Settimana Mariana 1998
OMELIA MANDATO AI CATECHISTI
Cattedrale Ferrara 3 ottobre 1998
1. “In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: aumenta la nostra
fede”. La preghiera che gli apostoli rivolsero al Signore trova un’eco
particolarmente forte dentro al vostro cuore, carissimi catechisti e catechiste.
La fede di cui desideravano l’aumento, non è solo la salda adesione
alle parole del Signore, ma anche quella singolare potenza di convinzione
e di fiducia in Dio, che permetterà loro di diffondere nel mondo
il Vangelo con la predicazione e i miracoli. Essi si presentarono al mondo
dotati di una sola forza: la loro fede, cioè la certezza che quel
Gesù da loro incontrato risorto, era l’unica salvezza dell’uomo.
E fu questa forza che operò il più grande miracolo: il rinnovamento
della intera persona umana attraverso l’incontro con Cristo.
Questa sera, anche voi, come gli apostoli, assieme al Vescovo ed ai
sacerdoti fate la stessa preghiera: aumenta la nostra fede. Attraverso
il mandato che riceverete, voi sarete infatti abilitati ad inserirvi, in
cooperazione col Vescovo ed i sacerdoti, “nella testimonianza da rendere
al Signore Gesù” (2Tim 1,8).
2. La seconda lettura, desunta dalla seconda lettera a Timoteo, ci istruisce
questa sera sulle modalità colle quali deve essere resa testimonianza
a Cristo nella catechesi.
“Dio … non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza,
di amore e di saggezza”. L’origine del vostro servizio, il più prezioso
di tutti, è nel dono dello Spirito Santo che voi avete ricevuto
nel Battesimo e vi è stato confermato nella Cresima: è a
questo dono che il mio mandato attiene. Ma questa sera, alla luce delle
parole dell’apostolo, noi pregheremo perché vi sia dato non “uno
spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza”. A voi è
chiesto di lottare e soffrire coraggiosamente per la trasmissione della
fede. Nulla è più pericoloso in un catechista che la timidezza:
la paura di essere schiacciato dall’impresa, il sentimento di impotenza
di fronte agli ostacoli. A noi è stato donato uno spirito di forza,
poiché questa è stata la promessa del Signore fatta ai suoi
apostoli: “avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi
e mi sarete testimoni” (At 1,8). Il Vangelo infatti non si diffonde fra
gli uomini soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con
Spirito Santo e con profonda convinzione (cfr. 1Tess 1,5).
“Non vergognarti dunque delle testimonianza da rendere al Signore
nostro”. Sostenuti dalla forza dello Spirito, non possiamo «vergognarci»
di testimoniare l’avvenimento cristiano, in tutta la sua immensa oggettività.
Siamo continuamente insidiati dalla tentazione di annunciare un Cristo
a misura delle mode culturali del momento, di commisurare la trasmissione
della fede alle esigenze imposteci dai potenti di questo mondo. Qualora
cedessimo a questa tentazione, la nostra trasmissione della fede non sarebbe
più né integra né armonica, come abbiamo detto nella
tre giorni scorsa. Vergognarsi di testimoniare il Signore significa ridurre
la nostra catechesi all’insegnamento di regole di comportamento; significa
non riconoscere chiaramente che solo Cristo è la salvezza dell’uomo.
In questo contesto, o prima o poi il vostro servizio diventa “passione”
con Cristo: “soffri anche tu” dice l’apostolo “per il Vangelo, aiutato
dalla forza di Dio”.
“Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con
la fede e la carità che sono in Cristo Gesù”. Se il catechista
riceve uno spirito non di timidezza ma di forza, perché non si vergogni
della testimonianza da rendere al Signore nostro, egli deve desumere i
contenuti del suo insegnamento dalla dottrina degli Apostoli. Questa dottrina
è stata consegnata sotto ispirazione divina alla S. Scrittura, compresa
nella Tradizione della Chiesa ed autenticamente interpretata dal Papa e
dai Vescovi. Prendi come modello: dice l’apostolo. La fede della Chiesa
infatti, che il catechista deve trasmettere, non è semplicemente
un insieme di dottrine da trasmettere per ripetizione. Essa è un
seme che chiede di nascere continuamente nel cuore di ogni uomo: chiede
di essere sviluppato per rimanere sempre identico. La sua non è
l’identica fissità della pietra morta, ma la dinamica identità
della pianta viva.
Solo se il catechista partecipa dell’amore che è in Cristo,
attraverso la sua incorporazione a Lui, sarà capace di compiere
questo miracolo: il miracolo di trasmettere una dottrina che sempre identica
a se stessa, si rinnova continuamente rinnovando ogni uomo che l’accoglie.
Vorrei terminare allo stesso modo e colle parole con cui Agostino
si rivolgeva ad un suo catechista scoraggiato e triste: “qualunque sia
la ragione che offusca la serenità del nostro spirito, è
necessario cercare … i rimedi che permettono di allentare le nostre tensioni,
di gioire nel fervore dello Spirito e di rallegrarci nella pace dell’opera
buona che compiamo” (de catechizandis rudibus 10,14).
Rallegrarci nella pace dell’opera buona che compiamo! Così
sia veramente.
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