sarà allora direttamente collegato alla precisa o giusta misura in cui ogni realtà merita di essere voluta, ossia, nella misura del suo valore intrinseco o grado reale di essere. Da questo punto di vista possiamo comprendere senza difficoltà il principio etico fondamentale che regge l’apprendistato e l’attrazione per amare: "Ama ciascuna realtà nella misura in cui ognuna di esse merita di essere amata".

Di conseguenza, nella gerarchia del valore intrinseco di ogni essere, Dio, ad esempio, merita di essere amato nella stessa misura del suo essere infinito. Amare infinitamente Dio significa amarlo con ogni capacità umana d’amore, cioè, con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta l’anima. Le persone create, invece, non possono essere amate infinitamente perché questa non è la misura del loro essere, che non è infinito. Tuttavia, poiché sono esseri personali, devono essere amati in se stessi e per se stessi, perché questo valore radicale e incondizionato è il valore intrinseco proprio dell’essere personale. Infine, ci si deve chiedere come meritano di essere amate le cose. Le cose devono essere amate nella misura in cui servono per amare Dio e le altre persone create, cioè, nella misura della loro necessità e utilità per rendere effettivo l’amore che Dio e le altre persone meritano.

La disposizione della persona nell’amore

Dalla prospettiva che abbiamo indicata sopra, l’amore ci si presenta come il movimento della volontà che vuole il bene della persona amata in se stesso e per se stesso. Per questo motivo, il moto della volontà che vuole la persona amata per ragioni di mera utilità o di piacere personale è inumano, contrario alla dignità della persona e al valore intrinseco di questa. Ne consegue che la persona che cerca di amare con autenticità non è quella che cerca la persona amata "perché è utile che esista per me", "perché mi procura piacere disporre di te per me", o "perché è necessario per me che tu esista per soddisfare le mie carenze". Si dispone veramente all’amore chi dice della persona amata "che bello che tu esista in te e per te stessa, e mi impegno ad aiutarti a portare a pienezza il meglio di te", perché la sua ragione ha percepito profondamente il valore intrinseco dell’altro e la sua volontà lo apre a darsi all’altro nel compito di perfezionare la realizzazione del suo bene o valore intrinseco. Chi ama per utilità o per piacere non esce da se stesso, ma vuole la cosa per se stesso. Solamente chi dispone la propria volontà al valore intrinseco dell’amato, esce da sé, diventa apertura, si comunica e, in una parola, ama come persona.

L’amore profondo e autentico acquista la specificità dell’amore coniugale quando la persona che ama è capace di dire alla persona amata: "Tu, come mio sposo o come mia sposa, vali tanto da meritare il dono totale della mia persona alla tua persona".

Soltanto se il nostro spirito prevale sulle nostre dimensioni fisica e psichica possiamo amare in modo personale, perché solo lo spirito è capace di amare in questo modo profondo e autentico per cui la realtà amata è percepita e voluta nella sua dimensione di essere e di verità. La sensibilità — il mondo psicofisico dei sensi — non ha, invece, questa capacità per la comunicazione amorosa definitiva. A differenza dello spirito, la sensibilità è sempre utilitarista o edonista: percepisce l’altro solo nella sua componente utilitaria o piacevole. Questa caratteristica costituisce un limite naturale della sensibilità e, di conseguenza, non si deve emettere su di essa un giudizio etico negativo.

Dicevamo all’inizio di questo breve saggio che per l’analisi del tema dell’amore e della sessualità era necessario tenere presenti i presupposti antropologici della sessualità umana. Ne abbiamo analizzato due: l’unità sostanziale e l’integrazione della persona. Vediamo ora, in breve, la loro applicazione. In virtù dell’unità sostanziale della persona, la sessualità nella sua dimensione psicofisica è capace di amare in senso autentico e profondo quando tale dimensione psicofisica, senza essere annullata né distrutta, è integrata nello spirito e attraverso lo spirito della persona. Questa integrazione implica, a sua volta, la comparsa di una virtù specifica: la castità. Questa virtù è lo strumento di cui l’amore si serve per penetrare e personalizzare tutte le dimensioni dell’uomo, integrandole in un’unità. Quando si agisce alle sue spalle, la sessualità disintegra l’uomo. In questo senso, l’ansia d’amore e di comunicazione interpersonali, inerenti alla condizione sessuata dell’uomo e della donna, non possono manifestarsi, né realizzarsi in un senso integrante e pieno senza che i mondi fisico e psichico della sessualità di ciascun individuo vengano integrati nella condizione spirituale propria del suo essere persona. Perciò, la castità può essere definita come il linguaggio espressivo, nell’ordine fisico e psichico della sessualità umana, della realtà spirituale dell’amore.

Per il resto, esiste una perfetta identità tra il bene della persona e il suo stesso essere. Il bene di una persona è il suo essere personale, che, in quanto potenziale, ha bisogno dell’impegno di questa persona per la sua realizzazione nel corso della vita. In ciò consiste la realizzazione di se stesso. Dal punto di vista della comunione e della comunicazione amorosa tra i coniugi, si può affermare che la ricerca del bene dell’altro coniuge consiste nell’amare colui il cui essere personale si compia in tutta la sua verità e nel collaborare al conseguimento di questo fine. Diventare coautore del fatto che l’altro arrivi a essere il meglio che ha interiormente, richiede quella modalità o atteggiamento della volontà che abbiamo denominato volontà etica. Al contrario, l’atteggiamento della volontà edonista o utilitarista non conduce al bene personale dell’altro, che viene dominato, utilizzato o strumentalizzato. In questa linea di pensiero va interpretata la suggestiva condanna di Cristo dell’adulterio del cuore. Questo adulterio scaturisce dal ridurre l’altro alla qualità di cosa e, pertanto, di cosa utile o piacevole. Per questa ragione, l’adulterio del cuore si commette non quando l’uomo (o la donna) assume questo atteggiamento rispetto a una donna (o a un uomo) diversa dal proprio coniuge, bensì quando assume questo atteggiamento edonista o utilitarista nei confronti dell’altro, uomo o donna, anche quando questo uomo o questa donna siano il suo stesso coniuge.

