PERSONA, LIBERTÀ UMANA E CORPOREITÀ
Pamplona, 18 aprile 1996
La riflessione sulla corporeità della persona umana, da
Platone in poi, ha costituito un nodo centrale nella riflessione antropologica.
Questo nodo è costituito, fondamentalmente, da una domanda: che
rapporto esiste fra il mio io e il mio corpo? Se nasce, come è nata,
una tale domanda, significa che ciascuno di noi vive la sua corporeità,
esperimenta la sua corporeità in un modo inevitabilmente problematico.
Infatti, se ci si interroga sul rapporto fra corpo e persona, vuol dire
che non ci sentiamo pienamente identici col proprio corpo. In questo contesto,
quando Agostino nei suoi scritti usa l’espressione “Ego seu mens mea”
(io, cioè il mio spirito), non usa un’espressione scorretta. Tuttavia
è altrettanto vero che quando compiamo azioni che esigono la messa
in atto dei dinamismi o facoltà corporei, come per esempio il vedere,
abbiamo la coscienza di essere noi stessi a compiere quell’azione. Una
coscienza non meno certa (di essere noi stessi ...) di quella che viviamo
quando compiamo azioni puramente spirituali, come una scelta libera. Dunque,
la domanda “che rapporto esiste fra il mio io e il mio corpo?” ha le sue
radici in una esperienza assai complessa che ciascuno di noi vive continuamente.
Il compito che ci proponiamo con questa riflessione è di fare un
po’ di luce in questa materia
Ma il modo con cui il tema è stato posto, ci porta ad
una sorta di “concentrazione” della nostra riflessione sulla libertà
umana come punto di incontro delle due realtà in questione, la persona
appunto e il suo corpo. Questa “concentrazione” sulla libertà è
legittima? Direi che lo è e nel contesto della cultura in cui viviamo
e nel contesto di un’antropologia sia filosofica sia teologica. Nel contesto
della cultura contemporanea, il problema della libertà si pone
come problema, in prima istanza, di liberazione (superamento) dai condizionamenti
della libertà stessa. Così impostato, il problema della libertà
diventa il problema del rapporto libertà-natura, intesa precisamente
come tutto ciò che nell’uomo e nel mondo si colloca fuori della
libertà. Ed in primo luogo, natura significa corpo. In questa prospettiva,
il rapporto persona-corpo è mediato esclusivamente dalla libertà.
Ma prescindendo da questo modo di impostare il problema, molto discutibile
come vedremo, anche una filosofia e teologia dell’uomo non può non
considerare attentamente il rapporto fra persona e corpo, in quanto esso
è costituIto, posto in essere dalla libertà della persona.
Più semplicemente, la domanda sul rapporto persona -corpo non può
non essere anche questa domanda: la persona umana, in quanto soggetto libero,
in che rapporto è col suo corpo? E questo sarà la prospettiva
della mia riflessione.
A me sembra che due siano le risposte date a questa domanda,
oggi. Potrei formularle nel modo seguente: il corpo è un “oggetto”
da manipolare a disposizione della libertà della persona; il corpo
è una dimensione della persona, nei confronti del quale la libertà
è nella stessa relazione che colla persona stessa.
A questo punto, qualcuno potrebbe pensare che si dovrebbe subito
verificare la consistenza teoretica delle due risposte. In realtà,
la cosa non è così semplice. E’ necessario vedere come si
giunge alla posizione delle due risposte, come esse nascono, per così
dire.
Ho finalmente terminato la mia introduzione e delineato completamente
il cammino che percorrerò. Nel primo punto vedremo come si giunge
alle due risposte suddette; nel secondo punto ci chiederemo quale delle
due è vera; nel terzo punto vedremo alcune conclusioni di particolare
importanza dal punto di vista etico.
1. Approccio scientifico, approccio tecnico, approccio filosofico al
corpo umano
La definizione del rapporto del corpo colla libertà della
persona è l’esito finale di un diverso modo di “vedere” il corpo
medesimo. Sono possibili tre modi di vedere il corpo umano, quello scientifico,
quello tecnico, quello filosofico.
