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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


«I martedì di San Domenico»
Convegno «In una cattedrale. Dove fissare lo sguardo»
Relazione «Perché un vescovo ama Tommaso»
Bologna, Convento di San Domenico, 16 dicembre 2014

(testo tratto dalla registrazione video — prima parte e seconda parte — non rivisto dall'Autore)


1.

Il tema che ho scelto l’ho enunciato in questo modo: Perché un vescovo ama Tommaso. Può sembrare infatti ad alcuni strano che un vescovo ami Tommaso, specialmente oggi, rallegrandosi della diffusione delle sue opere. Tommaso, lo si sa, non è stato un pastore; sappiamo anzi da testimonianze storiche di buon valore che rifiutò l’episcopato di Napoli. Egli ha passato la sua vita nello studio, nell’insegnamento universitario, nella composizione di opere voluminose; attività dunque che, almeno a prima vista, non sono esemplari per un vescovo, che la Chiesa vuole interamente dedito al ministero pastorale. Tuttavia c’è in Tommaso qualcosa che attira profondamente un vescovo, che lo lega anche affettivamente a questo genio. Che cosa? In che cosa consiste, almeno per chi vi parla, questa grande forza attrattiva, amicale, che questo uomo ha esercitato, almeno su di me? La mia riflessione cercherà di rispondere a questa domanda.

La passione di Tommaso è la Sacra Dottrina, quella veritas salutaris che il Padre ha voluto rivelarci in Cristo. La sua passione non è il lavoro dell’intelligenza, la quale può anche brillare, ma non illuminare. Tommaso sicuramente conosceva bene tutta la tragica vicenda di Abelardo. Ma che cosa significa passione per la veritas salutaris? Significa lasciarsi dominare da essa, senza introdurre in essa elementi inquinanti, i propri gusti o le proprie preferenze, il proprio orgoglio o la propria vanità, riducendo il cristianesimo al supermercato dove si va per scegliere il prodotto che ci piace di più.

La passione per la veritas salutaris è la pura obbedienza della fede, perché solo mediante essa non costruisco sistemi di pensiero ma attingo alla realtà stessa divina.

Tommaso è un appassionato difensore del realismo della fede. Conosciamo tutti (almeno chi è un po’ addentro al suo pensiero) l’affermazione secondo la quale l’atto dell’intelligenza non si ferma alle proposizioni che lo esprime ma alla realtà, attinge la realtà di ciò che attraverso la proposizione esprime.

La passione di Tommaso è l’immenso Soggetto (con la esse maiuscola) della Sacra Dottrina. Colui di cui parla nella divina Rivelazione. Non riesco a trovare una formulazione più adeguata che la seguente: «È il puro contemplativo».

Due segnali a mio avviso mi hanno sempre aiutato ad entrare in questo grande spirito: il primo è il fatto che egli celebrava l’Eucarestia ogni giorno. Non era frequente allora, lo sapete, la celebrazione quotidiana dell’Eucarestia da parte dei sacerdoti — pensiamo che dopo la sua ordinazione sacerdotale Sant’Ignazio di Loyola aspettò un anno prima di celebrare la sua prima Eucarestia — e la celebrava con una tale devozione (è la testimonianza di Reginaldo, suo confratello) che spesso non riusciva a trattenere le lacrime.

L’altro segnale è quanto gli è accaduto durante una misteriosa esperienza mistica vissuta sempre durante la celebrazione eucaristica. Dopo quella esperienza egli non scriverà più nulla, se si eccettua — ma è andata perduta, purtroppo — il commento al Cantico dei Cantici fatto come atto di gratitudine verso i monaci cistercensi di Fornovo che lo avevano accolto ormai alla fine della vita.

Egli non scriverà più nulla e giudicherà quanto da lui era già scritto “paglia” in confronto di ciò che aveva visto. Il Signore aveva forse ascoltato per qualche momento la sua preghiera: «Oro fiat illud quod tam sitio, ut, te revelata cernens facie, visu sim beatus tuae gloriae».

Perché tutto questo spinge un vescovo ad amare Tommaso? Ascoltate quanto dice il concilio Vaticano II: «Tra le funzioni principali dei vescovi eccelle la predicazione del vangelo. […] Predicano i vescovi al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare alla vita» (Lumen Gentium, 25). Notate bene l’espressione del Concilio «Tra le funzioni principali». Le funzioni del vescovo purtroppo sono tante; fra queste ce ne sono alcune che sono “le principali”; fra queste che sono le principali, il Concilio dice “eminet”, è eminente, è ciò che importa di più, la predicazione del vangelo, predicare al popolo loro affidato la fede da credere e da vivere. Il vescovo dunque esiste perché ha una veritas salutaris da comunicare; il vangelo della Grazia è un patrimonio di cui è amministratore, non padrone. Il vescovo quindi deve lasciarsi totalmente dominare dalla Sacra Dottrina che gli è stata affidata; la spina dorsale della sua esistenza, la sorgente sempre zampillante della sua vita è la pura obbedienza della fede, la quale semplicemente lascia trasparire la pura luce del Verbo fattosi carne; lampada che arde e illumina.

Per dirla in breve, la passione che ha plasmato l’opera e la vita di Tommaso è la stessa passione che deve plasmare l’opera e la vita del vescovo. Siamo fratelli nello Spirito.

 

2.

C’è anche una seconda ragione per la quale il vescovo ama Tommaso, non meno importante. Tommaso ha amato l’opera della creazione non meno che l’opera della redenzione. Un grande studioso tomista del secolo scorso ebbe a dire che se presso l’Ordine domenicano vigesse la stessa consuetudine di qualificarsi con un mistero della fede, che vige presso l’Ordine carmelitano, Tommaso si sarebbe chiamato, dice questo studioso, Tomas a divina creatione. Presso i carmelitani si dice ad esempio Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo. Si qualificano sempre denotando un mistero della Fede. Questo grande studioso del secolo scorso dice che se anche i domenicani avessero questa consuetudine, Tommaso probabilmente si sarebbe chiamato Tomas a divina creatione.