L’affermazione dell’identità tra l’essere personale e il bene personale è estremamente importante per una corretta teoria della sessualità e dell’amore. Questa identità consente di riconoscere il vero amore benevolente o disinteressato — e le azioni che gli sono proprie — rispetto ai suoi succedanei, così come permette di dar fondamento al concetto di rispetto nella comunicazione amorosa interpersonale. Difatti, colui che ama si ritrova così in modo naturale con norme calcolate d’azione e di attenzione all’altro, che ne impediscono il dominio o l’annullamento, quando l’obiettivo del desiderio e dell’unione con l’altro è la ricerca disinteressata del suo stesso bene, della sua verità reale come essere personale. La cultura moderna tende a rompere l’identità tra il bene della persona e il suo essere personale. In molte correnti di pensiero attuali si osserva una concezione secondo la quale il bene personale è quello che ognuno decide soggettivamente e arbitrariamente, senza tener conto della verità oggettiva dell’altro. Così, la comunione tra sposi e il matrimonio tendono a diventare una transitoria convergenza di interessi personali, arbitrari e soggettivi. Questa convergenza "sembra" unione finché gli interessi di entrambi coincidono, ma mostra la sua vera natura, che non è altro che utilizzazione reciproca, quando questi interessi entrano in conflitto. Il trasformare l’essere dell’altro in uno strumento per la soddisfazione delle proprie necessità porta sempre alla frustrazione. L’amore autentico esige sempre l’apertura di sé e la trasformazione dell’uno in dono per l’altro. Perciò, senza questa apertura non c’è reale comunicazione ed essa non può avere luogo senza il rispetto radicale nei confronti dell’essere e del bene oggettivi della persona amata.

 

Parte seconda

Introduzione

La riflessione del teologo sui risultati acquisiti dalle precedenti ricerche non è agevole. Essa non può né deve limitarsi a riassumerle e a sistemarle. Deve ripensarle profondamente, mettendo in atto quell’intelligenza della fede in cui formalmente consiste il pensare teologico. E anche se le ricerche precedenti si limitano al campo biblico, in questo momento si deve riflettere, tenendo conto della Tradizione e del magistero della Chiesa.

Così intesa, la riflessione teologica sulla sessualità umana si inserisce nei tre momenti essenziali che scandiscono il piano provvidenziale di Dio sul creato: la creazione, la redenzione, la finale glorificazione. E questi tre momenti costituiranno le tre sezioni fondamentali di questa seconda parte.

4.
La sessualità umana nel mistero della creazione

Non a caso, il discorso biblico sulla sessualità umana inizia con il racconto e nel racconto stesso della creazione dell’uomo. Questi esce dalle mani creatrici di Dio uomo-donna ed è segnato fin "dal principio" dalla differenziazione sessuale. Il fatto è di capitale importanza per comprendere la verità della sessualità umana. Di esso, infatti, la pagina biblica rivela il senso fondamentale: non lasciare l’uomo (maschio) solo e renderlo soggetto di una particolare benedizione, quella della fecondità. La meditazione teologica su questa rivelazione svela la prima, originaria, permanente verità della sessualità umana.

La solitudine dell’uomo

La solitudine dell’uomo è connessa inscindibilmente al suo stesso essere persona, alla sua soggettività personale. Questa, infatti, è costituita dallo spirito che eleva l’individualità, propria di ogni essere in senso primo, a quel modo di essere in sé e per sé che è proprio della persona come tale. A se stesso trasparente, lo spirito — o meglio, più concretamente — il soggetto spirituale è dotato di quell’autoconsapevolezza che lo rende presente a se stesso, che non consente che possa essere integrato come parte in un tutto.

D’altra parte, è nella natura dello stesso spirito, e dunque della persona, di essere "intenzionato" ad "altro da sé". Le sue attività specifiche, il pensare e il volere, lo muovono, lo spingono fuori di sé. L’assurdità dell’essere spirituale è costituita da questo suo statuto ontologico: è in sé e per sé, intenzionato verso l’altro.

Qualsiasi atto di intelligenza e di volontà realizza l’uscita dallo spirito, della persona da se stessa, dalla sua originaria solitudine? Prescindendo per il momento dall’attività conoscitiva, possiamo osservare che l’attività volitiva può muoversi verso il suo "oggetto" in due modi essenzialmente diversi. La persona può volere qualcosa in quanto e in ragione del fatto che il "qualcosa voluto" le serve per il raggiungimento di uno scopo: ha ragione di mezzo o strumento per sé. Le è di una qualche utilità. Se consideriamo attentamente questo modo di volere, vediamo che esso non porta la persona fuori di sé. Già Platone notava che non si amano, in realtà, il vino o i cavalli, ma il piacere che procura il bere o il cavalcare. In ultima analisi, e in realtà, si ama se stessi cui si vuole procurare quel piacere. Ma c’è anche un altro modo di volere essenzialmente diverso da questo. Si vuole l’oggetto perché esso possiede in se stesso un valore, una particolare preziosità o bontà, tale da meritare di essere voluto. Questo modo di volere non si serve dell’oggetto, non lo usa, non lo indirizza ad altro, non lo inserisce in una concatenazione di mezzo-fine. Si ferma in esso. Si compiace della sua intrinseca bellezza, gioisce del suo intrinseco valore, fruisce estaticamente della sua intrinseca bontà. In questo modo, e solo in questo modo, lo spirito è uscito dalla sua originaria solitudine.