1,1.: L’approccio scientifico. Senza addentrarci nel difficile dibattito
epistemologico contemporaneo, possiamo dire che un approccio scientifico
al corpo umano si caratterizza in primo luogo per l’esclusione dalla considerazione,
dalla presa in esame del corpo, di ogni riferimento alla soggettività
della persona. E’ un corpo senza soggettività, l’oggetto dell’approccio
scientifico. Che cosa significa tutto questo? Per capirlo è necessario
spiegare quella proprietà del sapere scientifico indicata col termine
“oggettività” .
Per oggettività scientifica si intende quella proprietà
di una proposizione, in forza della quale essa (proposizione) può
essere verificata da un numero indefinito di soggetti interessati a farlo,
mediante procedimenti standardizzati, accettati e condivisi da una comunità
di scienziati in una determinata epoca storica. Per capire bene questa
definizione, occorre tener presente che i soggetti che compiono la verifica,
non vengono più considerati come menti, coscienze, ma piuttosto
come rilevatori, come sistemi di riferimento . Infatti se c’è qualcosa
che non può essere de-soggettivato (cioè oggettivato), è
proprio la coscienza di ciò che si vive. Ed ancora si tenga presente
che l’oggettività, così come è stata sopra definita,
significa che ogni proposizione “deve, in linea di principio, risultare
condivisibile da parte di qualunque soggetto ripeta le operazioni in base
alle quali essa è stata proposta dentro una certa scienza”.
Una tale definizione di oggettività, una tale determinazione
del processo conoscitivo comporta necessariamente una precisa determinazione
dell’oggetto della conoscenza scientifica. Cioè: posto che conoscere
scientificamente cioè oggettivamente significa ... eo ipso ciò
che è conosciuto, è ciò a cui posso attribuire quei
predicati che vengono precisamente determinati in quel procedimento. Più
brevemente: la realtà è conosciuta sulla base dei procedimenti
precedentemente stabiliti. Che cosa può conoscere la scienza? Ciò
che può essere conosciuto nel modo predetto della oggettività.
Ora, credo, siamo in grado di capire che cosa significa “approccio
scientifico al corpo umano”. In primo luogo: è quella conoscenza
del corpo umano che si esprime attraverso proposizioni, che possono essere
verificate attraverso operazioni che prescindono completamente dal soggetto
che le compie. In secondo luogo: di conseguenza, è quella conoscenza
che conosce il corpo umano in quanto esso è conoscibile attraverso
procedimenti conoscitivi che chiunque può mettere in atto, neutralizzando
la propria soggettività. Se ora teniamo assieme i due significati
di approccio scientifico al corpo, quello (soggettivo) indicante le operazioni
e quello (oggettivo) indicante ciò che è conosciuto, possiamo
finalmente capire perché e in che senso, la conoscenza scientifica
è conoscenza del corpo come oggetto.
Il corpo umano-oggetto significa che si conosce il corpo prescindendo
completamente dal fatto che esso sia espressione, incarnazione, linguaggio
di una persona assolutamente unica ed irripetibile: si conosce il corpo,
distaccato dalla soggettività della persona. E ciò
avviene a causa del metodo conoscitivo usato. E quindi è corretto
dire: la conoscenza scientifica del corpo è una conoscenza del corpo-oggetto.
A questo punto è inevitabile che sorgono nel nostro spirito
alcuni gravi interrogativi.
Il primo. La descrizione sopra data della conoscenza scientifica
è normativa o è semplicemente descrittiva? Vale a dire: il
sapere scientifico è quello che abbiamo descritto, semplicemente
perché così si è di fatto costituito oppure è
tale perché così deve essere? In una parola: è una
metodologia descrittiva o normativa? La domanda non è affatto oziosa;
non è uno pseudo-problema. La concezione normativa della metodologia
scientifica veicola logicamente un principio epistemologico ed un principio
etico. Il primo afferma che la scienza è per definizione l’esauriente
forma di conoscenza o di controllo della realtà; il secondo afferma
che la scienza è per definizione il bene supremo. Non vogliamo per
ora affrontare direttamente tutta questa problematica .
Il secondo. E’ possibile studiare il corpo umano in questo modo
oppure il presupposto stesso della metodologia scientifica è tale
da impedire qualsiasi conoscenza vera del corpo umano? La domanda nel suo
significato generale è la domanda se sia possibile una conoscenza
scientifica dell’uomo. Ma non vogliamo addentrarci in questa problematica.
