MERCOLEDÌ DELLE CENERI
Cattedrale di San Pietro
9 febbraio 2005
1. "Ricordati che sei polvere, ed in polvere ritornerai". L’austero gesto dell’imposizione delle ceneri sul nostro capo, accompagnato da queste parole, ci invita ad una meditazione profonda sulla condizione umana.
Parole e gesto ci ricordano che la nostra è una condizione mortale; presso ogni lingua gli uomini sono anche chiamati "i mortali": coloro che muoiono. Noi siamo qui questa sera per non dimenticare che questa è la nostra sorte: "ricordati che sei polvere, ed in polvere ritornerai".
Come sappiamo, queste parole riprendono le parole con cui Dio emise la sua condanna sull’uomo che aveva peccato: "All’uomo [il Signore Iddio] disse: poiché … hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: non ne devi mangiare … tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai". La nostra condizione mortale non è una condizione naturale, spiegabile cioè solo in base alle leggi che governano ogni organismo vivente. La morte che colpisce ciascuno di noi è il segno che l’uomo si è liberamente distaccato dalla Fonte della vita, dal suo Creatore e Signore: "la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato" [Rom 5,12B], insegna l’Apostolo.
Vita e morte dunque non denotano solo fenomeni biologici come per gli altri organismi viventi. Denotano la condizione della persona umana in rapporto con Dio, in cui consiste il bene della persona stessa. La morte dell’uomo, in senso profondo, è la sua condizione di separazione da Dio; è l’oscurarsi nella sua coscienza del legame intimo che lo unisce al suo Creatore; è la decisione di percorrere una via diversa da quella indicata dalla Legge del Signore. Mai come questa sera risuona chiaro e forte la parola di Mosè: "io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita" [Deut 30,19-20]. Il popolo di Israele che non obbedì alla voce di Dio e non si tenne unito a Lui, e che perdette la sua libertà costretto a vivere in esilio, è il segno di tutta l’umanità: "la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato".
2. "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare giustizia di Dio". La parola che la Chiesa dirà fra poco su ciascuno di noi imponendoci le ceneri, non è la parola definitiva che si possa dire sull’uomo; essa esprime, per così dire, la verità penultima sull’uomo, non quella ultima. L’ultima parola che Dio dice all’uomo sull’uomo è la parola di grazia detta nella morte di Cristo.
Egli "non aveva conosciuto peccato", ma prese in sé la nostra morte perché noi potessimo rivivere nella giustizia e nella santità. Sulla Croce è accaduta la vera svolta, il vero cambiamento della nostra condizione mortale. Infatti, ci insegna l’Apostolo, "come … per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita" [Rom 5,18].
Le parole dell’Apostolo ci dicono quale è il senso del tempo di quaresima che ora iniziamo: è il tempo in cui Dio in Cristo vuole riversare su tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita. È il tempo in cui Egli vuole far passare ciascuno di noi dal regno della morte alla vita: mediante l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia farci regnare nella vita per mezzo di Cristo.
"E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere in vano la grazia di Dio", a non lasciar trascorrere invano questo tempo di salvezza. Attraverso l’esercizio della penitenza quaresimale otteniamo il perdono dei peccati ed una vita rinnovata ad immagine del Signore risorto.
"Il Signore si mostri geloso per la sua terra": Egli non permetta che la sua eredità, la nostra persona, sia devastata dalla morte e dal peccato. "Si mostri geloso per la sua terra"!
|