Donde derivava questo amore? questo rispetto per la creatura? Dalla considerazione (lo si noti bene) che la scarsa stima per l’opera induce sempre alla poca stima dell’artista. Chi disprezza la creatura disprezza Dio che l’ha creata. Tommaso ha sempre diffidato di ogni glorificazione di Dio edificata sulle ceneri dell’uomo. Forse è per questa ragione che egli ebbe sempre grande considerazione per coloro che, privi della fede, hanno dovuto comprendere la realtà creata alla luce della sola ragione. Ne studiò le opere, le commentò, non raramente le difese.

Ma fra i beni creati, uno particolarmente gli stava a cuore: la ragione. Egli ebbe a scrivere: «Qui non intelligit non perfecte vivit sed habet dimidium vitae»; vive una vita dimezzata chi non capisce. Egli fu sempre accompagnato da questa convinzione: la Fede è chiamata a penetrare nella ragione. Egli non temeva — cosa di cui, anche da parte di illustri ecclesiastici fu accusato — di trasformare il vino della Fede nell’acqua della ragione, perché sapeva che l’acqua della ragione poteva e doveva essere trasformata nel vino della Fede.

Il vescovo non può non sentirsi fratello con chi ama l’opus creationis e in particolare la ragione. Qui, cari amici, tocchiamo uno dei drammi più profondi del ministero episcopale oggi: è in atto, a mio povero giudizio, un vero attacco contro la creazione, un morbo al cui confronto la gnosi antica era un semplice raffreddore. Questo attacco contro la creazione ha preso soprattutto come oggetto i due pilastri portanti della creazione, il lavoro umano e il matrimonio.

Ma desidero fermarmi un poco sul disprezzo della ragione a cui oggi noi assistiamo. Sembra che parlare di fede ragionevole e/o di ragione credente sia una contraddizione in termini. Questo giudizio di inutilità della ragione nell’ambito della fede ha prodotto una vera devastazione nel cuore dei credenti. Abbiamo assistito a una vera deforestazione concettuale, alla riduzione della fede a emozioni, alla negazione di senso circa la domanda sulla verità della fede, sulla verità di ciò che la fede insegna.

Ciò che voglio dire è che un vescovo che non voglia rassegnarsi a questa condizione troverà sempre in Tommaso un grande amico e un grande maestro.

Vorrei dire infine una terza e ultima ragione della mia amicizia con Tommaso. La formulo in un modo un pò conforme alla moda del tempo: egli è “l’uomo del dialogo”. Non il dialogo che si riduce alle conversazioni dei salotti, le quali lasciano la persona semplicemente un po’ più vanitosa di quando era entrata in salotto; dialogo nel senso etimologico del termine, dia-logos, un condividere con l’altro la ricerca della verità ultima, le ragioni che sostengono la ricerca; non un conflitto fra rivali ma la ricerca di una verità che ci trascende tutti e che abita in tutti.

Tommaso amante della ragione non poteva non accogliere quanto essa aveva cercato e scoperto da qualunque parte venisse. Citando un testo dei Padri disse «Tutto ciò che di vero si dice viene dallo Spirito Santo». Tutto ciò che di vero si dice, quindi prescindendo da chi lo dice. In questo modo egli è veramente cattolico, cioè tutto ciò che è vero, buono, nobile, degno di lode ci appartiene.

Non è stato facile, soprattutto negli ultimi anni della sua vita; quasi tutti i suoi maestri di teologia dell’università di Parigi lo osteggiarono, ma Tommaso disputò con grande serenità, chiedendo semplicemente che si esponessero le proprie ragioni pubblicamente; appunto, che si avesse un vero dialogo. «Servo del vero è l’uomo del dialogo».

Nel finale di una delle sue opere più importanti teoreticamente e anche più impegnative, L’unità dell’intelletto, scrive Tommaso uno dei testi a mio giudizio più suggestivi su che cosa è il dialogo. Dice nella conclusione: «Queste sono quindi le cose che abbiamo scritto a confutazione del predetto errore, non servendoci dei documenti della fede ma dei ragionamenti e delle asserzioni degli stessi filosofi». E qui adesso attenzione: «Se poi qualcuno, vantandosi di una falsa scienza, ha intenzione di dire qualcosa contro quanto abbiamo scritto, non si metta a parlare negli angoli — chiacchiericcio, eh, di cui tanto spesso parla papa Francesco — né di fronte a fanciulli incapaci di esprimere un giudizio su cose tanto ardue, ma confuti per iscritto questo nostro scritto, se ne ha il coraggio, e troverà non solo me, il minimo fra tutti, ma tanti altri sostenitori della verità, per mezzo dei quali ci si opporrà al suo errore e si provvederà alla sua ignoranza». La dignità del dialogo, eh, nella piazza.

La sintesi di tutta la sua esistenza Tommaso mi sembra la tracciò quando ricevette dall’abate di Fossanova il Viatico. «Ti ricevo — disse — prezzo della Redenzione dell’anima mia, viatico del mio pellegrinaggio, per amore del quale ho studiato, vegliato, lavorato, predicato, insegnato. Non ho mai detto nulla contro di te, ma se l’ho fatto, mi rimetto alla correzione della Chiesa di Roma. È nella sua obbedienza che parto da questa vita». Siamo ritornati al punto: all’obbedienza della fede: ed «è nella sua obbedienza che parto da questa vita».

Grazie.