Più semplicemente, viene da chiederci: un corpo umano spogliato
di ogni soggettività (di ogni rapporto colla persona incorporata)
è ancora un corpo umano?
Tralasciamo per un momento queste domande e cerchiamo di individuare
la natura di un altro approccio al corpo umano, figlio primogenito dell’approccio
scientifico.
1,2: L’approccio tecnico. Spesso, oggi, si confonde scienza e tecnica.
In realtà sono due concetti che devono essere accuratamente distinti.
In prima approssimazione, la tecnica denota il fare umano, mentre
la scienza denota il sapere umano. Detta così, questa distinzione
non sembra implicare grandi considerazioni. In realtà, approfondita
essa si rivela assai illuminante. Vediamone le principali implicazioni.
In quanto denota un fare, la tecnica si pone nei confronti della realtà
con una attitudine che possiamo qualificare dominativa: lo sguardo tecnico
sulla realtà è sempre intenzionato ad un dominio sulla realtà
stessa in vista di un suo possibile uso. E l’attitudine utilitarista è
consacrata alla tecnica. Dominio, uso implicano l’esercizio di un certo
potere di trasformare la realtà, di piegarla ai progetti dell’uomo.
E qui troviamo la terza caratteristica della tecnica, l’efficacia. Con
essa si intende che il “fare tecnico” non procede casualmente, per continui
tentativi, ma secondo regole precise per raggiungere in modo sicuro l’obiettivo.
Dunque, in sintesi, possiamo dire che l’attitudine tecnica verso la realtà
si definisce come attitudine di dominio al fine di raggiungere in modo
efficace risultati utili. Non è difficile mostrare la distinzione
essenziale (quanto alla loro essenza) fra l’approccio scientifico e l’approccio
tecnico.
Tuttavia, fatta la debita distinzione, dobbiamo ora capire come
era inevitabile che scienza e tecnica si inoltrassero in quella figura
del pensare-operare umano che è l’odierna tecnologia. Infatti, se
vogliamo esercitare sulla natura un dominio, al fine di raggiungere risultati
utili in modo efficace, è sommamente conveniente sapere che cosa
è questa natura che intendo dominare. Altrimenti, il risultato diventa
incerto (devo procedere per tentativi), non sicuramente efficace
(si tratta di eventi fortuiti). Cioè: la tecnica senza scienza finisce
collo smarrire se stessa in un fare casuale e molto spesso inefficace.
D’altra parte, se teniamo presente come la scienza ha definito se stessa
ed il suo metodo, vediamo come essa non possa raggiungere il suo scopo
senza una strumentazione tecnica, senza la progettazione e la costruzione
di opportune attrezzature e strumenti. Come si vede, le due attività,
scienza e tecnica, non potevano non incontrarsi. L’incontro, quale storicamente
è accaduto nella nostra civiltà occidentale, costituisce
l’avvento della tecnologia.
Che cosa, dunque, è la tecnologia? E’ l’applicazione della
conoscenza scientifica alla soluzione di un problema pratico, che consiste
nella progettazione e costruzione di uno strumento (in senso largo), di
cui già si conosce l’efficacia operativa, in quanto lo si è
progettato e costruito sulla base di conoscenze scientifiche già
acquisite. Quale è quindi, come si caratterizza l’approccio tecnologico
alla realtà? E’ l’attitudine di chi si pone in rapporto con la realtà,
conosciuta scientificamente, come oggetto di cui disporre efficacemente,
attraverso una strumentazione progettata ed elaborata sulla base di quella
conoscenza.
Ed ora possiamo capire quale è l’approccio tecnologico
al corpo umano. E’ quello che considera il corpo umano come oggetto (nel
senso già detto), di cui disporre attraverso strumenti efficaci,
costruiti sulla base della conoscenza scientifica del corpo stesso. Un
esempio inequivocabile di un approccio tecnologico al corpo umano è
la soluzione del problema della procreazione responsabile mediante la contraccezione
chimica. Il corpo è oggetto da manipolare.
1,3. L’approccio filosofico. Precisiamo subito che prendiamo il termine
filosofico nel significato ristretto di etico. Vogliamo studiare brevemente
l’approccio etico alla corporeità umana. In primo luogo è
necessario che riusciamo a percepire profondamente in quali termini essenziali
si pone la domanda etica. Cioè: che cosa vogliamo sapere esattamente,
quando poniamo la domanda etica?
