Relazione "Camminiamo insieme verso il Congresso Eucaristico 2007"
alla 15° Assemblea Diocesana delle Caritas Parrocchiali
AMORE DI DIO E RISCATTO DELL’UOMO
26 novembre 2005
È la luce che ci consente di distinguere i colori. È la medesima luce che pur restando sempre uguale in se stessa ci fa vedere colori diversi. È la stessa visione spirituale che ci fa amare Dio e l’uomo. Pur essendo Dio infinitamente diverso dall’uomo, l’amore con cui amo l’Uno non è altro dall’amore con cui amo l’altro. È questa l’affermazione centrale ed assolutamente originale della dottrina cristiana sull’amore.
Vorrei iniziare la mia riflessione proprio da questo punto, principio e fondamento di tutto il resto.
1. Ciò che spinge l’uomo ad amare Dio che si rivela in Cristo è la sua Bontà: è nello stesso tempo e la sua Gloria divina e la sua misericordia verso l’uomo. È Dio che si rivela nello splendore del suo essere divino come Colui che si comunica all’uomo. È il suo Essere divino che si comunica all’uomo donandoci il suo Figlio unigenito.
Il motivo della carità è la singolare amabilità del Padre quale si rivela nel dono che Egli ci fa del suo Figlio unigenito, perché Questi ci introduca nella vita stessa divina. Il Padre con un amore assolutamente gratuito vuole rendere l’uomo partecipe della sua stessa Vita divina; chiama la persona umana all’intima comunione di Vita con Se stesso. L’uomo risponde a quella decisione del Padre, poiché niente rende Iddio così amabile quanto questo libero movimento di amore col quale vuole donarci Se stesso nel modo più alto possibile, aprendoci la casa della sua vita intratrinitaria e rendendoci partecipi di essa.
Se ci poniamo dentro a questo "libero movimento di amore" e ci lasciamo com-muovere da esso, noi siamo come trasportati, come spinti ad amare come Dio ama, a volere cioè che ogni uomo sia partecipe della vita divina. Siamo collocati dentro alla corrente che dal Padre va verso l’uomo perché l’uomo vada verso Dio.
È chiaro dunque che l’amore con cui amo Dio – meglio: con cui corrispondo all’amore di Dio – non può non portarsi anche su ogni uomo. Sono due "oggetti" dello stesso amore così come è la stessa luce che mi fa vedere oggetti diversi.
Vorrei ora fare un passo avanti nella nostra riflessione sulla unità inscindibile dell’amore di Dio e dell’uomo. Vorrei dirvi qualcosa sul fatto che l’Amore del Padre verso l’uomo [nel senso già spiegato] e la risposta dell’uomo a questo Amore si realizza in grado unico ed irripetibile in Cristo: Cristo è l’Amore del Padre verso l’uomo e la risposta dell’uomo all’Amore del Padre. Cercherò di balbettare qualcosa su questo grande mistero.
Il Padre vuole comunicare la sua stessa vita all’uomo. Questa decisione si attua perfettamente quando il suo Figlio unigenito assume la nostra natura umana. L’uomo, Gesù di Nazareth, è il figlio naturale del Padre e la sua figliazione consiste nella donazione che il Padre fa a Gesù come vero Padre ad un figlio vero. La nostra fede non ci dice forse che Gesù è vero figlio di Dio? Dunque ciò significa che il Padre è vero padre di Gesù. La paternità del Padre si è estesa a Gesù, il suo Verbo fattosi uomo. Nella sua coscienza umana Gesù sperimentò la paternità del Padre in modo indicibile.
Corrispondentemente, Gesù amò il Padre con amore figliale assolutamente unico. Nel suo amore, nella sua obbedienza umana al Padre, Gesù si relazionava a Dio come il figlio naturale al Padre. L’amore obbediente di Cristo verso il Padre fu la vera, perfetta risposta umana all’Amore del Padre: risposta che raggiunse il suo compimento sulla Croce [cfr. Gv 14,31].
