INCONTRO CON PRESIDI E DIRETTORI DIDATTICI
22 dicembre 1995
Egregi Signori,
è stato un atto di squisita gentilezza del Sig. Provveditore
agli Studi darmi questa occasione, per me di straordinaria importanza,
di parlare con chi ha una così grave responsabilità civile
come voi. Gliene sono infinitamente grato, così come sono grato
a voi che siete venuti così numerosi.
Penso che come premessa al mio dire, sia necessario ed onesto
da parte mia dirvi subito con quale, diciamo, “competenza”, intendo rivolgermi
a voi, da quale punto di vista vorrei offrire alla vostra riflessione,
le riflessioni che andrò facendo. Non ho nessuna autorità
nei confronti vostri, se non quella di rappresentare, tanto indegnamente,
una realtà, la Chiesa Cattolica, che porta nel proprio, direi, “codice
genetico”, il genio e la passione educativa. Non ho nessuna autorità
se non quella che mi viene dall’essere la Chiesa una grande “esperta in
umanità”, vivendo coll’uomo ormai da duemila anni. Ascoltate ed
accogliete le mie semplici riflessioni semplicemente così: riflessioni
di chi è stato chiamato a mettere al primo posto in tutto e per
tutto, la salvezza della persona umana.
1. CRISI DELL’EDUCAZIONE
Il primo punto della mia riflessione intende richiamare la vostra
attenzione sulla centralità che in ogni civiltà e società
ha rivestito e riveste l’educazione della persona umana. Quando parlo di
centralità, intendo dire che il più grande problema della
società è come educare la persona umana, poiché è
attraverso l’educazione che si costruisce o si distrugge una società.
Ma, probabilmente, qui finisce oggi il consenso, cioè sull’affermazione
di principio dell’importanza centrale dell’educazione. Se, infatti, si
è convinti di questo, è inevitabile che ci si chieda immediatamente
che cosa significhi educare. E su questa domanda scoppia il conflitto dei
progetti educativi.
Donde deriva questa difficoltà o impossibilità
di consentire su un progetto educativo? quando avviene che due persone,
mettendosi a discutere sull’educazione, non si trovino d’accordo? Le ragioni
del conflitto di progetti educativi in cui ci troviamo oggi sono fondamentalmente
tre. La prima è che non sappiamo più chi deve essere educato;
la seconda è che non sappiamo più come educare; la terza
è che non sappiamo più chi deve educare.
Non sappiamo più chi deve essere educato, perché
non sappiamo più chi è l’uomo. E questa è la nostra
vera tragedia: l’oscurarsi nell’uomo della verità dell’uomo. Educare,
infatti, è educare l’umano, l’originale che è in noi. E quale
è questo “originale”, questo originale che fa sì che l’uomo
non sia qualcosa, ma qualcuno? Il conflitto dei progetti educativi è
il segno e l’effetto del conflitto degli umanesimi, del fatto cioè
che non siamo più in possesso di una definizione univoca di uomo.
Non sappiamo più come educare. Il problema del metodo
educativo, nel senso profondo del termine, è oggi di una importanza
senza precedenti. Chiedersi quale sia il metodo educativo equivale a interrogarsi
sul modo con cui si aiuta una persona umana a divenire persona umana. Vedete?
la definizione di metodo educativo coincide alla fine colla definizione
di educazione come tale. E ci scontriamo colle stesse difficoltà.
“Divenire persona umana”, che cosa significa? Insomma, non è possibile
separare la “forma” dal “contenuto”: educare ad essere qualcuno e non qualcosa,
se già in partenza si nega che l’essere qualcuno è essenzialmente
diverso da, e infinitamente più che essere qualcosa.
Non sappiamo più chi deve educare, in quanto le grandi
“agenzie” educative, la famiglia, la Chiesa e lo Stato, che sia pure per
ragioni e titoli ben diversi e con finalità diverse sono chiamati
a svolgere un impegno educativo, sembrano essere oggi entrate in una crisi
profonda. E proprio in ciò che attiene all’educazione della persona
umana.
Una tale situazione di grave crisi, di grave incertezza educativa
non può di fatto essere accettata, senza nessun tentativo di uscirne.
Infatti, la persona umana comunque chiede ad altre persone umane di essere
educata. C’è un bisogno e un desiderio di educazione, inestinguibili
nel cuore di ogni bambino e di ogni giovane. E di fatto sono state proposte
vie di uscita da quella crisi, da quel conflitto, così che comunque
sia offerta una proposta educativa. Le principali mi sembrano tre.