Possiamo dire che la domanda etica è la domanda sulla
bontà, sul valore, sulla dignità propria di ogni essere.
La domanda etica non è : che cosa è x? (Domanda sulla verità);
la domanda etica è: quale è la bontà di x? Possiamo
già così individuare alcune caratteristiche dell’approccio
etico alla realtà.
L’attitudine etica è un’attitudine di venerazione della
realtà. La venerazione è l’attitudine di chi vuole semplicemente
accogliere la realtà per ciò che è. La venerazione
non si preoccupa di sapere quale utilità può offrire la realtà
considerata. Si tratta di una attitudine, quindi, di gratuità verso
la realtà, nel duplice senso della gratuità. Gratuità
come gratitudine: “ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”. Gratuità
come opposto ad uso o utilità: non “vali tanto quanto mi servi,
sei utile”, ma “vali tanto quanto sei”. L’attitudine di venerazione e di
gratuità genera un’attitudine di riconoscimento. E’ più che
la conoscenza. La conoscenza è l’atto con cui so la verità
di ciò che è: il riconoscimento è l’atto con cui la
mia volontà risponde adeguatamente, cioè in misura corrispondente
alla verità conosciuta, alla realtà conosciuta. Questo è
l’approccio etico alla realtà: riconoscere, rispettare, accogliere.
Quale è, quindi, l’approccio etico al corpo umano? E’
quello che considera il corpo umano come realtà da riconoscere,
rispettare ed accogliere.
Possiamo ora concludere questo primo punto della nostra riflessione,
facendo un sintetico confronto fra i tre approcci possibili al corpo umano.
Nell’approccio scientifico, il corpo è de-soggettivizzato:
è un “oggetto” in un senso molto preciso. Nell’approccio tecnologico,
il corpo è un oggetto che può essere “manipolato”, intendendo
per manipolazione una disposizione del corpo, compiuta mediante strumenti
scientificamente progettati.
Nell’approccio etico, il corpo è realtà da rispettare,
accogliere, riconoscere.
Da questo primo punto della mia riflessione, risulta come la risposta
alla domanda sul rapporto fra la persona umana in quanto soggetto libero
ed il corpo, dipende in ultima analisi dalla visione che ho del corpo umano,
visione che a sua volta dipende dal modo con cui cerco di vederlo. Un modo
scientifico mi porta a vedere il corpo come oggetto, per cui, nella prospettiva
scientifica, la risposta alla domanda è: il corpo è uno dei
tanti “oggetti” della libertà umana. Un modo “tecnico” mi porta
a vedere il corpo come oggetto manipolabile, per cui nella prospettiva
tecnica, la risposta alla domanda è: il corpo umano è un
“materiale” a disposizione della libertà della persona. Un modo
“etico” mi porta a vedere il corpo come la stessa persona nella sua visibilità,
per cui nella prospettiva etica, la risposta alla domanda è: il
corpo umano è la stessa persona, la quale è affidata alla
cura e responsabilità della propria libertà .
2. Corpo, libertà umana e persona
La riflessione precedente era strettamente descrittiva. Individuava
tre possibili approcci al corpo umano. Ora dobbiamo chiederci: quale è
l’approccio adeguato alla realtà in questione, al corpo umano cioè?
Possiamo cominciare a costruire la risposta a questa domanda, attraverso
una premessa puramente formale, ma già in grado di fornirci la risposta:
se il corpo umano è più che oggetto-manipolabile, i primi
due approcci sono da sé soli inadeguati e devono essere integrati
nell’approccio etico; se il corpo umano non è affatto oggetto-manipolabile,
i due approcci sono del tutto fuorvianti.
Come si vede subito, la domanda riguarda alla fine l’essere del
corpo umano sia nel significato della sua natura di corpo in quanto umano
sia nel significato del suo atto di essere corpo umano. In una parola siamo
rimandati alla domanda metafisica sul corpo umano.
Ponendo il problema a livello metafisico, esso ha tre soluzioni
possibili : la soluzione dualista che afferma essere il corpo e lo
spirito due sostanze separate; la soluzione monista che afferma essere
il corpo e lo spirito una sola sostanza o nel senso del monismo materialista
(questa sola sostanza è il corpo e lo spirito è l’insieme
delle sue funzioni) o nel senso del monismo spiritualista (questa sola
sostanza è il corpo e lo spirito è l’insieme delle due funzioni);
la soluzione duale: lo spirito è la “forma” del corpo.
