QUINTA STAZIONE QUARESIMALE
8 marzo 1996 - CHIESA DEL GESÙ
Fra le molte parabole narrate da Gesù, due sole sono riferite
da tutti e tre i primi evangeli; una delle due è la parabola appena
letta, quella dei “vignaioli omicidi”. Già da questo possiamo capire
l’importanza di questa pagina evangelica. Lasciamoci dunque occupare completamente
da essa.
1. La parabola è in primo luogo il racconto della storia della
nostra salvezza, del rapporto fra Dio e l’uomo.
La S. Sacra Scrittura comincia a parlare dell’uomo nel modo seguente:
“il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, vi colloco
l’uomo che aveva plasmato” (Gen 2,8). E’ lo stesso inizio della parabola:
“Piantò una vigna, la circondò con una siepe ... poi affidò
la vigna ad alcuni agricoltori”. Ecco l’inizio di tutta la nostra relazione
con Dio stesso. L’atto creativo ci costituisce in una relazione piena di
grazia, nella quale l’uomo è posto di fronte al suo Creatore, chiamato
a produrre frutti di beni e di giustizia. “E se ne andò lontano”:
Dio ci lascia liberi, liberi di rispondere al suo amore. Sono così
presentati i due “attori” della storia, Dio e l’uomo: una storia che ora
comincia ad essere narrata.
“Quando venne il tempo del raccolto”: la nostra vita ci è
stata donata come un patrimonio da far fruttificare e non da dilapidare.
E “i frutti che il Signore della vigna desidera sono il ricordo ed il ringraziamento
al Padre che dona e la condivisione col fratello che ha bisogno”. Ma che
cosa accade? Accade qualcosa di inspiegabile. Da una parte, da parte dell’uomo,
una progressiva chiusura ed un sempre più grande indurimento: “Uno
lo bastonarono, un altro lo uccisero e l’altro lo lapidarono”. Dall’altra
parte, da parte di Dio cioè, un progressivo esporsi al rifiuto con
un amore che non è più capace di contenersi: “Mandò
altri servi più numerosi dei primi” Quale mistero! In quale abisso
di misericordia e di ostinazione siamo immersi dalla parola di Dio!
Ed infatti, arriviamo al punto centrale di questo incontro-scontro
fra la libertà dell’uomo e la libertà di Dio. Esso è
introdotto in un modo singolare. Esso ci riferisce di una parola detta
da Dio stesso. Egli fa appello alla sua sapienza divina. E’ una sorta di
“divina angoscia” nel fare l’ultimo tentativo: “Rispetteranno mio figlio”.
La parola ci scopre un poco il velo che copre il Mistero dell’Incarnazione
del Verbo. L’origine di questo mistero è l’amore del Padre per l’uomo:
Egli ama tanto il mondo da inviare il suo Figlio unigenito. Ed è
l’ultima prova del suo Amore perché la libertà dell’uomo
si affidi finalmente a Lui. E si ha il rifiuto anche di questi: “Per avere
l’eredità”. Cristo, suprema rivelazione dell’Amore non invidioso,
è visto come il concorrente, al possesso di se stessi, alla propria
eredità. E lo uccisero. A questo punto la storia sembra finita.
Un dramma senza via d’uscita: l’amore di un Dio che vuole essere amato
perché l’uomo sia nella beatitudine; la libertà dell’uomo
che si rifiuta sempre e comunque. La storia di un Amore infelice, che non
ha sbocchi.
Ma avviene un “capovolgimento” inaspettato. Ascoltate: “La pietra
scartata dai costruttori...”. Che cosa significa? Significa che precisamente
da quella morte, quella pietra scartata, il crocefisso, viene la nostra
vita. Sulla croce i due si sono scontrati: l’Amore che si dona e la libertà
che uccide. Ed il male fatto attua il disegno di salvezza. Come non esclamare:
“o altezza della profondità...”.
2. Ciò che la parabola narra è la storia dell’umanità,
è la storia di Israele, è la storia di ciascuno di noi: è
la storia della nostra libertà che deve comunque fare i conti con
l’Amore di Dio quale si rivela nel Crocifisso, nella pietra scartata dai
costruttori. Questo “incontro” è il “nodo” della nostra esistenza:
se lo eliminiamo, il nostro vivere perde ogni serietà.
E nella nostra libertà sta inscritta la possibilità
sia di inciampare contro quella pietra, sia di costruire su di essa la
nostra vita.
La Quaresima è il dono che il Signore ci fa perché
vigiliamo, nella preghiera e nell’astinenza, e ci convertiamo al Suo Amore.
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