Ma quale "oggetto" è degno di essere voluto in questo modo? Quale "oggetto" possiede una tale preziosità interna da poter essere voluto in questo modo? Prima di rispondere a questa domanda, devo aprire una parentesi. Si tratta di una riflessione importante che, però, nel tema attuale non possiamo lungamente giustificare.

L’atto di volontà è sempre preceduto da un atto di intelligenza che scopre il valore reale dell’oggetto. Il movimento della volontà non è il "primo", il dato assolutamente originario dello spirito: esso è misurato dalla verità delle cose, che l’intelletto scopre. Da ciò deriva che quel movimento è intrinsecamente subordinato, interiormente sottomesso a un ordine di beni che altro non è se non lo stesso ordine dell’essere, in quanto si propone, attraverso l’intelligenza vera, alla volontà. Non la volontà umana, dunque, causa il bene delle cose volute, ma, piuttosto, è il bene delle cose volute a dare origine al bene della volontà. In questo senso e tenendo presente i due modi in cui si mette in atto il dinamismo volitivo, Agostino affermava che il disordine consiste nel far uso di ciò di cui si deve godere e nel godere di ciò di cui si deve far uso.

Ritorno ora alla domanda lasciata inevasa. Solo la realtà che è in sé e per sé possiede una bontà, un valore che la rende degna di essere voluta in sé e per sé. Anzi: non solo degna, ma che può essere voluta solo in questo modo, poiché solo questo modo è adeguato al suo valore intrinseco.

Siamo, dunque, arrivati a questo punto: la persona esce realmente da sé solo quando lo vuole in sé e per sé. Solo la persona può (e deve) essere voluta in questo modo. Quindi, solo il rapporto con un’altra persona può fare uscire l’uomo dalla sua originaria solitudine. L’uomo posto di fronte agli animali rimane solo; posto di fronte a un’altra persona non è più solo.

Si deve, tuttavia, notare immediatamente che la pagina biblica ci rivela che l’altra persona è "donna": che nella prima originaria comunione interpersonale la sessualità — la differenziazione sessuale — costituisce un fatto di fondamentale importanza. Su di esso si deve ora soffermare la nostra meditazione teologica.

La corporeità umana

L’avvio deve essere preso dalla riflessione sulla corporeità. Nell’universo dell’essere la persona è l’unica persona corporea. La cosa è singolare, non solo dal punto di vista numerico, ma dal punto di vista metafisico. Come è dimostrato dal fatto che essa ha sempre costituito un "nodo" in ogni seria riflessione antropologica: da Platone in poi.

È indubbio che l’uomo deve il suo essere persona al suo spirito, poiché solo allo spirito è dovuto l’essere sussistente che caratterizza l’essere personale. Ma è altrettanto indubbio che la nostra esperienza ci attesta che il corpo non è qualcosa di estraneo al nostro essere persona: è lo stesso io che all’origine mette in atto i dinamismi spirituali, psichici e fisici. Solo, dunque, l’affermazione, secondo la quale lo stesso e identico atto che fa essere (actus essendi) lo spirito fa essere il corpo elevandolo a essere corpo-persona, rende pienamente ragione dell’esperienza che ciascuno ha di se stesso.

Quest’affermazione — di carattere rigorosamente metafisico — è gravida di molte conseguenze di decisiva importanza per il nostro tema. In primo luogo, la natura (metafisica) della corporeità umana è intrinsecamente diversa dalla natura della corporeità animale e infra animale. E la diversità deve essere precisamente collocata nel fatto che solo la corporeità umana è corporeità personale: la persona è una persona corporea e il corpo umano è un corpo personale. In secondo luogo, e di conseguenza, il corpo umano è interiormente ordinato a esprimere, sul piano dell’universo visibile, la persona come tale: è di questa la manifestazione. In terzo luogo, ma non da meno, ogni discorso sulla persona è sempre anche un discorso sulla sua corporeità.

Riprendo ora il filo della riflessione sul significato della differenziazione sessuale — diciamo, della sessualità — nella prima e originaria comunione interpersonale di cui ci parlano le prime pagine bibliche.

La donna è creata "in ordine" alla comunione con l’uomo e reciprocamente; e l’uno e l’altra si scoprono collocati in questo ordine nel momento in cui si vedono come uomo, come donna. Questo atto di originaria visione è l’origine della loro comunione interpersonale. Che cosa vedono? Vedono il corpo nella sua differenziazione sessuale; in esso e attraverso essa vedono la propria persona come chiamata alla comunione: a uscire dalla sua solitudine. La sessualità — o meglio: il loro corpo in quanto sessualmente diversificato — è il luogo in cui la persona scopre se stessa a se stessa e all’altro. E il "se stesso" della persona è dono da farsi all’altro. Qui noi scopriamo la prima e fondamentale verità sulla sessualità umana.

La sessualità umana è intrinsecamente ordinata a esprimere la vocazione della persona al dono di sé all’altra persona; è di questa donazione la possibilità stessa; è il "linguaggio corporeo" della comunione interpersonale.

Sessualità, comunione interpersonale e fecondità umane

Questa comunione interpersonale è investita di una particolare benedizione: la benedizione della fecondità. La comunione interpersonale, cioè, è il luogo nel e dal quale sorgeranno le altre persone umane.

Questa inabitazione della fecondità nella donazione interpersonale costituisce uno dei punti centrali della dottrina cristiana della sessualità umana. Un punto che deve essere continuamente rimeditato sia filosoficamente sia teologicamente.

Che all’esercizio della sessualità sia connessa l’origine di una nuova vita è un dato di fatto che nessuno vorrà mettere in questione. Ci si deve, tuttavia, chiedere, subito dopo questa constatazione, se questo "dato di fatto" è meramente tale oppure se esso racchiude un’esigenza di ordine etico, se esso esprime un "dover essere" fondato sulla verità stessa dell’essere. Esigere una risposta esplicita e formale a questa risposta dalle pagine bibliche sarebbe mettersi su una strada sbagliata, semplicemente perché è la domanda così posta che è assente. Tuttavia, la visione biblica della corporeità, della sessualità, alla fine della persona, porta racchiusa in sé la domanda e la risposta.

