SAN JOSÈ MARIA
80.mo di fondazione dell’Opus Dei
Cattedrale, 28 giugno 2008
1. "Li ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo". Cari fratelli e sorelle, la decisione del Padre di predestinarci ad essere conformi all’immagine del Figlio suo è la ragione ultima della nostra esistenza, e la radice della nostra dignità.
L’apostolo Paolo nella seconda lettura ci educa a quella comprensione sapienziale di tutta la realtà, che sola può liberarci dal naufragio dentro al non-senso. Comprensione sapienziale, come già spiriti eletti del paganesimo pre-cristiano avevano intuito, significa intelligenza e spiegazione della realtà alla luce delle sue cause ultime. "Noi sappiamo" ci dice l’Apostolo "che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno". È uno sguardo, quello del sapiente, che abbraccia l’intero: "tutto concorre …"; è uno sguardo che nell’intero intravede un orientamento, un disegno "concorre al bene di coloro … che sono stati chiamati"; è uno sguardo contemplativo, perché giunge fino alla spiegazione ultima.
Presso molte culture la traversata del mare è la metafora della vicenda umana. "Prendi il largo e calate le reti per la pesca", il Signore dice a Simone. L’uomo consapevole del suo destino buono, della positività della sua vita, può prendere il largo e gettare le reti. Tutte le difficoltà non saranno più in grado di generare il dubbio, e di spegnere l’operosità.
"Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla". Ecco il dubbio che può prenderci: a che tanto lavoro, tanta fatica? "ma sulla tua parola getterò le reti". Consapevoli che "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio", la rete può comunque essere gettata.
Alla luce della rivelazione neo-testamentaria, comprendiamo pertanto in profondità la Parola originaria detta circa l’uomo: "Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse". È una parola "originaria", questa: riguarda l’uomo come tale. Dovremmo leggerla al presente: "il Signore Dio prende l’uomo – ogni uomo – e lo pone nel giardino [lo pone nella sua creazione], perché lo coltivi e lo custodisca". L’uomo non è semplicemente un vivente: è una persona che è posta nel creato – nel "gran mare dell’essere" – perché faccia le veci del Creatore, coltivandolo e non sfruttandolo; custodendolo e non consumandolo.
2. Cari fratelli e sorelle, noi oggi celebriamo i divini Misteri nella memoria liturgica di S. Josè Maria e nell’80.mo di fondazione dell’Opus Dei.
La Parola che la Chiesa ci dona per la nostra meditazione, è la luce che illumina il carisma di S. Josè Maria, il suo carisma fondazionale.
C’è un testo che ho trovato in Considerazione spirituali che mi sembra al riguardo particolarmente significativo. Esso dice: "Bisogna che ci imbeviamo, che ci saturiamo dell’idea che è Padre, e veramente Padre nostro, il Signore che sta vicino a noi e nei cieli". Il dono della sapienza non ci fa solo conoscere le verità della fede. Ce ne dà il gusto interiore: esse diventano l’impasto della nostra vita: ci "impregnano" e ci "saturano". E soprattutto generano il nostro modo di stare dentro alla realtà.
In un altro scritto dice: "Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli schizofrenici, se vogliamo essere cristiani: vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che deve essere –nell’anima e nel corpo – santa e piena di Dio: questo Dio invisibile, lo troviamo nelle cose più visibili e materiali. Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai".
È raro trovare una tale profonda semplicità nella proposta cristiana. "Tutto concorre …", ci ha detto l’Apostolo. Il modo giusto di stare dentro alla realtà è quello di chi vive la sua vita ordinaria nella consapevolezza della sua dignità filiale. Questo ha un nome: la santità. S. Josè Maria non ha abbassato la santità alla piccola misura della vita quotidiana, ma ha innalzato la vita quotidiana alla misura immensa della santità.
Ogni carisma viene donato per il bene della Chiesa. Oggi ancora più vediamo che la "schizofrenia" di cui parlava il Santo, è la vera malattia del cristiano: la separazione fra ciò che professa nella fede e ciò che vive nella quotidianità. Non parlo di una incoerenza morale. Il male è più profondo. È la dis-incarnazione dell’esperienza cristiana, cioè il suo svuotamento: "o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai".
"La separazione del cielo dalla terra è il delitto che ha reso il senso religioso o, meglio, il sentimento religioso, vago, astratto, come una nube che corre nel cielo e presto si svaga, si fiacca e scompare, mentre la terra resta dominata – volenti o nolenti – ultimamente come fu con Adamo e Eva, dall’orgoglio, dall’imposizione di sé, dalla violenza" [L. Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, pag. 22].
Ed il lavoro, assieme alla famiglia, sono i luoghi privilegiati in cui "troviamo il Signore", in cui risplende nel cristianesimo la gloria di Cristo.
S. Josè Maria ci ottenga questa visione sapienziale che generi una profonda unità nella vita.
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