Non possiamo addentrarci in questa problematica. Mi limito a
dire che delle tre soluzioni, accetto la terza, perché è
la più consona a salvaguardare l’unità ontologica della persona
umana
Accettiamo come vera questa tesi. Quali sono le conseguenze nel
nostro problema? Vediamone attentamente almeno due, le più pertinenti
al nostro problema.
2,1. Il corpo è la persona e la persona è il corpo: la
persona umana è una persona corporale ed il corpo umano è
un corpo personale. Ne deriva che un approccio puramente scientifico è
inadeguato sul piano epistemologico e che un approccio tecnologico risulta
sempre essere contro la dignità della persona.
L’approccio solamente scientifico è inadeguato sul piano
epistemologico. Se riflettiamo attentamente sulla metodologia scientifica,
vediamo che essa si preclude necessariamente la possibilità stessa
di ogni conoscenza della soggettività: essa può costruire
solo una antropologia senza soggettività. Ora una tale antropologia
è sostanzialmente incompleta. Ad essa, infatti, sfugge ciò
che è propriamente la persona: la sua incomunicabile irripetibilità
fondata sulla sua perseità ed irriducibilità del suo essere
e la dimensione che sommamente la rivela, cioè la libertà
.E qui si pone un problema molto serio, oggi. Esiste una pretesa del sapere
scientifico ad affermarsi come l’unica forma di sapere, di sapere del quale
possa dirsi vero-falso. Non che si escludono altri approcci possibili alla
realtà. Di essi tuttavia non si potrà mai dire che raggiungono
conoscenze vere o false. L’accettazione di questa tesi della scienza come
forma esauriente di conoscenza ha profonde e gravi implicazioni etiche.
Come abbiamo già detto, questa tesi si connette colla tesi della
scienza come bene supremo. Essa genera tendenzialmente una cultura dalla
quale “il personale” nel senso forte del termine è escluso.
L’approccio puramente tecnologico rischia sempre di violare la
dignità della persona. L’approdo di un approccio puramente tecnologico
è spesso strettamente connesso con una visione scientifica che si
affermi come autosufficiente. In questa prospettiva di una antropologia
senza persona, l’uomo è ridotto ad essere un complesso unificato
di forze psico-fisico ed i problemi umani si riducono ad essere di
un buon equilibrio fra queste forze. Non solo, ma nel momento in cui si
ha un corpo che non è più visto come persona, esso può
essere sempre visto come utile, come possibile oggetto di uso per i propri
obiettivi o per i fini altrui: le sperimentazioni sugli embrioni
e sui feti lo stanno a dimostrare.
2,2. Ma la soluzione duale al problema del rapporto persona/spirito
e corpo ha anche una altra conseguenza. La tesi afferma che nell’unità
permane una dualità. Permane nei confronti del proprio corpo una
alterità intrinseca: posso dire indissolubilmente “io sono il mio
corpo” ed anche “io ho il mio corpo”. Questo ci appare particolarmente
vero nelle esperienze in cui l’unità sembra come disintegrarsi.
E’ l’esperienza della malattia e della morte; è l’esperienza di
una certa “vischiosità” se così posso dire della dimensione
corporea nel seguire la storia spirituale della persona; è l’esperienza,
contraria, di una sorta di uscita da se stessi quando ci lasciamo trasportare
dai nostri dinamismi psico-fisici. Esiste, dunque, una certa oggettività
del corpo, poiché esiste una certa alterità del corpo nei
confronti della persona. Affermare, quindi, l’insufficienza dell’approccio
scientifico e tecnologico al corpo umano non equivale a negare in assoluto
la loro validità. Anzi ambedue sono necessari, in quanto non si
dà una identità pura e semplice fra corpo e persona. Il problema
è piuttosto quello di una integrazione dei tre approcci.
Che cosa significa integrazione? Significa unificazione di una
pluralità di grandezze secondo un’obiettiva gerarchia di valori,
mantenendo ciascuna parte unificata la sua propria natura, costituzione.
