Premessa
Editoriale della Rivista Anthropotes, anno IV, n. 1, maggio 1988
«et in signum cui contradicetur» (Lc 2, 34)
Nel corrente anno cade il ventesimo anniversario dell’enciclica Humanae vitae, promulgata dal Santo Padre Paolo VI di v.m. il 25 luglio 1968. Anthropotes non solo non poteva ignorare questo fatto, ma neppure poteva non dare il suo contributo alla riflessione su questo punto. Nel novembre p.v. il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, con il Centro Accademico della Santa Croce, dedicherà il secondo Congresso Internazionale di Teologia morale allo stesso tema. Il numero monografico che presentiamo rappresenta, pertanto, solo un momento teoretico di un impegno più ampio. I venti anni trascorsi offrono molti elementi per la riflessione. Il valore «profetico» del documento di Paolo VI, che molti gli attribuirono al primo apparire, è stato ampiamente confermato.
La crisi della verità sull’amore coniugale, nella quale verità Paolo VI, fin dall’inizio della sua enciclica, disse di radicarsi, ha investito cosi profondamente la coscienza dell’uomo, da allontanarlo sempre più dal suo Fondamento. Ma, proprio anche in ciò, la profezia di Paolo VI aveva colto nel segno e dal punto di vista diagnostico e dal punto di vista terapeutico.
Non solo. Ma l’enciclica ha dimostrato di essere il criterio di giudizio circa questa follia tecnologica che ha portato l’uomo a produrre anche le persone, nella procreazione artificiale. A questi due fatti si riferiscono i contributi di Viladrich (al primo) e di Cormier (al secondo).
La riflessione di Anthropotes ha preferito costruirsi, tuttavia, in un’altra prospettiva. L’enciclica Humanae vitae ha dimostrato di essere la vera e propria «cartina di tornasole» o — se si preferisce — il «catalizzatore» di reazioni spirituali assai vaste e profonde. È su queste che il presente numero vuole iniziare la riflessione, nell’attesa e nella speranza che anche altri lo facciano.
In primo luogo, dentro la Chiesa cattolica. È noto che l’accoglienza riservata a questa enciclica costituì uno dei drammi più profondi del pontificato di Paolo VI (si veda il suo discorso-testamento del 24-VI-1978).
Essa — è sorte comune ad ogni parola profetica — scoprì i segreti del cuore: anche della teologia morale cattolica. Questa, infatti, si vide costretta a mettere allo scoperto quell’assunzione del principio moderno di immanenza, che era stata l’operazione pressoché comune della teologia, dopo Geist im welt di K. Rahner. Messa allo scoperto, essa si scontrò su due punti centrali nell’etica cattolica: l’esistenza di un Magistero vero e proprio anche nel campo delle norme morali e la ricollocazione nel giusto posto della coscienza morale. Si negò il primo e si affermò che nella seconda sta «die oberste Instanz» dell’etica (si veda, ultimo esempio, Kirchen Blatt di domenica 7-2-88, p. 4). I due punti sono centrali, ripeto: con essi «res ad triarios venit». Su di essi, infatti, si ha lo scontro di due antropologie e quindi di due etiche. La visione secondo la quale l’uomo è interpellato, nell’esperienza etica, da un’esigenza di cui non può minimamente disporre: l’esigenza della santità di Dio. La visione secondo la quale è l’uomo che è creatore dell’uomo, ponendo l’essenza della verità nella libertà. È in questo terreno che si fondano le loro radici i primi tre studi del presente numero. Ed era necessario notare e dimostrare che Paolo VI, a sua volta, non dava voce che alla fede della Chiesa: quella fede che la Chiesa aveva appena professata nel Concilio Vaticano II (cfr lo studio di Gil Hellin).
Ma Humanae vitae non è solo segno di contraddizione dentro la Chiesa. Lo è stato e lo è nel e per il mondo. Se il segno principale della presenza di Satana è la menzogna, c’è un aspetto che sopra tutti svela questa presenza nella cultura contemporanea. Mai l’uomo ha mascherato una più profonda distruzione di sé sotto una più retorica esaltazione di sé. Il principio del trascendentale moderno o di immanenza, nato per comprendere e difendere l’originalità dell’atto libero, si è rivolto contro l’uomo. Lo studio dei proff. G. Grisez, J. Boyle, J. Finnis, W.E. May è importante da questo punto di vista. Paolo VI aveva visto bene, al riguardo. L’atto contraccettivo è un atto contro la vita: è la negazione che essere sia bene. La menzogna porta alla morte. Il Santo Padre Giovanni Paolo II, nel discorso tenuto durante il Giubileo delle Famiglie dell’Anno santo 1983-1984 vedrà in questo il ripetersi della provocazione di Massa e Meriba nel nostro mondo: vediamo se Dio c’è o non c’è.
Anthropotes è consapevole che esistono molti altri aspetti del problema; è, come si diceva, l’inizio di una riflessione a cui, lo speriamo, il ventesimo anniversario darà occasione.
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