Ripartiamo, dunque, dal dato di fatto, diciamo biologico: la sessualità umana può essere feconda, e dall’affermazione biblica: la fecondità è la benedizione di Dio effusa sulla coppia umana. Questa duplice constatazione ci porta immediatamente alla conclusione che tra l’origine di una nuova persona e la potenza creatrice di Dio si dà un rapporto preciso. La fede della Chiesa afferma questo rapporto quando insegna che ogni anima umana è creata immediatamente da Dio. Qual è il senso esatto di questa affermazione? Poiché ogni persona deve il suo essere persona allo spirito, la creazione immediata dell’anima significa che ogni e singola persona è creata immediatamente da Dio. Ogni "io" umano, ogni soggetto personale umano esce direttamente dalle mani creatrici di Dio. A questa conclusione, per altro, giunge la ragione, anche priva della luce della Rivelazione. Se lo spirito appartiene a un grado di essere essenzialmente altro che la materia, allora esso non può derivare dalla materia stessa. La negazione della creazione immediata dell’anima coincide filosoficamente con la riduzione completa dell’universo dell’essere alla materia. Parlare di un "autotrascendimento" della materia, nel suo evolversi, verso lo spirito, filosoficamente ha lo stesso senso che parlare di un circolo quadrato.

D’altra parte, come abbiamo detto nel punto precedente, il corpo è elemento costitutivo della persona. E, pertanto, la persona è il termine dell’atto generativo della coppia e dell’atto creativo di Dio. L’esclamazione di Eva, quando genera, esprime questa visione (Gn 4, l).

Dal momento, dunque, che l’attività generativa umana si inscrive, si inserisce dentro un atto creativo di Dio, è logica e giusta la domanda: come deve accadere questa "inserzione" perché sia degna del suo "contesto"? Chiamati a cooperare con il Creatore, l’uomo e la donna, per vivere degnamente questa cooperazione, dovranno assimilare — nel modo a essi consentito — il loro atto all’atto divino: esprimere umanamente, nell’universo creato, ciò che Dio compie. Ora, l’atto creativo di Dio è nella sua intima essenza un atto d’amore, dal momento che nessuna necessità né intrinseca né estrinseca lo costringe a creare. Per queste ragioni profonde, dunque, l’attività che può dare origine a una nuova vita umana è nella sua intima essenza un’attività d’amore. Il fatto che la sessualità umana sia in grado di dare origine a una nuova vita è dovuto al fatto che la sessualità umana è in grado di porre in essere una comunione d’amore.

Se l’intima natura dell’attività procreativa umana esige di essere radicata — esigenza non primariamente etica, ma ontologica — nella sessualità in quanto linguaggio della donazione, è altrettanto vero che la sessualità umana, in quanto linguaggio della donazione interpersonale, integra in se stessa la sua capacità procreativa (quando è presente). La visione che l’uomo e la donna hanno di se stessi, che li conduce, attraverso la loro corporeità alla percezione della loro persona come dono per l’altro, non può prescindere dalla capacità procreativa: ignorarla o negarla. Una simile ignoranza o negazione sarebbe una lettura falsa di quel linguaggio del corpo nel quale ogni persona dice se stessa.

Il significato ultimo della differenziazione sessuale umana

Siamo così giunti alla domanda più profonda sulla sessualità umana considerata nel mistero della creazione: nell’universo visibile dell’essere creato, qual è il significato ultimo della persona dell’uomo in quanto sessualmente differenziato? Il significato ultimo della coppia umana?

San Tommaso si chiede se alla perfezione dell’universo creato in quanto creato sia necessaria l’esistenza anche dello spirito creato oppure se un universo creato senza spirito raggiunga ugualmente la perfezione (Contra gentes). La risposta è che lo spirito è necessario.

Per evitare, fin dall’inizio, possibili equivoci, è necessario precisare che non si afferma alcuna necessità condizionante la libertà dell’atto creativo di Dio. Ci si domanda solo se un universo creato privo dello spirito sia altrettanto perfetto, in quanto creatore di un universo nel quale esiste anche lo spirito creato. In altre parole: qual è il significato dell’esistenza di spiriti creati? La loro ultima, radicale ragione d’esserci?

Come già abbiamo detto, l’atto creativo, considerato nella sua intima essenza, è un atto d’amore. Atto d’amore nel senso preciso che esso consiste nel dono che Dio fa dell’essere alla creatura. Solo Dio è lo stesso Essere sussistente e la creatura è solo perché partecipa dell’Essere: partecipazione voluta, decisa dal Creatore stesso. L’atto creativo rivela la gloria di Dio, poiché ne manifesta il suo amore.

Tuttavia, una donazione — in quanto tale — raggiunge la sua perfezione, solo quando il destinatario ne è consapevole. Un universo creato, dunque, nel quale fosse assente lo spirito, che solo possiede la consapevolezza, sarebbe un universo che non saprebbe di essere dono dell’amore creativo di Dio. Sarebbe un universo creato, che proprio in quanto creato, rimarrebbe profondamente incompleto, imperfetto, nel suo manifestare la gloria di Dio. La cosa trova conferma anche da un altro punto di vista. L’amore creativo di Dio, creando, assimila la creatura a se stesso. La creatura non spirituale è costituzionalmente impossibilitata ad assimilarsi a Dio in quanto soggetto conoscente e amante. E solo conoscendolo e amandolo, la creatura si assimila perfettamente al Creatore.

Nel contesto di queste riflessioni, troviamo la risposta alla nostra domanda. Nell’universo visibile, l’uomo costituisce il vertice dell’universo creato, in quanto nell’uomo si esprime la verità intera della creazione come atto d’amore. E anche scopriamo la ragione ultima della creazione dell’umanità in coppia, uomo-donna.

