S. Messa "Tre giorni" invernale del Clero
Giovedì, seconda settimana
Rimini 18 gennaio 2007
1. "Fratelli, Cristo può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore". Cari fratelli, la lettura della lettera agli Ebrei che la Chiesa assegna a queste settimane, ci introduce in una comprensione molto profonda del mistero della redenzione dell’uomo, che è la "dimora" del nostro sacerdozio.
Il testo letto oggi costituisce la parte centrale - "il punto capitale" - di tutta la lettera. In essa [parte centrale] si mostra come la mediazione sacerdotale di Cristo gode di una tale perfezione nei confronti del sacerdozio levitico, che questo perde la sua stessa ragione di esistere. E questa superiorità consiste nella "eternità" del sacerdozio di Cristo. In che senso? Nel senso che Gesù permane in una condizione ed in un atto che rimangono "per sempre". È la condizione del Figlio che mediante la sua morte e risurrezione è stato definitivamente trasformato nella sua umanità in una offerta di se stesso che dura per sempre. Proviamo a fermarci un momento a contemplare lo splendore di questo sacerdozio che resta per sempre perché si identifica con l’atto del suo offrirsi.
Le celebrazioni ebraiche, il "sacrificio per i peccati", nel popolo ebreo si ripetevano indefinitivamente; i misteri pagani si rinnovano ad ogni rinnovo di stagione; il mistero cristiano è costituito da un atto unico, eterno: "egli ha fatto questo, una volta per sempre, offrendo se stesso". Ed è per questo che Gesù è in grado si "salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio".
Tutto è concentrato in quell’atto. Una sfera, qualunque sia la lunghezza del suo diametro, se messa su una superficie piana, la tocca in un punto solo e poggia tutta su un punto solo. Tutta la storia dal primo Adamo fino all’ultimo uomo è concentrata in quel punto: nell’Atto in cui Cristo dona se stesso sulla Croce ed entra nel possesso della vita eterna. "Non è infatti il mistero di Cristo che continua e si prolunga nel tempo, è piuttosto il tempo che tutto si riassume e quasi si inabissa in quell’atto. Tutti i tempi e tutti gli spazi si raccolgono, precipitano in quell’istante, in quel punto" [D. Barsotti, Il Mistero cristiano nell’anno liturgico, San Paolo, Milano 2004, pag. 140]. È l’istante in cui il sommo sacerdote "si è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli".
Miei cari fratelli, questo è il "fondo della realtà": l’Atto di Cristo che dona se stesso ed introduce nella sua umanità tutto l’universo in Dio. È l’amore redentivo di Cristo, suprema rivelazione della Misericordia del Padre. Il male può scatenarsi: esso è già vinto. Il "fondo della realtà" non è il conflitto fra bene e male, ma è il bene – l’atto redentivo di Cristo – che ha già vinto il male.
2. Alla luce di questa pagina santa noi comprendiamo la missione della Chiesa: rigenerare l’uomo in Cristo. L’uomo ha perduto se stesso; l’uomo è privo della gloria di Dio ed ha quindi smarrito la coscienza della sua dignità; l’uomo si è venduto come schiavo agli elementi di questo mondo. L’uomo per ritrovare se stesso; perché rifulga in lui l’immagine di Dio e riscopra la sua dignità; perché la sua libertà sia liberata, deve entrare con tutto se stesso nell’atto redentivo di Cristo, appropriarsene ed assimilarne tutta la realtà, "fino a quando Cristo sia formato in lui". È questo il senso più profondo del tempo che viviamo: il tempo in cui accade la "nuova creazione" dell’uomo. La redenzione è una nuova creazione, poiché Dio non ha mai ritirato il sì che alla creazione ha detto all’inizio.
È questo il contesto della nostra esistenza e della nostra missione sacerdotale: siamo i ministri della redenzione; siamo i testimoni del "grande sì" che Dio dice oggi alla sua creazione.
Come lo siamo? In primo luogo, dicendo il "Vangelo della redenzione". Miei cari fratelli è questo il dono più grande che possiamo fare all’uomo: "affidarlo alla parola della grazia" che il Padre ha rivelato e ci ha donato in Cristo.
Siamo poi servi della redenzione dell’uomo soprattutto quando celebriamo l’Eucarestia. Esiste una norma canonica di profondo significato teologico e spirituale: l’obbligo di celebrare l’Eucarestia per il popolo che ci è stato affidato. È il momento più intenso del nostro servizio pastorale. In quel momento noi rappresentiamo davanti a Dio la nostra comunità; siamo la nostra comunità. La portiamo dentro all’atto redentivo di Cristo perché sia rigenerata dal suo sacrificio; perché sia introdotta nell’Alleanza nuova ed eterna.
La S. Scrittura raccomanda spesso di camminare, di vivere alla presenza di Dio. Fedele a questa divina parola la tradizione spirituale ha continuato a raccomandare questo. Che cosa significa? Dio è già presente dentro alla nostra storia. Egli sta realizzando il Mistero: ricapitolare ogni realtà in Cristo. Noi siamo dentro a questa divina operazione, a questa ricapitolazione. Non perdiamone mai la consapevolezza. Non dico la consapevolezza attuale, poiché custodire questa ininterrottamente è impossibile e non è necessario. Ma esiste una consapevolezza abituale. Che cosa vuol dire? Educarci a vedere la realtà, nostra e di ogni altro, nella luce del mistero redentivo di cui siamo ministri. È questo mistero la "dimora" della nostra esistenza.
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