Prima di esporle, brevemente, vorrei richiamare la vostra attenzione
sul fatto che tutte e tre quelle proposte partono da un presupposto ormai
ritenuto indiscutibile: la situazione di conflitto di cui parlavo è
un dato da cui non si può e non si deve uscire. Non si può
uscire. La supposta composizione di quel conflitto, si pensa, si dovrebbe
trovare in una verità dell’uomo, nell’esistenza di un originale
umano che è in ciascuno di noi. Ora una tale verità, si dice,
non esiste: o se esiste, non siamo in grado di conoscerla; anzi non si
deve affermarne l’esistenza, dal momento che tale affermazione genererebbe
una pericolosa perdita di libertà. Dunque, (è l’amara o consolante
a seconda dei gusti conclusione di questo scetticismo antropologico-pedagogico),
questa situazione di contrasti proposte pedagogiche è semplicemente
da accettare. In che modo? ecco, dunque, le tre proposte o modi con cui
si può accettare.
La prima: si cerchi un minimo comune denominatore che trovi consenzienti
tutti e questa sia la base di ogni impegno educativo. E’ più facile
dirlo che farlo. A parte il fatto che il denominatore, perché diventi
comune oggi deve divenire sempre più minimo, si vede che veramente
l’incertezza culturale si è fatta così profonda che l’accordo
è solo sulle parole, sui “flatus vocis”, senza nessun contenuto.
La seconda: non è necessario trovare alcun accordo, poiché
l’educazione consiste precisamente nell’aver rispetto di tutte le opinioni.
Più precisamente. Educare significa educare al rispetto di tutte
le opinioni, alla libertà intesa come disimpegno da ogni “pensiero
forte”. Questa posizione, molto diffusa, si fonda su una affermazione falsa
e conduce ad una vera e propria distruzione della capacità raziocinante
dell’educando. E’ un’affermazione falsa. Delle due l’una o fra una opinione
vera ed un’opinione falsa esiste una diversità di valore (nel senso
che è meglio avere opinioni vere piuttosto che false) oppure non
esiste. Nel primo caso, non devo avere lo stesso rispetto dell’opinione
vera e dell’opinione falsa, anche se devo avere lo stesso rispetto di ogni
persona qualunque sia l’opinione da essa sostenuta. Nel secondo caso, è
inutile che educhi la persona a discernere il vero dal falso, poiché
l’uno vale l’altro. Ora la facoltà di discernere il vero dal falso
è la ragione. Dunque, è inutile che educhi l’uomo a fare
uso della ragione: ciascuno viva come si sente. Su questo punto ritornerò
fra breve.
La terza: ogni problema risulterebbe risolto, se si pensasse
che educare significa istruire. Un professore di filosofia, per esempio,
deve insegnare ciò che ha detto Platone, Kant, Rosmini, ma non deve
educare il giovane a trovare la risposta se ciò che ha detto Platone,
Kant, Rosmini è vero o falso.
Perché, in fondo, nessuna di queste tre proposte ci hanno
portato fuori dalla crisi educativa in cui ci troviamo? perché questa
terribile difficoltà in cui ci troviamo oggi noi adulti, noi responsabili
anche istituzionalmente, dell’educazione? Consentitemi una risposta franca
e aperta: perché non abbiamo sempre il coraggio di educare e perché
non educhiamo al coraggio. Più brevemente: non intendiamo correre
il rischio educativo¸ non ci sentiamo più di provare la scommessa
educativa. Ed in questo senso, la crisi dell’educazione non è la
crisi dei giovani: è la crisi degli adulti. Mi spiego e chiedo perdono
di un linguaggio forse un po’ duro: ma sono sicuro che voi non vi scandalizzerete
più di tanto, pensando che è del destino stesso dell’uomo
che stiamo discutendo.
Coraggio di educare significa rifiutarsi di dare al bambino e al giovane
una univoca, precisa e completa interpretazione della realtà. Un
rifiuto che è solitamente motivato o da un profondo scetticismo
spirituale presente nell’educatore o da un male inteso rispetto della libertà
di chi è educato. Vorrei spiegarmi con un esempio molto semplice.
