V DOMENICA DI QUARESIMA
Primo anniversario della morte del Papa Giovanni Paolo II
Cattedrale, 2 aprile 2006
1. "Vogliamo vedere Gesù", dicono alcuni greci all’apostolo Filippo. Carissimi fedeli, è questo il desiderio più profondo che dimora nel cuore di ogni uomo: ne sia o non ne sia consapevole; sappia o non sappia esprimerlo. Non era semplicemente il desiderio di vedere come si presentava esteriormente Gesù, ma il presentimento che da Lui avrebbero ricevuto risposta le loro domande più profonde.
In realtà il desiderio dell’uomo di "vedere Gesù" nasce da una chiamata che lo precede; l’uomo vuole vedere Gesù perché è già stato guardato e desiderato da Dio stesso. "Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre" dice chi ha scoperto la verità più profonda di se stesso, "tu mi conosci fino in fondo. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto" [Sal 139 (138), 13.15]. L’aspetto più sublime della dignità dell’uomo consiste in questo scambio di sguardi e di desideri. "Mi hai fatto come un prodigio", esclama pieno di stupore l’uomo che ha scoperto la radice ultima della sua dignità.
Ma nella vicenda di quei greci, vera metafora della vicenda di ogni uomo, accade qualcosa di imprevisto. In un certo senso, il compimento del loro desiderio non avviene immediatamente. Dio non può ancora farsi vedere dall’uomo perché non è ancora accaduto quel fatto nel quale solamente Dio avrebbe mostrato il suo vero volto. "In verità, in verità vi dico:" risponde Gesù a Filippo "se il chicco di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto… quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". Il vero volto di Dio è il Cristo sulla Croce; è il Cristo che dona Se stesso sulla croce; "l’amore che move il sole e l’altre stelle" è l’amore crocefisso: "quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". Alla fine del racconto della passione del Signore, l’evangelista che ha visto squarciare il costato di Cristo, riassumerà pertanto tutta la vicenda umana con le seguenti parole: "volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto". Il cammino dell’uomo o è un itinerario verso la visione dell’amore di Dio che prende carne e sangue in Cristo crocefisso o diventa un itinerario verso la distruzione della propria umanità. È nel fianco ferito di Cristo che può essere visto ed incontrato il Mistero di Dio; è partendo da questa visione e da questo incontro che possiamo sapere che cosa significa vivere, perché scopriamo la verità dell’amore.
2. "Se uno mi vuole servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo". Carissimi fedeli, avete voluto fare oggi festa e lodare il Signore per l’elevazione del vostro Arcivescovo alla dignità cardinalizia. Vi ringrazio per la vostra numerosa e partecipe presenza; ringrazio tutte le autorità, civili, militari, accademiche, che hanno voluto onorare con la loro presenza la nostra celebrazione; ringrazio soprattutto tutte le persone che impossibilitate ad esser presenti per la malattia, mi hanno assicurato la loro preghiera.
Ringrazio in modo speciale Vs. Eminenza, arcivescovo Ghennadios, e nella sua persona S. Santità Bartolomeo I, che lei qui rappresenta. È un profondo vincolo nella stessa sequela di Cristo che ogni giorno più si costituisce e si rinsalda.
La glorificazione del pastore – amavano ripetere i padri della Chiesa in occasioni come queste – è la glorificazione del gregge, e l’onore reso al padre è onore reso ai figli.
Ma il Signore rivolge a me in primo luogo l’avvertimento evangelico: "se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io là sarà anche il mio servo". Il vero servo del Signore non può dimorare in un luogo diverso dal luogo dove abita il suo Signore: nell’amore che prende corpo nel dono di sé fino alla morte.
Carissimi fedeli, ottenga a me in primo luogo ciò che la nostra preghiera ha chiesto al Padre misericordioso all’inizio di questa celebrazione: che possa "vivere ed agire sempre in quella carità, che spinse il [suo] Figlio a dare la vita per noi". È questa carità il segno distintivo, la definizione stessa dell’episcopato nella Chiesa.
La parola evangelica che oggi così profondamente ci commuove, è fondamento della consegna che il S. Padre ha fatto a ciascun neo cardinale nel giorno del Concistoro pubblico: "La porpora che indossate sia sempre espressione della caritas Christi, stimolandovi ad un amore appassionato per Cristo, per la sua Chiesa e per l’umanità".
3. Carissimi fedeli, il Signore ci fa il dono di celebrare questi divini misteri nel primo anniversario della morte del servo di Dio Giovanni Paolo II.
La narrazione evangelica appena ascoltata è la chiave interpretativa più adeguata della vita e della missione del servo di Dio. Nell’Enciclica programmatica del suo pontificato, egli scriveva: "La Chiesa desidera servire quest’unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa, con ciascuno, percorrere la strada della vita, con la potenza di quella verità sull’uomo e sul mondo, contenuta nel mistero dell’incarnazione e della redenzione, con la potenza di quell’amore che da essa irradia" [Lett. Enc. Redemptor homini 13,1; EE 8/40].
"Vogliamo vedere Gesù", chiedono i greci. Giovanni Paolo II ha percorso tutte le strade del mondo perché l’uomo, ogni uomo, potesse vedere Gesù ed in Gesù vedere se stesso e la sua dignità; potesse sciogliere l’enigma della sua vita, scoprendo la verità dell’amore.
Carissimi giovani, voglio terminare rivolgendomi a voi: a voi che siete la gioia più grande e la preoccupazione più intensa del mio servizio episcopale. Vedete quale stupenda compagnia è la Chiesa! Sostenuti sulle spalle di così grandi testimoni, non distogliete mai lo sguardo da Cristo; non distogliete mai lo sguardo dalla grandezza della vostra dignità e libertà. È da questo duplice sguardo congiunto che voi imparerete a vivere perché imparerete ad amare.
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