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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Saluto al convegno organizzato dai Rotary Club di Bologna
"Le professioni: il ritorno dell’etica"
4 marzo 2005
Aula Magna Santa Lucia


Illustri Signori,

ben volentieri ho accolto l’invito di porgere un saluto a tutti voi partecipanti al Convegno "Le professioni: il ritorno dell’etica". Ne sono grato al Presidente.

Penso che dall’Arcivescovo attendiate un saluto che vada oltre le parole di circostanza, ma che offra – sia pure telegraficamente – qualche spunto di riflessione sul tema del Convegno.

Una riflessione come la vostra incontra oggi una difficoltà di fondo: la parola "etica" nella modernità ed in larga parte della post-modernità è divenuta ambigua. Essa veicola due significati ben diversi: esiste un discorso etico alla terza persona e un discorso etico alla prima persona.

Il primo intende essere la costruzione della risposta alla domanda: che cosa devo/non devo fare? a cui si cerca di rispondere con una riflessione oggettiva e neutrale che prescinda dai soggettivi progetti di vita. Il secondo intende essere la costruzione della risposta alla domanda: come devo vivere per vivere una vita buona? a cui si cerca di rispondere guardando alla vita della persona che agisce come un tutto dentro al quale i singoli atti acquistano senso. Il primo mette al centro il tema delle regole giuste; il secondo mette al centro il tema delle virtù che rendono buono l’agire.

L’etica della giustizia e l’etica della virtù si pongono oggi non raramente come alternative, almeno all’interno di quella "filosofia pubblica" che influisce sui processi legislativi.

Il tema del "ritorno dell’etica nelle professioni" non può oggi ignorare quel nodo teoretico e pratico: è un problema di [ripensamento e riformulazione di] regole nuove o è prima e soprattutto un problema di una riscoperta affezionata di un bene che è intrinseco all’esercizio della professione? Consentitemi la proposta di una riflessione che non vede come alternative le due "cifre" del dibattito attuale, la giustizia e il bene, ritenendo la giustizia una regione del bene.

- Ha senso parlare in modo serio di etica delle professioni, solo se si ammette che ciascuna di esse ha una sua propria identità, definita dallo scopo per cui esiste. Esiste cioè un bene proprio di ciascuna professione.

- Questa identità è da ritenersi intangibile da parte di qualsiasi autorità. E’ un aspetto particolare di quella visione della società fondata sul principio di sussidiarietà.

- L’identità genera un ethos specifico di ogni professione, un’insieme cioè di attitudini spirituali che definiscono il "buon professionista". E’ questo ethos che deve generare poi quelle norme di comportamento proprie dell’esercizio di ogni professione: sono i codici deontologici.

- L’esercizio di ogni professione ha una relazione stretta con il bene comune. E’ questa relazione che fonda la legittimità dell’intervento statuale per regolamentare l’esercizio della professione. E’ necessaria una vera continuità fra identità della professione, ethos professionale, codice deontologico, legge civile. E’ questa un’articolazione assai delicata. Se oggi non è più chiaro quale posto ha l’etica nell’esercizio delle arti professionali, è perché quell’articolazione è stata non raramente spezzata. E’ stata spezzata nella direzione o di una affermazione di autonomia senza regole o di una richiesta di norme giuridiche sempre più invadenti.

Illustri Signori,

vi auguro un buon lavoro perché il tema che affrontate è di importanza decisiva.