Nella loro comunione interpersonale intrinsecamente ordinata alla vita, si esprime, dentro l’universo creato, l’intima natura dell’atto creativo: si manifesta la gloria di Dio. Si deve notare immediatamente che in questa espressione e rivelazione è essenziale la dimensione corporea della comunione umana interpersonale. Infatti, l’uomo è collocato nell’universo materiale e la verità dell’atto creativo diviene visibile in esso, in quanto quella comunione si realizza nel corpo e attraverso il corpo.

Possiamo dunque dire che, mediante il corpo, la comunione interpersonale dell’uomo con la donna possiede una "primordiale sacramentalità" nell’ordine della creazione. Essa, infatti, nella sua visibilità, costituisce il segno originario dell’amore creativo di Dio.

5.
La sessualità umana nell’ordine della redenzione

La riflessione sulla sessualità umana nell’ordine della redenzione non istituisce un discorso estraneo o parallelo a quello precedente. In realtà, la creazione è in vista della vocazione dell’uomo a partecipare in Cristo della stessa vita divina: a essere figli nel Figlio unigenito. Solo, dunque, nella luce di Cristo, la creazione è intimamente comprensibile. Questa predestinazione dell’uomo, per il peccato dell’uomo, diviene predestinazione redentrice. La realizzazione dell’eterna predestinazione implica anche la guarigione, la liberazione dell’uomo dal suo peccato.

Il significato biblico dell’amore coniugale

L’intrinseca capacità della comunione coniugale a essere "sacramento" dell’amore creativo di Dio viene elevata a significare l’amore del Dio dell’alleanza con Israele. In questo consiste l’apporto originale e nuovo che i profeti fanno acquisire alla coscienza credente.

Tuttavia, questo apporto è presentato prevalentemente per viam negationis, potremmo dire, cioè presentato secondo questo schema: non come il matrimonio umano, fatto di tradimenti, è il "matrimonio" di Dio con Israele, fatto di amore eternamente fedele. Ma in questa contraddizione, esiste un termine "medio" comune, e precisamente l’amore coniugale: realizzato in modo eminente, archetipale fra Dio e Israele, negato fra l’uomo e la donna. E in questo sta già inscritta la prospettiva di una redenzione dell’amore coniugale umano stesso, della sessualità umana quindi, per riportarlo alla verità originaria: "al principio", come dirà Gesù. In questo nucleo è già racchiusa l’intera verità della sessualità umana considerata nel mistero della redenzione. Un nucleo che ora deve essere parzialmente spiegato e analizzato.

La prima domanda è la seguente: qual è la ferita che il peccato ha inferto alla comunione coniugale e, quindi, particolarmente alla sessualità umana?

Nello stato di giustizia originaria l’uomo e la donna si vedevano nella loro nudità. Questo "sguardo" era qualcosa di molto profondo. Esso giungeva all’altro come persona e comportava anche un movimento della volontà con cui l’altro era voluto in se stesso e per se stesso. Questo sguardo umano rendeva l’uomo e la donna partecipi dello stesso sguardo divino: quell’atto con cui il Creatore ha visto e voluto l’uomo e la donna come persone, cioè per se stessi. Era questa la base della loro comprensione interpersonale, nella quale anche la corporeità entrava pienamente, in quanto attraverso essa e in essa la persona esprimeva se stessa.

Qualcosa ha rotto tutto questo; ha minato, anzi, la base stessa della comunione interpersonale. Che cosa? È stata la disobbedienza a Dio, il peccato.

Il cammino della perdizione umana ha il suo inizio in un atto di profondo sospetto nel Dio della creazione. Egli è visto come colui che non vuole il bene totale dell’uomo, il principale nemico della grandezza dell’uomo. Dio è creduto invidioso dell’uomo. Riflettendo attentamente su questo punto, possiamo renderci conto che in questo modo il rapporto dell’uomo a Dio è sostanzialmente mutato. Egli non vede più se stesso come "dono" uscito dalle mani di Dio, ma come qualcuno che appartiene a se stesso esclusivamente, qualcuno che è proprietà di se stesso. Scompare dall’orizzonte intenzionale dell’uomo l’idea di creazione come donazione per sostituirvi un’affermazione di se stesso "contro" il Creatore.

La mutazione del rapporto con Dio non poteva non implicare una profonda mutazione nel rapporto dell’uomo con la donna, nella comunione interpersonale. Scomparsa l’idea e l’esperienza del dono, anche l’altra persona non è più vista in quella luce originaria che sgorga dall’atto creativo. La comunione — se ancora si può parlare di comunione — sarà possibile solo se l’uno si lascerà possedere dall’altro: la comunione potrà essere costruita solo sulla base di un rapporto di "possesso" reciproco, nella misura in cui si consente a essere posseduti. Alla comunione nel dono subentra il reciproco possesso.

In questo contesto, che ne è della corporeità, più precisamente della sessualità umana? La persona, come abbiamo più volte ripetuto, si rivela nel suo corpo e attraverso il suo corpo. Poiché l’altro non è più visto come dono, ma come oggetto da possedere, anche la sua corporeità e la sua sessualità subiscono una caduta di valore. Il corpo e la sessualità dell’altro non sono più visti come segno espressivo della sua soggettività personale, ma "con desiderio", cioè con la "fame" di chi vuole possedere l’altro. Questa caduta della corporeità e della sessualità travolge con sé anche la persona come tale. E quest’ultima che decade dal suo grado di "soggetto", che deve essere voluto in se stesso e per se stesso, al grado di "oggetto", che può essere usato. Nella predicazione di Gesù, questa è l’essenza dell’adulterio: un evento che accade nel cuore, prima che nell’atto esterno. E in questo consiste la distruzione della comunione coniugale.