Dunque, in Cristo, Verbo fattosi carne: a) Dio-Padre dona se stesso personalmente come Padre all’uomo Gesù; b) si realizza la suprema comunione di vita fra il Padre ed una creatura umana; c) l’amore umano del Verbo incarnato verso il Padre è la risposta perfetta, la perfetta corrispondenza all’Amore del Padre; d) la comunione reciproca di vita fra il Verbo incarnato ed il Padre è il centro di tutta la realtà.
Proviamo in questo momento a pensare al sole come centro di luce e di gravità di tutto l’universo in cui noi ci troviamo. Egli espande la sua luce su ogni oggetto ed attira a sé ogni oggetto. È una pallida immagine di Cristo.
Egli è la fonte da cui scaturisce l’Amore del Padre verso l’uomo: Egli è stato mandato perché noi divenissimo figli nel Figlio. Egli è il centro verso cui ogni persona umana è attirata perché viva nella comunione piena col Padre.
Attraverso queste parole ho semplicemente descritto la Chiesa. La Chiesa è il Corpo di Cristo; è Cristo diffuso e come effuso nell’umanità [ricordate l’immagine del lievito]. In essa il Padre si dona in Cristo ad ogni uomo ed ogni uomo entra nella comunione della famiglia di Dio.
Come vedete, la descrizione che ho dato sopra della carità si ritrova perfettamente nella descrizione che ho fatto della Chiesa. Carità e Chiesa denotano la stessa realtà: la Vita trinitaria diventata possesso dell’umanità. Pensate solo per un momento: quale è la gravità di una benché minima divisione nella Chiesa? Quale responsabilità si assume chi ne è la causa!
2. Noi ci troviamo dentro a questo "universo della carità". Qualcuno potrebbe pensare a questo punto: "ma cosa c’entra tutto questo con i quotidiani problemi che abbiamo nell’esercizio concreto della carità?" Ora vorrei continuare la mia riflessione lungo questa linea. Debbo però prima fare una premessa.
S. Ireneo scrive: "gli uomini … sono spirituali grazie alla partecipazione dello Spirito, ma non grazie alla privazione ed eliminazione della carne" [Adv. Haer., V, 6.1; SCh 153, pag. 74]. L’affermazione è di una importanza fondamentale. Potremmo anche riesprimerla nel modo seguente: essere cristiani significa essere pienamente, perfettamente umani. La vita in Cristo è una vita che riguarda tutte le dimensioni della vita umana. La vita cristiana cioè è la nostra vita umana generata dalla nostra unione con Cristo, dal nostro essere in Cristo.
Che cosa voglia dire essere in Cristo ho cercato di dirlo nel numero precedente: partecipare all’Amore stesso del Padre verso l’uomo e rispondere a questo Amore.
Ora ritorniamo alla nostra riflessione. Posto di fronte ad ogni uomo, non esiste altra relazione giusta a suo riguardo che quella di volere il suo bene. Quale è il suo bene? In realtà, se noi prestiamo attenzione, il bene umano di realizza in vari beni umani: il cibo, la casa, il lavoro, l’accesso all’educazione. E così via. Esistono vari beni umani che sono necessari al bene della persona poiché è nel loro possesso che si realizza il bene della persona; che la persona si realizza.
Amare la persona – volere il suo bene – significa assicurare ad essa il possesso di quei beni senza dei quali essa non si realizza come persona umana. S. Tommaso distribuisce questi beni su tre livelli: il beni basilari riguardanti la vita [cibo, vestiti, cura nelle malattie…]; i beni riguardanti la vita associata ad iniziare dalla prima società che è la famiglia; i beni riguardanti la dimensione propriamente spirituale della persona [cultura, libertà nelle sue varie espressioni]. La carità si esprime in ciascuno di questi tre livelli. Volere il bene della persona esige che voglia e si faccia il possibile perché essa venga in possesso dei beni in cui essa si realizza.