Ciò che è importante, quindi, in un processo di integrazione
è di individuare l’obiettiva gerarchia di valori fra quei tre possibili
approcci al corpo umano. Ora la considerazione del corpo in quanto corpo-persona
è obiettivamente più alta, più valida che la considerazione
del corpo non in quanto persona. Detto in parole più semplici: il
valore, la dignità della persona deve ispirare e regolare ogni approccio
al corpo umano. La certezza che si tratta di una corpo-persona è
il fondamento ed il criterio per giudicare e regolare ogni approccio al
corpo. Che cosa, in concreto, significhi questa “regolamentazione” che
il principio personalista deve esercitare, deve essere individuato nelle
varie branche del sapere etico. Si pensi, ad esempio, alla bio-etica che
studia come il principio personalista regolamenti ogni approccio scientifico
e tecnologico al corpo umano in quanto organismo vivente.
Detto questo, non si deve tuttavia dimenticare che un processo
d’integrazione non viola la struttura propria dei tre approcci. La scienze
e la tecnologia non sono degli strumenti: essi possiedono una propria identità
ed autonomia.
La corretta correlazione fra i tre approcci possibili al corpo
umano è possibile solo sulla base della tesi dell’unità sostanziale
della persona. Il corpo umano è un corpo-persona e la persona umana
è una persona-corpo. Questa unità-duale da una parte afferma
la relativa validità dell’approccio scientifico e tecnologico, e
dall’altra la necessità di un loro integrarsi nell’approccio etico.
Ora possiamo rispondere sinteticamente alla domanda da cui è
partita tutta le nostra riflessione. Il corpo, in quanto costitutivo della
persona, è ordinato intrinsecamente a rivelare la verità
della persona medesima. Essa (verità) deve essere scoperta attraverso
il corpo: il corpo significa la persona. Se da un lato questo significato
non è creato, non è costituito dalla libertà umana,
dall’altro esso, per arrivare a realizzarsi, deve essere interpretato e
portato alla luce mediante la ragione umana. Il corpo-persona non può
giungere alla piena realizzazione in maniera naturalistica, senza l’apporto
responsabile della decisione libera: il valore “oggettivo” del significato
chiede di essere attuato nella libertà. L’unità, in senso
metafisico, della persona umana esclude, sul piano etico, sia la riduzione
della libertà a semplice governo della istintualità sia la
riduzione della corporeità a semplice materiale posto a disposizione
della libertà. Si comprende, allora, che la concezione del corpo
- oggetto manipolabile della libertà, ha coinciso non casualmente
colla negazione dell’unità sostanziale della persona. Negazione
che ha reso possibile la prevalenza dell’approccio scientifico-tecnico
su quello etico.
Ma dobbiamo fare anche una riflessione più profonda, mi
sembra. La riduzione di cui parlavo sopra non è solo un avvenimento
storicamente accaduto. Essa rappresenta una possibilità inscritta
nella libertà stessa dell’uomo. Mi spiego. La libertà umana
porta inscritta in se stessa la possibilità di “integrare” il corpo
nella persona, o meglio di custodire l’unità della persona. E porta
in sé stessa la possibilità di scindere questa unità
nel senso preciso di non vedere più nel proprio ed altrui
corpo, la persona (corpo-oggetto). E’ l’esperienza originaria: Adamo ed
Eva “si guardano” nella beatitudine della scoperta del significato del
loro corpo e non provano vergogna; Adamo ed Eva non sono più capaci
di guardarsi senza provare vergogna e devono coprirsi. Il rapporto persona-corpo
si decide alla fine nello spazio della libertà.
Il Nuovo Adamo, nella nudità della Croce, ha riespresso
il significato ultimo dell’essere corpo e lo ha realizzato: il dono di
sé. La Nuova Eva, nata dal corpo crocifisso, è invitata a
guardare sempre a Colui che è stato trafitto, senza vergogna, ma
con contrizione. In questa reciprocità, ricostituita sulla croce,
la persona umana è ricondotta nella gloria dell’origine e la sua
libertà riceve in dono la capacità, la grazia, di ricostruire
l’armonia del corpo colla persona: se siete risorti con Cristo ... E così,
il corpo diventa il sacramento primordiale della nuova creazione:
il corpo eucaristico di Cristo ed il corpo martire del cristiano.