Si ha, quindi, una disintegrazione della persona che perde la sua interiore unità. Infatti, in questa situazione il corpo umano non rivela più la persona, il suo "linguaggio" non parla più della persona: o, quanto meno, non è più letto come significativo della persona come tale. Della propria e di quella altrui. È visto in se stesso, come corpo non personale e, quindi, come qualcosa (non qualcuno) di cui fare uso.

Da questa radice profonda, da questo modo di considerare se stesso e l’altro in ordine a Dio, da questa divisione dell’uomo da Dio che genera divisione nell’uomo, nascono tutti i "frutti della carne" o della concupiscenza: adulteri, fornicazioni, divorzio. E ha origine quel mondo che si contrappone al mondo come è pensato e uscito dal Creatore. E se la sessualità caduta nel peccato non perde la benedizione della fecondità, tuttavia anche questa non rimane immune. Da una parte, infatti, la generazione umana non è più in grado di generare l’uomo nella giustizia, ma lo genera nel peccato e, dall’altra, come dimostra il fatto di Onan, l’uomo la rifiuta colpevolmente.

Il processo di redenzione della corporeità dal punto di vista biblico

Il cammino della "redenzione del corpo", della redenzione della sessualità umana, della redenzione della comunità coniugale è lungo e difficile e la rivelazione biblica, analizzata nei contributi precedenti, ne descrive lo svolgimento.

Il primo momento di questo cammino è costituito dal dono che il Signore fa della legge: le tavole dell’alleanza contengono anche precetti riguardanti l’esercizio della sessualità e la vita coniugale. In realtà, l’uomo col suo peccato non ha distrutto in sé la verità originaria del suo essere personale, il suo essere "a immagine e somiglianza di Dio". Nella sua intima essenza, infatti, il peccato è un atto della libertà che non vuole riconoscere la verità né subordinarsi a essa: la verità di Dio, la verità dell’uomo, la verità delle cose. Ma questa insubordinazione non muta la verità stessa, per la semplice ragione che questa non è costituita, non è creata dalla libertà umana. Questa insubordinazione ha come effetto di dare origine nell’uomo e dentro I’universo a una profonda contraddizione fra ciò che la persona fa di se stessa col suo agire e nel suo agire e ciò che essa è in realtà: una contraddizione che è sentita dal peccatore nella sua coscienza stessa, nel cuore.

La legge che Dio gli insegna lo richiama continuamente al suo cuore, come è continuamente detto nel libro del Deuteronomio, alle esigenze della verità del suo essere posto nell’alleanza con Dio creatore e redentore e gli impedisce di rendere le sue orecchie sorde a queste esigenze. È, dunque, una legge che sia pure scritta e intimata dall’esterno, è già presente e scritta nella coscienza morale dell’uomo come tale. Essa, dunque, non è conosciuta solo da Israele, come insegna san Paolo, ma anche dai pagani.

A dire il vero, tuttavia, la legge da sola non può redimere la comunità coniugale, come non può redimere l’uomo. Il suo ruolo, infatti, si riduce, da una parte, a richiamare continuamente l’uomo alla verità originaria del suo essere e, dall’altra, ad accusarlo nella contraddizione e nella menzogna in cui l’uomo medesimo, col suo peccato, si è cacciato. Nulla di più di questo, da sé sola la legge non può fare di più. Non offre all’uomo la possibilità di uscire da questa situazione.

Si deve, tuttavia, notare che l’accusa della legge di Dio è ben diversa da quella di qualsiasi altra autorità, da qualsiasi altra accusa. Essa, infatti, conduce l’uomo — che vi si sottomette — a un giudizio negativo su se stesso, ma alla luce di una verità da cui l’uomo si è allontanato, senza avere potuto distruggerla: che permane, dunque, nel suo cuore. Pertanto, mostra sempre all’uomo a che cosa egli è realmente chiamato.

Ma, incapace di cambiare, di convertire la libertà umana, la legge viene a patti con la malizia di questa: con la durezza del cuore umano. Mosè, esigendo nella sua legislazione precise garanzie per lo scioglimento del vincolo coniugale, ha da una parte posto il freno al male e dall’altra ha accettato di introdurre nella comunità dell’alleanza qualcosa che non esisteva "al principio".

Quando Gesù enuncia il suo comandamento sulla sessualità umana nel discorso sul monte, si richiama subito al cuore dell’uomo, al soggetto ultimo del desiderio concupiscente, vedendo in questo, prima ancora che nell’atto esterno, la sorgente ultima della distruzione della comunità coniugale. E quando è chiamato a pronunciarsi sulla legislazione mosaica, egli la giudica non conforme "al principio", attribuendo la responsabilità di questa difformità alla "durezza del cuore". Con questo duplice intervento, Gesù rivela di essere venuto a riportare l’uomo e la donna, la loro comunione coniugale, alla santità della prima origine: a redimere interamente il corpo e la sessualità umana. Poiché "la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità divennero realtà per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1, 17). E in questa "grazia e verità", venute solo per mezzo di Cristo, che la corporeità e la sessualità umana sono redente e possono, pertanto, essere riportate all’obbedienza della legge che era "al principio".

Come ci attesta l’autore della lettera agli Ebrei (10, 5-10), il Verbo assume un corpo perché possa fare di se stesso un sacrificio, una donazione che sia accetta al Padre. Ed è per questo sacrificio del corpo di Cristo che anche i suoi discepoli possono offrire i loro corpi come sacrificio vivente a Dio gradito: e sono invitati a farlo, avendo conosciuto la misericordia di Dio (Rm 12, l-2). Infatti, mangiando il corpo eucaristico del Signore, il cristiano diviene partecipe della stessa carità che è all’origine del sacrificio della croce. Come confermano anche tutte le ricerche bibliche, il corpo nel linguaggio biblico non connota una parte della persona, staccata dalla persona stessa: la connota nella sua visibile concretezza. Nel corpo e per il corpo di Cristo, la corporeità umana è pienamente redenta poiché in essa e per essa Cristo (e l’uomo che lo segue) può far accadere in questo universo creato quell’atto di glorificazione del Padre, che è la ragione stessa dell’esistenza di tutta la creazione. Il corpo è reintegrato pienamente nella vita della persona che fa di se stessa dono. E la Chiesa è lo stesso corpo di Cristo, una sola carne con lui (Ef 5, 23), nel quale effonde la sua grazia e la sua verità. In questo evento cristologico, eucaristico, ecclesiale è posta, per sempre, la redenzione del corpo e, dunque, anche della sessualità umana. Una redenzione sulla quale ora dobbiamo riflettere brevemente.