Se una persona mi chiede di andare a Venezia e si trova in centro a Ferrara
ed io voglio che arrivi alla meta, devo molto semplicemente dirgli se
deve andare a sinistra o a destra o così via. Può capitare
che io non sappia quale è la via ed allora ho il dovere di dirlo
ed indirizzarlo a qualcuno che possa aiutarlo. La cosa più irragionevole
sarebbe dirgli: “tu vuoi andare a Venezia, ma visto che io non so indicarti
la strada, perché non vai da nessuna parte?” L’uomo porta nel cuore
il desiderio di raggiungere una meta: la beatitudine. Non c’è un
desiderio più profondo di questo: è inestinguibile. E tutte
le domande che l’uomo fa, riguardano il come raggiungere questa meta. Che
cosa fa l’educatore: gli propone una ipotesi interpretativa di questo desiderio
e della realtà. Può forse dirgli: “io non so che cosa tutto
questo significhi; però è meglio che io non lo sappia (o
non te lo dica), così tu sei più libero”? La persona risponde:
“proprio perché sono libero, ti chiedo la tua indicazione, dal momento
che essere liberi significa muoversi verso la beatitudine”.
Educare al coraggio significa educare alla critica: educare cioè
a rendersi ragione delle cose. Educare a scoprire la ragionevolezza della
proposta interpretativa dell’educatore. Consentitemi un esempio desunto
dalla mia esperienza di Vescovo. Educare alla fede significa educare il
giovane alla critica della proposta di fede che io gli faccio, cioè
a verificarne la ragionevolezza. Chi non ha il coraggio di educare, non
sa educare al coraggio, perché confonde critica col dubbio o la
negazione. Ed è stata questa confusione a produrre una devastazione
senza precedenti nella coscienza dei giovani di oggi.
Ora si capisce perché ho parlato di “scommessa educativa”;
l’educatore deve anche saper perdere. Educando alla critica, egli si espone
al rischio che chi è educato, rifiuti alla fine la proposta interpretativa
offertagli dall’educatore. Ma anche se così fosse, ha comunque generato
un uomo.
In sostanza, usciremo dalla crisi educativa se saremo capaci
di rischiare una vera educazione alla libertà, alla libertà
che si radica nella ragione, “quae est potissimum in homine” disse S. Tommaso.
Solo così i giovani saranno aiutati ad uscire dalla terribile
malattia mortale in cui si trovano: un relativismo scettico che spegne
in loro ogni passione di vivere.
2. LA VIA DI USCITA
Mi sono permesso di dirvi chiaramente e, data la brevità,
con una concettualizzazione forse un po’ grezza, quale mi sembra la via
di uscita dalla crisi educativa in cui ci troviamo. Lo ripeto, brevemente.
Poiché è impossibile educare se si accetta un relativismo
antropologico, se si vuole una forte ripresa di proposte educative è
necessario avere il coraggio di testimoniare la verità sull’uomo.
Mi rendo perfettamente conto che questa via può oggi suscitare
molte perplessità; addirittura essere considerata non percorribile.
Credo allora che sia necessario affrontare direttamente queste difficoltà
per verificarne la consistenza. Questo rigoroso esame servirà, spero,
a designare meglio ciò che ho indicato come via di uscita dall’attuale
crisi educativa.
Il rapporto educativo è incredibilmente serio. E’ serio,
perché costringe l’educatore e l’educando a incorrere un rischio.
Voglio chiarire un poco questo concetto di rischio, con alcuni esempi.
Si possono, se si vuole imparare a nuotare, leggere molti libri sul nuoto:
ma non si è ancora imparato a nuotare. Si è sicuri di saper
nuotare, solo quando ci buttiamo in acqua. Ed è il momento in cui
abbiano più paura e possiamo annegare. E’ rischiosa ogni proposta
che chiede di essere verificata/falsificata in base all’esperienza della
proposta stessa. La proposta evangelica è estremamente rischiosa,
perché, alla fine, puoi verificarla/falsificarla solo vivendola.
Or bene, il rapporto educativo appartiene a questa categoria di rischio.
L’educatore vive una interpretazione della realtà della cui verità
è convinto e perciò la offre all’educando: questo è
nella sua essenza l’atto educativo. Ma l’offerta della proposta educativa
è fatta in modo che chi la riceva, lo faccia in modo critico: questo
è il metodo educativo. Ricevere in modo critico l’offerta educativa
significa verificarne o falsificarne la validità in rapporto ai
desideri del cuore: questo è il rischio educativo.
