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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


S. Messa "Tre giorni" invernale del Clero
Giovedì, seconda settimana
Rimini 18 gennaio 2007


1. "Fratelli, Cristo può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore". Cari fratelli, la lettura della lettera agli Ebrei che la Chiesa assegna a queste settimane, ci introduce in una comprensione molto profonda del mistero della redenzione dell’uomo, che è la "dimora" del nostro sacerdozio.

Il testo letto oggi costituisce la parte centrale - "il punto capitale" - di tutta la lettera. In essa [parte centrale] si mostra come la mediazione sacerdotale di Cristo gode di una tale perfezione nei confronti del sacerdozio levitico, che questo perde la sua stessa ragione di esistere. E questa superiorità consiste nella "eternità" del sacerdozio di Cristo. In che senso? Nel senso che Gesù permane in una condizione ed in un atto che rimangono "per sempre". È la condizione del Figlio che mediante la sua morte e risurrezione è stato definitivamente trasformato nella sua umanità in una offerta di se stesso che dura per sempre. Proviamo a fermarci un momento a contemplare lo splendore di questo sacerdozio che resta per sempre perché si identifica con l’atto del suo offrirsi.

Le celebrazioni ebraiche, il "sacrificio per i peccati", nel popolo ebreo si ripetevano indefinitivamente; i misteri pagani si rinnovano ad ogni rinnovo di stagione; il mistero cristiano è costituito da un atto unico, eterno: "egli ha fatto questo, una volta per sempre, offrendo se stesso". Ed è per questo che Gesù è in grado si "salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio".

Tutto è concentrato in quell’atto. Una sfera, qualunque sia la lunghezza del suo diametro, se messa su una superficie piana, la tocca in un punto solo e poggia tutta su un punto solo. Tutta la storia dal primo Adamo fino all’ultimo uomo è concentrata in quel punto: nell’Atto in cui Cristo dona se stesso sulla Croce ed entra nel possesso della vita eterna. "Non è infatti il mistero di Cristo che continua e si prolunga nel tempo, è piuttosto il tempo che tutto si riassume e quasi si inabissa in quell’atto. Tutti i tempi e tutti gli spazi si raccolgono, precipitano in quell’istante, in quel punto" [D. Barsotti, Il Mistero cristiano nell’anno liturgico, San Paolo, Milano 2004, pag. 140]. È l’istante in cui il sommo sacerdote "si è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli".

Miei cari fratelli, questo è il "fondo della realtà": l’Atto di Cristo che dona se stesso ed introduce nella sua umanità tutto l’universo in Dio. È l’amore redentivo di Cristo, suprema rivelazione della Misericordia del Padre. Il male può scatenarsi: esso è già vinto. Il "fondo della realtà" non è il conflitto fra bene e male, ma è il bene – l’atto redentivo di Cristo – che ha già vinto il male.

2. Alla luce di questa pagina santa noi comprendiamo la missione della Chiesa: rigenerare l’uomo in Cristo. L’uomo ha perduto se stesso; l’uomo è privo della gloria di Dio ed ha quindi smarrito la coscienza della sua dignità; l’uomo si è venduto come schiavo agli elementi di questo mondo. L’uomo per ritrovare se stesso; perché rifulga in lui l’immagine di Dio e riscopra la sua dignità; perché la sua libertà sia liberata, deve entrare con tutto se stesso nell’atto redentivo di Cristo, appropriarsene ed assimilarne tutta la realtà, "fino a quando Cristo sia formato in lui". È questo il senso più profondo del tempo che viviamo: il tempo in cui accade la "nuova creazione" dell’uomo. La redenzione è una nuova creazione, poiché Dio non ha mai ritirato il sì che alla creazione ha detto all’inizio.

È questo il contesto della nostra esistenza e della nostra missione sacerdotale: siamo i ministri della redenzione; siamo i testimoni del "grande sì" che Dio dice oggi alla sua creazione.

Come lo siamo? In primo luogo, dicendo il "Vangelo della redenzione". Miei cari fratelli è questo il dono più grande che possiamo fare all’uomo: "affidarlo alla parola della grazia" che il Padre ha rivelato e ci ha donato in Cristo.

Siamo poi servi della redenzione dell’uomo soprattutto quando celebriamo l’Eucarestia. Esiste una norma canonica di profondo significato teologico e spirituale: l’obbligo di celebrare l’Eucarestia per il popolo che ci è stato affidato. È il momento più intenso del nostro servizio pastorale. In quel momento noi rappresentiamo davanti a Dio la nostra comunità; siamo la nostra comunità. La portiamo dentro all’atto redentivo di Cristo perché sia rigenerata dal suo sacrificio; perché sia introdotta nell’Alleanza nuova ed eterna.

La S. Scrittura raccomanda spesso di camminare, di vivere alla presenza di Dio. Fedele a questa divina parola la tradizione spirituale ha continuato a raccomandare questo. Che cosa significa? Dio è già presente dentro alla nostra storia. Egli sta realizzando il Mistero: ricapitolare ogni realtà in Cristo. Noi siamo dentro a questa divina operazione, a questa ricapitolazione. Non perdiamone mai la consapevolezza. Non dico la consapevolezza attuale, poiché custodire questa ininterrottamente è impossibile e non è necessario. Ma esiste una consapevolezza abituale. Che cosa vuol dire? Educarci a vedere la realtà, nostra e di ogni altro, nella luce del mistero redentivo di cui siamo ministri. È questo mistero la "dimora" della nostra esistenza.