Come abbiamo già detto, il male causato dal peccato nel corpo umano e nella sessualità consiste nella disintegrazione di questi dalla persona come tale, nella loro "degradazione" a oggetti possibilmente di uso. Ovviamente questa degradazione non è di carattere ontologico, ma etico, voluta dalla libertà dell’uomo peccatore. La radice di questa volontà sta nella decisione dell’uomo di non rimanere più nella verità del suo rapporto con Dio creatore. La redenzione del corpo e della sessualità ha il suo principio nel riportare l’uomo in questa verità. E ciò può accadere in un solo modo: nel rivelare all’uomo l’amore di Dio, il suo volto di Padre. Una rivelazione che non raggiunga solo le orecchie di chi ascolta, ma penetri nel cuore dell’uomo: dia all’uomo quell’esperienza dell’amore del Padre in grado di attrarlo (Gv 6, 44) interiormente verso di Lui. Questa esperienza è prodotta nel cuore dell’uomo dal dono dello Spirito mediante il quale l’uomo può gridare "Abbà, Padre " (Rm 8, 15). La nuova alleanza fra l’uomo e Dio può essere costituita solamente da questa presenza; in essa e per essa, infatti, l’uomo rivede il volto di Dio e vede se stesso nella sua verità intera.

La conseguenza di questa inabitazione è che il corpo diventa tempio dello Spirito Santo e che, pertanto, l’uomo viene liberato da quella appartenenza a se stesso che gli impedirebbe di costituire una comunione vera con l’altro (1 Cor 6, 19-20).

La comunione fra l’uomo e la donna, come abbiamo visto, è il luogo originario nel quale si rivela — nell’universo visibile della creazione — il mistero originario dell’amore di Dio: il luogo in cui Dio pone la sua presenza, il suo tempio originario. Nel corpo di Cristo è stato ricostruito il tempio di Dio e lo Spirito rende l’uomo membro di Cristo. Solo l’amore coniugale realizza quell’unità nel corpo che fa di questo il luogo nel quale rifulge la gloria di Dio (1Cor 6,19-20): diversamente si renderebbero le membra di Cristo come membra di una prostituta. L’uomo e la donna, giustificati dalla presenza dello Spirito, sono in grado di reintegrare nella sua originaria verità e significato la propria corporeità e sessualità, poiché sono resi capaci di fare di se stessi un dono totale, nell’amore. E in questo avviene la santificazione del loro corpo e della loro sessualità. La legge di Dio è compiuta, senza compromessi, poiché la persona è liberata dalla sua concupiscenza. In breve: la "redenzione del corpo" è compiuta, in quanto esso ridiventa l’espressione della persona ritornata nella verità del suo essere dono.

La sacramentalità della comunione coniugale nella nuova alleanza

Ma la redenzione del corpo e della sessualità si inscrive in un progetto divino che si propone, come suo unico scopo, la divinizzazione dell’uomo in Cristo. Un progetto in cui l’atto creativo è il primo momento. E nella luce di questa unitaria progettazione divina che il corpo e la sessualità umana, in quanto vissuti nella comunione coniugale, raggiungono la loro pienezza. Realizzano quell’intimo significato, quel telos nativo, già inscritto in essi dallo stesso atto creativo.

La comunione che rende l’uomo e la donna una sola carne è in vista di quell’unità fra Cristo e l’umanità che costituisce la Chiesa nel suo mistero più profondo: l’intenzione ultima del Creatore della coppia originaria era quell’unità. Ciò che era impossibile al matrimonio dell’antica alleanza, significare il legame di Dio con Israele, diviene ora possibile al matrimonio della nuova alleanza, poiché esso si inscrive nel mistero della Chiesa, e da esso riceve la possibilità stessa di esistere. Cristo dona il suo corpo e il suo sangue sulla croce e in questo dono diviene una sola carne con l’umanità-Chiesa. Da questo dono e in questa unità, l’uomo e la donna possono diventare una sola carne, nel modo voluto da Dio fin dal principio. Nel modo, cioè, che consente loro di essere "sacramento" dell’unità di Cristo col suo corpo che è la Chiesa.

6.
La sessualità umana nel mistero della glorificazione finale

L’avvenimento della salvezza cristiana ha, tuttavia, rivelato all’uomo e alla donna un altro modo di vivere la sessualità umana: la verginità cristiana. Una riflessione sulla sessualità che non comprendesse questo fatto sarebbe sostanzialmente lacunosa.

Risurrezione, verginità e sessualità

Che l’uomo possa rinunciare al matrimonio e, quindi, a un legittimo esercizio della propria sessualità e che di fatto ciò sia accaduto e accada anche fuori dell’esperienza cristiana sono dati incontrovertibili. Ma la novità della verginità cristiana sta altrove: sta nella relazione che Cristo stesso pone fra quella decisione, il regno dei cieli e la risurrezione finale della carne. Se pensiamo alla centralità che ha, nella predicazione di Gesù, il tema del regno di Dio e alla novità della verità cristiana della resurrezione dei corpi, ci rendiamo conto immediatamente che il tema della verginità è qualcosa di centrale nel discorso cristiano sulla sessualità umana.