C’è un solo modo di evitare il rischio educativo: ridurre il
mistero dell’esistenza ad una evidenza puramente formale e la libertà
alla capacità di reagire meccanicamente ad ogni stimolo dato. Cioè:
c’è un solo modo di evitare il rischio educativo, quello di non
educare. Che è come dire: se non vuoi annegare, non andare mai in
acqua.
Questa riflessione ha il vantaggio di mostrare tutta l’inconsistenza
teoretica e pratica della cosiddetta insuperabilità del pluralismo.
Mi spiego. La difficoltà che comunemente si fa contro la definizione
di atto e metodo educativo dato sopra è che essa non tiene conto
che di fatto esiste oggi un pluralismo di visioni della realtà,
spesso contrari fra loro. E pertanto, continua chi obietta, è quanto
meno illegittimo far consistere l’atto educativo nella proposta di una
precisa interpretazione della realtà. Perché si tratta
di una difficoltà consistente? se uno si trova ad essere imbarcato,
non ha scelta. O rema o accende il motore o è trascinato da ogni
parte. Se uno si trova “imbarcato” nel rapporto educativo (istituzionalmente
educativo) con una persona, questa gli rivolge una precisa domanda di significato:
ed a questa domanda non si sfugge più. Anche il rifiuto di rispondere,
è già una risposta. Di fatto, dunque, per chi entra nel rapporto
educativo con l’onesta minima richiesta ad una persona umana, non può
non uscire da quel pluralismo di cui parlavo.
Non solo. Ma l’obbiezione nasce da un equivoco molto grave. Si
pensa che proporre un’ipotesi interpretativa costituisca una violazione
della libertà dell’educando. Si dimentica che, data la natura stessa
della proposta, l’interlocutore è proprio la libertà, o meglio
la persona umana in quanto libera. Non si tratta di stabilire un “feeling”,
di plagiare un altro.
E qui siamo in grado di chiarire il concetto di neutralità
della scuola. Il termine può avere due significati: il primo non
accettabile; il secondo accettabile.
Il primo. Neutralità significa costruire un luogo educativo
nel quale, per principio, non esiste e non può esistere nessuna
proposta interpretativa della realtà, lasciando al ragazzo, al giovane
di scegliere ciò che vuole. Se esiste un tale luogo, esso è
il luogo in cui la devastazione dell’umanità del ragazzo, del giovane
sarebbe completa. Sarebbe il luogo in cui si distrugge nella persona ogni
passione per la libertà: luogo in cui si educa alla schiavitù.
Il secondo. Neutralità significa costruire un luogo educativo
nel quale, per principio, non si propone una precisa proposta interpretativa
della realtà, come chiave di volta di tutto l’impianto educativo
(in questo senso la scuola cattolica non è neutrale), ma si ammette
al suo interno ogni proposta interpretativa, senza privilegiarne nessuna
dal punto di vista istituzionale.
Così intesa, la neutralità non è necessariamente
da respingere, tuttavia a due condizioni almeno. La prima che nel libero
confronto delle proposte, sia dato a chi ne ha la forza morale, la possibilità
di porre la propria come quella centrale. La seconda che di questo sia
avvertito chi ha il diritto di educare così che possa fare le sue
scelte. Certamente, la possibilità del fallimento educativo è
molto presente in queste situazioni. E’ dentro a questo contesto che va
posto il significato dell’insegnamento della religione.
Certamente, il tema meriterebbe di essere ulteriormente approfondito
nel senso di una riflessione sul rapporto fra Stato ed educazione alla
persona. Non è possibile farlo ora.
CONCLUSIONE
Ho finito. Ho voluto, in sostanza, dirvi quali sono a mio parere
le ragioni della crisi grave in cui versa oggi l’educazione della persona
ed indicarvi la via che mi sembra si debba percorrere per uscirne.
C’è una pagina kantiana che mi ha sempre profondamente
impressionato, anche per un pathos umano che in lui non è frequente.
Egli dice che la ragione umana arriva ad un punto in cui si trova come
di fronte ad un mare oscuro, nel quale addentrarsi è imprudente.
Essa deve fermarsi. La vera proposta educativa non può accettare
questo amaro scetticismo kantiano: e Kant stesso non lo accettò.
Perché non è accettabile? perché in sostanza, educatori
ed educando si trovano insieme nella stessa barca: il desiderio di una
verità di un bene e di una bellezza che sazino l’infinito desiderio
di beatitudine che dimora nel cuore umano.
In fondo, siano appassionati alla nostra responsabilità
educativa perché abbiamo una vera passione per l’uomo e la sua salvezza.
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