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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Inaugurazione del primo "segno"del Congresso Eucaristico Diocesano
Villa Pallavicini, 29 settembre 2007


1. La pagina evangelica, nella sua prima parte, è dominata da un contrasto scandaloso: "un uomo ricco che vestiva di porpora e bisso e tutti i giorni banchettava lautamente" da una parte, e dall’altra "un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta… bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco".

Quanto Gesù raffigura sotto il velo di una parabola, il profeta Amos nella prima lettura lo narra descrivendo la situazione sociale del regno di Samaria: una società dove vigeva una scandalosa sperequazione nella distribuzione delle ricchezze.

Come giudica la parola di Dio questa situazione? Per rispondere a questa domanda, ed avere una comprensione più profonda della pagina profetica ed evangelica, dobbiamo rifarci ad altre pagine della Scrittura. È soprattutto nei Salmi che questa situazione viene presa in considerazione. C’è un testo che sembra ricopiare sia la pagina evangelica sia la pagina profetica: "non c’è sofferenza per essi, sano e pasciuto è il loro corpo. Non conoscono l’affanno dei mortali … esce l’iniquità dal loro grasso" [Sal 73, 7].

Ciò che scandalizza nella disuguale distribuzione della ricchezza è che essa ha il carattere di un incomprensibile ingiustizia. Normalmente, chi è giusto e retto nel suo comportamento non arricchisce; i disonesti e i cinici che disprezzano la legge di Dio passano da un successo all’altro. Al punto tale che il credente onesto giunge a dire: "allora ho conservato inutilmente onesto il mio cuore?" [Sal 73,13]. Ma d’altra parte, la persona veramente onesta, anche se tentata di farlo, non abbandonerà mai la sua rettitudine per arricchirsi.

È tutto questo un "rebus" irrisolvibile? Ritorniamo ora alla parabola evangelica, considerandone la seconda parte. Non fermatevi troppo sui particolari. Gesù per farsi capire dai suoi ascoltatori ricorre alle immagini dell’aldilà ricorrenti al suo tempo. Dobbiamo invece sforzarci di capire ciò che Gesù vuole dirci servendosi di queste immagini. E sono due cose strettamente connesse fra loro.

- La prima è un insegnamento sulla verità circa la nostra vita e la nostra persona: è un istruzione che intende "risvegliarci" da una sorta di ipnosi in cui possiamo cadere. Chi ne è colpito non vede altro bene umano che il possesso delle ricchezze; non vede altra vera vita che quella descritta nella pagina profetica. È necessario, se si vuole giungere alla vera sapienza, "risvegliarci" da questa ipnosi; avere cioè una intelligenza della gerarchia che esiste fra i vari beni umani. Esistono ricchezze materiali, ma esistono anche beni umani di altro ordine. I primi non durano; i secondi hanno una consistenza incorruttibile. Sicuramente questo "risveglio" avverrà per tutti al momento della morte – è di questo che parla la parabola - ma esso può avvenire anche ora, se l’uomo entra nella luce della verità circa il bene della sua persona. E qui giungiamo al secondo insegnamento della parabola.

- Come avete sentito, il ricco stolto ritiene che il risveglio alla verità possa accadere solo attraverso una … terapia d’urto: "se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno". Gesù nel Vangelo ha sempre rifiutato questa logica. La verità più profonda sulla nostra vita non si mostrerà mai colla forza costringente di una prova empirica. Essa appartiene ad un altro ordine di realtà ed è destinata ad essere accolta nella e dalla libertà. La forza propria della verità si realizza soltanto in un contesto di libertà. Alla fine, le verità decisive circa il nostro destino possono essere solo testimoniate, non dimostrate.

In sostanza, con questa parabola Gesù vuole farci uscire dal regno del sogno e farci entrare nella realtà. Con questa parabola il Signore ci vuole condurre dal giogo della stoltezza in cui vive chi pone nell’avere la definitiva sicurezza della sua vita, alla libertà della vera sapienza di chi sa quale è il bene vero ed ultimo dell’uomo. Gesù vuole insegnarci a riconoscere il vero bene.

2. Miei cari fratelli e sorelle, il gesto che compiremo fra poco è profondamente radicato e fondato nella pagina evangelica appena spiegata.

La casa è un bene umano fondamentale, poiché l’uomo e la sua famiglia ha profondo bisogno di una dimora! E la dimora è più che un luogo in cui ripararsi dalle intemperie. Essa è come la traduzione visibile e l’espressione sensibile della comunione famigliare. Gli animali infatti non hanno dimora; hanno tane.

È in vista di questo bene propriamente umano che sono state usate rettamente disponibilità economiche. Queste infatti sono ordinate alla possibilità della persona di esercitare i suoi diritti fondamentali quali, per esempio, il diritto di sposarsi, di generare ed educare i figli, di vivere una vera esperienza di comunione reciproca.

Vogliamo ancora una volta dire allora con umile forza a tutti coloro che hanno responsabilità del bene comune: siate sapienti nell’uso delle limitate risorse pubbliche. Esistono beni umani più grandi di altri [e la casa è uno di questi]: non dimenticate mai questa "gerarchia dei beni" nell’allocazione delle risorse.

Questa celebrazione è la porta che ci fa entrare nelle solenni celebrazioni conclusive del Congresso Eucaristico Diocesano. Non a caso viene mostrato solennemente e pubblicamente il "pane di Dio" a tutta la città. È un pezzo di pane: nulla di ciò che è veramente umano è disprezzabile. È il Corpo di Cristo che dona la vita eterna: è questo il banchetto a cui è invitato Lazzaro, ogni uomo povero di sapienza e di felicità. Non per avere solo qualche briciola, ma la pienezza della verità e del bene.