3. Conseguenze etiche
La persona umana vive sempre dentro una complessa rete di relazioni
con altre persone. Ora vogliamo vedere la profonda rilevanza che ha la
considerazione della propria ed altrui corporeità, l’approccio alla
propria ed altrui corporeità nella costituzione della comunicazione
interpersonale.
Partiamo dalla constatazione di un fatto: la comunicazione fra
le persone umane è sempre mediata dal corpo; senza corpo non si
dà comunicazione. La conseguenza immediata è che una coscienza
inadeguata o falsa della propria corporeità, rende inadeguata o
falsifica la comunicazione interpersonale. In questo ultimo punto della
nostra riflessione vogliamo studiare brevemente questo fatto. E lo facciamo
da due punti di vista. Dal punto di vista del vissuto: coma una esperienza
vissuta della propria corporeità genera una determinata comunicazione.
Dal punto di vista della teoria: come la teoria della corporeità
produce una determinata teoria della comunicazione.
3,1. Se la persona vive il suo essere corpo altro dal suo essere persona,
nella comunicazione interpersonale il corpo (proprio ed altrui) è
tendenzialmente usato. Ma, poiché questa percezione non è
adeguata alla realtà, di fatto in questa comunicazione è
la persona stessa ad avere esperienza di essere usata. Questa esperienza
è particolarmente evidente nell’esercizio della sessualità.
Se la persona vive il suo essere corpo come il suo essere persona
in quanto orientato all’altro, nella comunicazione personale, il corpo
diviene profondamente e semplicemente il linguaggio della persona. Esso
manifesta il significato sponsale della persona e ne rende possibile la
realizzazione.
Due sono i “segni” di questa realizzazione del significato sponsale
del corpo: la verginità per il regno, la comunione coniugale.
3,2. Un approccio puramente scientifico e/o tecnologico al corpo ha
effetti molto profondi sulla teoria della comunicazione, più precisamente
sull’etica della comunicazione e comunione interpersonale. Mi limito solo
ad accennare ad una riflessione.
L’approccio scientifico e/o tecnologico conduce, se viene affermato
come auto-sufficiente ed intero, alla negazione dell’esistenza di un significato
originario presente nella corporeità o nella persona in quanto corpo.
Ciò posto, supposta cioè quella negazione, ne consegue che
la libertà deve radicalmente inventare, creare quel significato
da attribuire alla propria corporeità . La comunicazione-comunione
diventa oggetto di contrattazione radicalmente libera:in essa cioè
tutto è negoziabile.
Ormai siamo giunti al limite estremo. Logicamente la visione falsa
della corporeità porta sempre ad una visione falsa della persona.
La negazione dell’esistenza di un significato originario presente nella
persona in quanto corpo, ha portato alla negazione di un significato originario
nell’essere persona. La definizione stessa di persona è divenuta
ed è ritenuta dover essere oggetto di contrattazione, di convenzione.
Conclusione
Consentitemi una conclusione che viene maggiormente dal pastore
che dal professore.
Mentre riflettevo su questa “vicenda teoretica” del rapporto
persona-libertà umana-corpo, e pensavo a tante situazioni e persone
concrete incontrate in ragione del mio ministero, ho trovato una forte
conferma ad una conclusione cui ero giunto ... in laboratorio. Detta in
termini provocatori: tutto ciò che ho detto è vero, ma ormai
appartiene già al passato; come un padre, che generato un figlio,
può morire.
Che cosa voglio dire? Che in conseguenza di tutto ciò
che ho detto, oggi il rapporto fra la persona in quanto soggetto libero
e il corpo è completamente evacuato di ogni riferimento veritativo.
Questo rapporto è privo di qualsiasi referente: è la pura
vacuità che toglie ogni significato a qualsiasi contrarietà.
Dal “così è, se vi pare” si è passati al “così
è, se vi piace”. E’ un cucire con un filo, dimenticando di fare
il nodo ad esso: si cucisce, si cuscisce, ma senza cucire mai.
Ancora una volta, anche dalla prosepttiva in cui ci siamo mossi,
enmerge prepotente l’esigenza di evangelizzare, di ri-evangelizzare all’uomo
l’intera verità del suo essere corpo-persona. Intera verità
che è svelata nel corpo crocefisso e risorto di Cristo presente
nell’Eucarestia e quindi nel corpo del martire.
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