TRE GIORNI DEL CLERO
Celebrazione eucaristica
Seminario, 15 settembre 2008
1. "Reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per coloro che gli obbediscono". Cari fratelli nel sacerdozio, questa parola invita a guardare, a contemplare Cristo nella sua perfezione.
Tutti i grandi esegeti di questo testo ci assicurano che la perfezione di cui parla, non ha principalmente significato morale. Ha significato ontologico e rituale. È l’essere del Verbo incarnato che raggiunge la sua pienezza; la ragione, il "telos" per cui Egli pose la sua dimora fra noi è raggiunto. Non solo – e la cosa dona a noi tanta materia di riflessione e stimolo di preghiera – ma è in questa perfezione che Cristo è consacrato sacerdote: perfezione e consacrazione sacerdotale coincidono. Tanta è la ricchezza di questa parola: reso perfetto – τελεωθείς!
Ma più precisamente in che cosa consiste questa perfezione – consacrazione? Due passaggi giovannei ci sono di grande aiuto per rispondere a questa domanda.
Il primo lo troviamo nel versetto introduttivo al racconto della passione: "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, lì amò sino alla fine" [Gv 13,1b]; nel versetto conclusivo dello stesso racconto troviamo il secondo: "E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: tutto è compiuto! E chinato il capo, spirò" [Gv 19,30].
Gesù raggiunge la sua perfezione nel momento in cui Egli fa dono di Se stesso, senza trattenere nulla per Sé. Il "telos" della sua presenza fra noi è raggiunto perfettamente perché è compiuta la sua auto-donazione: si è totalmente espropriato. Come anche Paolo insegna: "non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso" [Fil 2,6-7].
È nella sua auto-donazione, è a causa della sua auto-donazione che Gesù viene consacrato sacerdote, e quindi "divenne causa di salvezza eterna". È ancora il primo testo giovanneo sopra citato che ci aiuta a capire. In esso si parla della passione di Gesù come un "passaggio [di una metábasi] da questo mondo al Padre". La "metábasi" di Gesù, la sua intima trasformazione dalla condizione terrena nella condizione celeste, l’ingresso del Sommo Sacerdote nella Sancta Sanctorum, è costituito dall’atto di donazione che Gesù fa di Se stesso sulla Croce.
"Divenne causa di salvezza eterna per coloro che gli obbediscono": se manteniamo salda la nostra fede in Lui, noi diventiamo partecipi di Cristo [cfr. Eb 3,14], e viviamo in Lui lo stesso passaggio-metabasi.
2. Il Concilio Vaticano II insegna: "La creatura … non può mai addizionarsi al Verbo incarnato e redentore. Ma come accade per il sacerdozio di Cristo che viene partecipato in vari modi sia ai ministri sacri sia al popolo dei fedeli, e come accade per l’unica bontà divina che viene diffusa nelle creature in modi diversi così anche l’unica mediazione del Redentore non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione, che è partecipazione dell’unica fonte. La Chiesa non esita a riconoscere apertamente questa funzione subordinata di Maria" [Cost. dogm. Lumen gentium 62,2-3; EV 1/437-438].
Cari fratelli, oggi la Chiesa "riconosce apertamente", "fa esperienza" la "funzione subordinata di Maria" all’opera della nostra Redenzione, e la celebra nella sua Liturgia. Come si è attuata questa "funzione subordinata"? Ce lo insegna il Concilio: "[ai piedi della croce] fu presente in dolorosa compassione col suo unigenito Figlio, associandosi con animo materno al suo sacrificio e unendo il suo amorevole consenso all’immolazione della vittima che lei stessa aveva generato" [ibid. 58, EV 1/432].
La "forma mariana" della partecipazione all’atto redentivo di Cristo è il consenso allo stesso: un consenso generato dall’amore [victimae … immolationi amanter consentiens]: quale profondità ha la pagina evangelica appena proclamata! Cercherò di balbettarne qualcosa.
I due eventi principali della vita di Maria sono l’Annunciazione e nascita di Gesù e la scena ai piedi della croce. L’uno illumina l’altro, ed ambedue contengono la stessa rivelazione circa la vita e la persona di Maria. Viene rivelato il mistero centrale della libertà di Maria. È una libertà finita, che "victimae … immolationi amanter consentiens" ha fatto propria la libertà di Cristo che dona Se stesso, espropriandosi di se stessa. E come nel consenso libero dell’Annunciazione Maria diventa capace di generare Cristo nel suo corpo fisico, così nel consenso libero ai piedi della Croce diventa capace di generare Cristo nel suo corpo mistico ["donna, ecco tuo figlio"]. È il consenso mariano sotto la Croce il grembo in cui la Chiesa è generata: "donna, ecco tuo figlio" - "figlio, ecco tua madre".
3. Cari fratelli, il poter iniziare la nostra Tre giorni con Maria contemplata ai piedi della croce è una grande grazia. La liturgia odierna colla parola in essa proclamata ci aiuta ad avere una più profonda intelligenza del nostro ministero apostolico.
Non raramente vi ho parlato della "forma mariana" che deve dare figura al nostro sacerdozio. Oggi comprendiamo meglio in che cosa consista e che cosa comporti questa configurazione.
Ovviamente non ci stiamo muovendo nell’ambito della validità, della efficacia oggettiva sacramentale del nostro sacerdozio. Stiamo parlando della nostra esistenza sacerdotale.
Il consenso di Maria è "typus et exemplar" [Cost. dogm. Lumen gentium 53; EV 1/427] del nostro consenso all’opera redentiva di Cristo, che ci costituisce ministri della sua redenzione. Anche la nostra libertà è chiamata a divenire "victimae immolationi … amanter consentiens". Che cosa significa esistenzialmente?
Ricordiamo quanto ci ha detto la Parola di Dio nella prima lettura. Significa che la nostra libertà – dunque la progettazione della nostra vita – si lascia espropriare, per lasciarsi trasfigurare dalla libertà di Cristo che fa dono di Sé. È la carità di Cristo, la carità cioè che è nel cuore di Cristo, che prende possesso della nostra persona; non siamo più proprietari di noi stessi ma siamo posseduti dall’auto-donazione di Cristo per la redenzione dell’uomo.
Cari fratelli, il Concilio Vaticano II insegna che "l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" [Cost. past. Gaudium et spes 24,3; EV 1/1395]. Non c’è che una sola infelicità vera per il sacerdote : quella di non donarsi.
"Di modo che in noi" diciamo con Paolo "opera la morte, ma in voi la vita" [2Cor 4,12]: la vita di Cristo è generata nei nostri giovani se portiamo " sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù" [10a].