Tutte le ricerche bibliche sul tema del regno di Dio hanno portato ad alcune acquisizioni che possiamo ritenere sicure. Il regno di Dio connota l’intervento salvifico definitivo da parte del Signore che ristabilisce l’uomo e tutta la creazione nella sua santità: un intervento, dunque, che in primo luogo si rivolge al peccatore. Questo intervento raggiungerà la sua pienezza definitiva quando questo mondo, questa storia saranno condotti a termine: un termine che coincide con la vittoria sull’ultimo nemico, la morte stessa. Solo allora il regno di Dio sarà pienamente venuto.

Per questa ragione, con la risurrezione di Cristo, il regno è già sostanzialmente realizzato e il tempo che scorre dopo di essa non ha altra ragione d’essere se non quello di manifestare la potenza salvifica.

Si dà così un’obiettiva connessione fra regno di Dio, risurrezione di Cristo e risurrezione della carne ed è in tale connessione che si colloca precisamente il mistero della verginità cristiana, la quale svela la verità più profonda della sessualità umana.

La realizzazione ultima della sessualità umana

Il matrimonio appartiene al presente ordine: è l’istituzione di questo tempo e, pertanto, esso è destinato ad avere un termine (Lc 20, 34-36). D’altra parte, la risurrezione della carne costituisce la perfetta redenzione del corpo. In che cosa consiste questa perfezione? Benché la rivelazione sia molto parca nel fornirci una risposta a questa domanda, tuttavia da alcuni dati essenziali è possibile avere preziose indicazioni al riguardo.

La perfezione del corpo umano consiste nella sua personalizzazione, in una completa integrazione nel soggetto personale. Se teniamo presente che, come abbiamo già detto, l’essere personale è proprio dello spirito, si può dire che la perfezione del corpo consiste in una sua perfetta spiritualizzazione. Il che equivale a dire: in una perfetta sottomissione alle esigenze della persona. L’intrinseca ordinazione del corpo a esprimere e realizzare la persona trova la sua perfetta attuazione solo nella risurrezione: e in questo sta la sua completa redenzione.

La vita della persona, come abbiamo visto all’inizio di queste riflessioni, consiste in una soggettività che si fa dono all’altro, e la corporeità, la sessualità umana — in quanto informata dallo spirito — è precisamente ordinata a questo. Essa porta inscritta in se stessa questa capacità di dono, questo significato. La perfetta redenzione del corpo, quale si ha nella risurrezione della carne, restituisce integralmente questo significato al corpo e alla sessualità.

Resta, tuttavia, il fatto che il matrimonio non appartiene al tempo della definitiva redenzione del corpo. Da ciò consegue che fra l’intrinseca ordinazione del corpo e della sessualità a esprimere il dono della comunione interpersonale e il matrimonio non si dà un rapporto così necessario che al di fuori di esso quel significato non trovi possibilità di realizzazione. In ciò consiste la scoperta antropologica, la verità più profonda sull’uomo apportata dal dono della verginità cristiana. Questa svela che il significato unitivo della corporeità-sessualità umana appartiene all’uomo come tale, non all’uomo del presente: è costitutivo della verità della persona come tale, non della persona in quanto chiamata al matrimonio. Non solo. Perché questa rivelazione fosse possibile, era necessario che in un qualche modo la definitiva redenzione del corpo fosse già presente ora, così che l’uomo e la donna potessero realizzare la verità del significato di dono, inscritto nel loro corpo, nel modo nuovo, non coniugale. La presenza già ora è costituita dalla risurrezione del corpo di Cristo che unisce a sé la sua Chiesa e le dona, pertanto, il carisma della verginità. In questo modo, il vergine anticipa fin da ora questa situazione definitiva in cui verrà a trovarsi il corpo e la sessualità umana. I due "stati di vita", dunque, da una parte si radicano nella stessa radice antropologica e nello stesso evento cristologico-cclesiologico e, dall’altra, si richiamano a vicenda in una dialettica di complementarità.

La radice antropologica comune è costituita dalla verità della corporeità-sessualità umana, redenta nel corpo e dal corpo di Cristo che unisce a sé la Chiesa. La complementarità dialettica è costituita dal fatto che la verginità cristiana relativizza lo stato coniugale dentro la "scena di questo mondo" (1 Cor 7, 29) e lo richiama continuamente alla sua verità permanente, la comunione interpersonale. Ed è, reciprocamente, costituita dal fatto che il matrimonio richiama continuamente la verginità a essere dentro al tempo presente quel segno anticipatore della comunione definitiva ed eterna. Solo nell’archetipo della Chiesa, nella Madre-Vergine, in Maria, questa dialettica si è pienamente placata e la redenzione definitiva del suo corpo non dovette attendere la fine della storia.

 

Note

(1) Integrità è l’ordine secondo il quale alcune parti si armonizzano tra loro costituendo un’unità a partire dalla loro pluralità; tale ordine impedisce che le diverse parti entrino in conflitto e generino contraddizioni distruggendo l’essere così composto.

(2) Il senso con cui diciamo che la volontà etica è nell’uomo come il modo di respirare o il soffio vitale dell’eternità implica un riferimento biblico. Quando Dio, secondo la Genesi, terminò la creazione del mondo, manifestò il suo compiacimento in un modo molto significativo: sottolineando la bontà di tutto quanto aveva creato. L’atteggiamento divino nel guardare l’opera della creazione non fu, invece, di riconoscimento della sua utilità o piacere. Con ciò vogliamo suggerire che l’atteggiamento divino fu quello proprio della volontà etica, non della volontà edonista, né di quella utilitarista. L’unica ragione per cui Dio creò l’universo dell’essere è perché farlo era cosa buona. Per questo affermiamo che la modalità etica della volontà è nell’uomo il modo di respirare, il respirare stesso di ciò che è eterno, perché costituisce l’atteggiamento specifico della volontà divina.