Prefazione all’edizione spagnola del libro del prof. John Finnis «Gli assoluti morali», 1992
La notte che precedette l’esecuzione della pena capitale inflitta a Socrate fu veramente grande e il suo discepolo più fedele ne volle conservare memoria imperitura nel Critone. Che cosa accadde di straordinariamente grande in quel carcere, mentre, si potrebbe pensare, si consumava una vergognosa condanna di un innocente? Lo scontro, in primo luogo, fra due modi contrari di vivere nel mondo da parte dell’uomo. L’uno era rappresentato dai discepoli di Socrate, da Critone in primo luogo, l’altro da Socrate, in una tragica solitudine. Il primo modo può essere descritto così: l’uomo deve far trionfare la giustizia nel mondo; il secondo, (quello socratico) dice: all’uomo è chiesto solo e sempre di agire con giustizia. Certamente Critone è un abile argomentatore, e non fa fatica a mostrare le disastrose conseguenze nella famiglia di di Socrate, nella società ateniese, della sottomissione a una sentenza ingiusta. Ma per Socrate il primo problema di chi sta per prendere una decisione, non è di prevedere e giudicare le conseguenze certe o probabili della stessa. Il primo problema è di sapere se ciò che decido è giusto o ingiusto.
C’è una certezza alla base della posizione socratica: non ci può essere altro modo di far trionfare la giustizia che quello di agire con giustizia. E c’è un’obiezione o una domanda radicale che Critone muove: anche quando tutto ciò significa la morte del giusto stesso che nel mondo agisce con giustizia? E qui la certezza di Socrate finisce in una sorta di “scommessa”: è sicuro che l’ingiustizia è sempre un male, ma non è altrettanto sicuro che la morte sia sempre un male. La ragione umana ha toccato il limite della sua possibilità: ha posto le supreme domande, quelle sul significato della morte del giusto, alle quali non sa più rispondere. E solo la luce, già prefigurata nei Canti del Servo di Jahvè, della Croce e della Risurrezione darà la risposta definitiva.
Qualcuno potrebbe chiedersi che cosa ha a che fare tutto questo col libro del Prof. John Finnis. Non solo ha a che fare, ma questa, e non altra, è la sua tematica. In che senso? Come è noto agli studiosi dell’etica, uno dei problemi più dibattuti nella teologia morale cattolica dopo Humanae Vitae riguarda l’esistenza o non di norme morali determinate negative, ineccepibili in ogni caso. Leggendo attentamente il testo, il lettore comprenderà dentro questa formulazione un po’ tecnica, la vera posta in gioco: la stessa della tragica notte ateniese. Esistono atti che, in ragione del loro stesso oggetto, non possono mai essere compiuti dalla libertà umana?
Certamente non si può tacere il proprio stupore nel vedere come in larga parte della teologia cattolica si sia ritornati a prima di Socrate. Kierkegaard aveva già descritto, più di un secolo fa, questa situazione di un pensiero (sedicente) cristiano che negava anche quanto la retta ragione pagana aveva aveva già scoperto. Ma questo è un problema sul quale non vogliamo soffermarci.
Il lettore viene condotto, con uno stile assai chiaro, attraverso un dibattito assai complesso e spesso altamente tecnico. E in un modo convincente è portato alla conclusione dell’esistenza di norme morali determinate negative ineccepibili. Una delle caratteristiche del libro è di saper unire proprietà di solito separate in opere del genere: erudizione storica, precisione concettuale, chiarezza e semplicità espositiva.
Come Preside dell’Istituto Giovanni Paolo II non posso non rallegrarmi che questo testo ora sia disponibile anche al lettore italiano: esso è nato nell’Istituto e vuole essere un servizio al più largo pubblico possibile.
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