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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Solennità dell'Epifania
Cattedrale, 6 gennaio 2005


1. "Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni…: che i Gentili cioè sono chiamati in Cristo Gesù… per mezzo del Vangelo". Carissimi fratelli e sorelle, oggi noi celebriamo la decisione del Padre di chiamare ogni uomo alla partecipazione dei beni che ci sono donati in Cristo Gesù. L’opera della divina misericordia che celebriamo è la rivelazione che il Padre oggi ci fa di "averci scelti prima della creazione del mondo … predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ef 1,-5). Il fatto narrato dal Vangelo significa precisamente questo, e manifesta per la prima volta questa universale volontà salvifica del Padre. Anche se il Figlio di Dio "aveva scelto il popolo di Israele e una famiglia di quello stesso popolo per assumere la natura propria di tutta l’umanità, Egli tuttavia non volle che gli albori della sua nascita restassero nascosti nei ristretti spazi della casa materna, ma volle subito farsi conoscere a tutti, Lui che si è degnato di nascere per tutti" [S. Leone Magno, Discorsi 12,1; ed. Nardini, pag. 225.).

Ciò che è narrato oggi nel S. Vangelo non deve solo essere ricordato come un fatto passato, dal momento che l’azione divina compiuta allora per la prima volta a favore di alcuni magi, non è terminata. Anche oggi continua ciò che ebbe allora il suo inizio: la chiamata che il Padre rivolge ad ogni uomo ad incontrare Cristo vivente nella Chiesa.

E’ allora assai importante verificare come nella pagina evangelica appena proclamata viene descritto e la chiamata del Padre e la risposta dell’uomo.

2. "Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti ad adorarlo". In questa semplice descrizione è racchiuso tutto il mistero del cammino dell’uomo verso la salvezza.

"Abbiamo visto sorgere la sua stella". La vera storia dell’uomo comincia quando egli comincia a "vedere" con serietà la realtà: la realtà che lo circonda, la realtà che è il suo "se stesso". Senza pregiudizi, senza preconcetti. Alcuni magi, fra i tanti dell’Oriente, hanno visto un "segno", un’indicazione: l’indicazione di un Mistero che li invitava, significato da una stella.

Se perdiamo questa capacità di leggere in profondità la realtà nella quale siamo immersi; se ci accontentiamo di subirla senza tentarne mai un’interpretazione profonda, non partiremo mai per incontrare Cristo. E’ necessario liberarci da quel preconcetto, quel pregiudizio che ci viene imposto come una inconfutabile ovvietà: ridurre tutta la realtà alla sua apparenza misurabile, rifiutando di vedere ciò che essa significa. Impediamo alla nostra ragione di addentrarsi nella ricerca del significato, di ciò che in fondo l’apparenza significa. Quei magi non si accontentarono di costatare l’esistenza di una stella e di misurarne eventualmente il percorso; essi videro che essa era "segno di un Mistero". Un certo scientismo assai pericoloso ha estenuato e spesso estinto in noi questa innata capacità umana di capire tutte le cose come segno del Mistero.

"E siamo venuti". La ricerca vera muove la nostra libertà. Senza paura; senza tentennamenti; con la generosità che non fa sentire la fatica del cammino; con l’umiltà di chi sa interrogare quando si oscura la percezione della realtà. Gli uomini – è stato scritto giustamente – si distinguono in tre classi in ordine alla ricerca di Dio: alcuni lo cercano e lo trovano; altri lo cercano e non lo trovano; altri infine né lo cercano né lo trovano. I primi sono ragionevoli e felici; i secondi sono ragionevoli ed infelici; i terzi non sono né ragionevoli né felici.

"Per adorarlo e prostratisi lo adorarono". La ricerca si conclude nell’incontro con Cristo. E l’incontro è essenzialmente adorazione. E’ riconoscimento umile e gioioso che Lui è il Figlio di Dio nel quale è posta ogni pienezza, e che noi siamo nulla, ma un nulla desideroso di divenire pienezza. E’ confessione piena di gratitudine che solo Lui è Parola che dona la vita eterna.

L’adorazione dei magi infine si esprime nel dono. L’uomo che incontra Cristo non si appartiene più, ma diventa "proprietà" di Lui che è morto per noi perché non vivessimo più per noi stessi.

Carissimi fratelli e sorelle, la partecipazione di tanti popoli a questa celebrazione ci fa vedere anche cogli occhi il Mistero che stiamo vivendo. In Cristo si ricostruisce la vera fraternità umana poiché "qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti" [Col. 3,11], dal momento che popoli di ogni razza, nazione e lingua oggi "sono chiamati in Cristo Gesù a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo"