Settimana mariana 2001
CELEBRAZIONE PER I RELIGIOSI E LE RELIGIOSE
Ferrara 6 ottobre 2001
1. "Se aveste fede quanto un granellino di senape…". Carissimi religiosi e religiose, il Signore oggi vuole donarvi un profondo insegnamento sulla fede. E’ un insegnamento di cui non dobbiamo dare un’interpretazione banale. La fede non è la capacità di compiete cose strane, come sarebbe strano espiantare un albero dalla terra per piantarlo in mare. Qui si tratta di qualcosa di molto grande: si tratta di estirpare dal nostro spirito ogni albero che produca frutto di corruzione e di morte. "Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna" [Gal 6,8]. Gli alberi che producono frutti di morte possono essere estirpati solo dalla fede vera.
Alla luce della pagina profetica, noi comprendiamo che la fede consiste nel riporre la nostra fiducia nel Signore e nella sua Provvidenza, nel fatto che posso mettere tutto me stesso nelle sue mani. Senza tentennamenti, anche quando il Signore sembra assentarsi e la voce del profeta diventa in tutta verità la nostra voce: "fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido … e non soccorri?". E non a caso il Signore usa l’immagine di un granellino di senape. "Nel granello di senape è implicita da un lato la piccolezza – quella della mia inadeguatezza – dall’altro però la potenzialità della crescita. Il granello di senape racchiude insomma un’immagine profonda della fede. La fede non è conseguentemente la mera accettazione di determinate formule, ma è un seme di vita riposto in me. Sono un autentico credente solo se la fede è presente in me sotto la forma di un seme vivo, da cui germoglia qualcosa e che poi trasforma davvero dapprima il mio mondo personale, per poi portare qualcosa di nuovo nel mondo inteso nella sua globalità" [J. Ratzinger, Dio e il mondo, S. Paolo ed., Milano 2001, pag. 38-39].
2. Quale sia la trasformazione che la fede così intesa operi nel cuore umano è spiegato dalla parabola del servo, immediatamente seguente. Non dobbiamo precluderci la comprensione di questo testo profondo lasciandoci prendere da … questioni sociali che qui sono totalmente fuori della prospettiva del Signore. La chiave di comprensione della parabola sta nelle parole finali: "quando avrete fatto …". Chi nella fede si affida pienamente al Signore, sa che il suo servizio deve essere assolutamente disinteressato: nessuno può esigere nulla dal Signore. La fede esclude dal rapporto fra noi e il Signore ogni logica contrattuale. Il migliore commento a questa pagina del Vangelo l’ha fatto S. Paolo quando, parlando delle disposizioni con cui svolge il suo ministero apostolico, scrive ai Corinzi: "quale è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il vangelo senza usare del diritto conferitomi dal Vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnare il maggior numero" [1Cor 9,18-22].
Il passaggio dalla logica contrattualistica alla logica della gratuità è operata dalla fede attraverso la carità. Ritroviamo a questo punto uno dei più profondi insegnamenti dati dal Concilio sull’uomo: l’uomo è la sola creatura che può ritrovare pienamente se stessa solo nel dono sincero di sé [cfr. Cost. past. Gaudium et spes 24,4]. La parabola del Vangelo è profonda: svela l’intima verità dell’uomo all’uomo. L’uomo è l’essere completamente inutile: perché non può essere usato da nessuno; l’uomo non può usare neppure se stesso. E’ nella sua inutilità che consiste tutta la sua grandezza. La categoria dell’utilità è completamente estranea all’universo delle persone.
Carissimi sorelle e fratelli, la pagina evangelica vi conduce alle radici stesse della vostra consacrazione: la radice che è la vostra libertà. E’ stato un atto di libertà, suscitato interamente dalla grazia preveniente di Cristo, che vi ha spinto a ritrovare voi stessi nel dono sincero di voi stessi. E voi sapete bene che i vostri voti hanno significato in quanto rendono più chiaro e facile il dono sincero di voi stessi. Tutto questo è vero di ogni voto particolare: o l’obbedienza è la via per una totale espropriazione di se stessi per appartenere solo a Cristo oppure diventa una via per fare ciò che si vuole; o la povertà è la via per trovare solo in Cristo il proprio sommo bene oppure diventa un via per vivere senza impegno; o la castità è la via per offrire a Cristo un cuore indiviso oppure diventa un via per vivere egoisticamente. Giustamente diceva Bernanos che un consacrato o è una creatura sublime di santità o diviene sempre peggiore della persona sposata. Chi è sposato deve comunque sacrificarsi per i figli e deve vivere la sua donazione al coniuge, ma chi non vive nessuna donazione di sé e vive unicamente per se stesso è un fallito. In questo consiste la perdita di se stesso, perché perdiamo l’immagine di Dio che è in noi, il quale è amore che si dona senza misura e non trova altra gioia che nel donarsi.
L’Eucarestia che celebriamo ci trasformi in Cristo perché siamo capaci di essere in Lui e di ritrovare noi stessi nel dono sincero di noi stessi.
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