Ma la persona umana non è una casa di tre piani nella quale il costruttore ha dimenticato di costruire scale ed ascensore. La persona umana è intimamente unita nelle sue componenti strutturali. Esiste quindi un bene della persona, che – per così dire – attraversa tutti i beni, il bene della persona come tale. Gli altri beni sono i beni della natura della persona. È il bene che consiste nella giustizia verso Dio, nell’essere davanti a Dio "santi ed immacolati nella carità". Il primo bene che dobbiamo volere ad ogni uomo è la "grazia di Dio in Cristo Gesù"; l’annuncio del Vangelo è il primo dono che possiamo fare all’uomo che non lo conosce, e la condivisione dell’amore che edifica è la prima carità che possiamo fare a chi condivide con noi la stessa fede. La "missione" intesa in senso rigorosamente teologico è la suprema manifestazione della carità.
In sintesi. L’esercizio della carità è inevitabilmente "specializzato"; nessuno può compiere tutti gli atti della carità assieme. Ma l’intenzione che muove chiunque ad esprimere in qualsiasi gesto la carità, è identica in tutti. È il voler il bene [= la bene-volenza] dell’altro. La benevolenza poi si esprime – se è vera benevolenza – nelle varie forme della bene-ficenza. Chi vuole in bene fa il bene.
3. In questo ultimo punto vorrei attirare la vostra attenzione su una particolare espressione della carità.
Parto da un richiamo del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa [n. 207], che dice: "occorre… che si provveda a mostrare la carità non solo come ispiratrice dell’azione individuale, ma anche come forza capace di suscitare nuove vie… per innovare profondamente dall’interno strutture, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici. In questa prospettiva la carità diventa carità sociale e politica: la carità sociale ci fa amare il bene comune e fa crescere effettivamente il bene di tutte le persone sono solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce".
Il testo è molto importante e si inscrive nella grande tradizione della Chiesa secondo la quale l’attività e l’impegno politico e nelle istituzioni pubbliche è un’espressione eminente di carità. Se vogliamo usare questa terminologia, che non è delle più corrette, dobbiamo dire che la carità cristiana non deve esaurirsi all’interno dei rapporti fra persona e persona nel senso spiegato nel paragrafo precedente. Essa deve esercitarsi ed intervenire dentro a quella rete istituzionale in cui quei rapporti dimorano, e che è precisamente la società civile e politica. Lavorare perché queste siano sempre più a misura della persona è un dovere grave di carità.
La carità non si limita a rispondere qui, ora a questa persona nel bisogno. Essa deve anche esprimersi nell’impegno ad organizzare la società e la politica in modo tale che ogni persona possa avere accesso ai fondamentali beni umani corporali e spirituali. Volere il bene, atto precipuo della carità, è anche volere il bene comune della società in cui l’uomo vive, bene comune che non può consistere solamente nell’offerta e nella difesa di procedure giuste ma anche e soprattutto di possibilità concrete di una vita umanamente degna. S. Tommaso scrive: "Se è dalla virtù che deriva la bontà dell’agire umano, si deve dire che c’è una virtù maggiore, quando una persona per essa compie un bene più grande. Ora il bene della società è superiore e più divino che il bene del singolo" [De regimine principis I, VII, 50].
La negazione del bene dell’uomo assume anche una dimensione esteriore, concretizzandosi come contenuto di una cultura, di un costume sociale, istituzionalizzandosi anche in sistemi e sottosistemi. Esiste un universo non costruito dalla carità. Questa, più concretamente il cristiano, non può limitarsi a correggere, ad aggiustare, a rimediare situazioni di singole persone dentro a questo universo non costruito dalla carità. Questa deve entrare nell’universo stesso dell’anti-umanesimo per migliorarlo, per commisurarlo sempre più a misura dell’uomo. È profondamente vero che "nell’amore sta il senso della cultura" [N. Arsen’ev.] La cultura e la carità non sono due espressioni della fede cristiana separate; non sono due manifestazioni parallele del mistero della Chiesa. Sono come il concavo ed il convesso della stessa realtà. La possibilità offerta all’uomo di amare Dio e l’uomo con lo stesso amore ha generato, e può generare anche oggi a causa della sua forza creativa una civiltà, una cultura degna dell’uomo.
È per questo che una cultura pienamente umana può trovare la sua sorgente solo nella celebrazione dell’Eucarestia e nella massima partecipazione alla stessa, cioè al martirio. È stato il sangue dei martiri normalmente a generare le comunità umane più vere.
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