S. MESSA DEL CRISMA
Cattedrale di Ferrara
1 aprile 1999
1. "A Colui che ci ama e … che ha fatto di noi un regno di sacerdoti
per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.
Amen". La nostra celebrazione, venerati fratelli, è in primo luogo
glorificazione e lode di Colui che ci ha amati ed ha manifestato il suo
amore facendoci sacerdoti, dopo averci liberati dai nostri peccati col
suo sangue. E’ celebrazione che nasce dal cuore pieno di gratitudine per
un dono immeritato, pieno di gioia per una predilezione inaspettata. E’
celebrazione della verità della nostra persona consacrata nel servizio
di Cristo, e quindi inserita nella realizzazione del progetto di salvezza
che ha dal Padre e nel Figlio il suo principio e fine: "Io sono l’Alfa
e l’omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene,
l’Onnipotente".
E’ nel contesto dell’economia salvifica pensata dal Padre fin dall’eternità,
e realizzata in Cristo mediante il dono dello Spirito Santo, che la nostra
esistenza va sempre interpretata e vissuta. Ogni altra "chiave di lettura"
della medesima è fuorviante per la nostra libertà e falsificante
per la nostra ragione. Ciascuno di noi è collocato dentro al grande
avvenimento che sta sempre accadendo, descritto da S. Giovanni nel modo
seguente: "Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà; anche quelli
che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui
il petto". Vi è collocato dentro perché il Cristo continua
la sua opera attraverso la nostra persona.
Quale opera? Dando attuazione alla parola profetica, il Signore la descrive
nel modo seguente: "mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per
rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia
del Signore". E’ un’opera di annuncio di un "lieto messaggio" che
consiste in "un anno di grazia del Signore". E’ un’opera di liberazione
dei prigionieri e degli oppressi. E’ un’opera di illuminazione di
chi è cieco. Dunque: annunciare, liberare, illuminare. Sono le tre
dimensioni essenziali del sacerdozio di Cristo e della nostra partecipazione
allo stesso.
"Mi ha mandato per annunciare … per predicare". Alla fine della sua
vita terrena, Gesù ripensandola e quasi riassumendola nella sua
interezza, la descrive nel modo seguente: "Io ti ho glorificato sopra la
terra, compiendo l’opera che mi hai dato da compiere … ho manifestato il
tuo nome agli uomini" (Gv 17,4-6). L’opera che il Padre gli aveva dato
da compiere consisteva precisamente nel manifestare agli uomini il "nome"
del Padre medesimo: la sua infinita misericordia che dispone per ogni uomo
un anno, un tempo di grazia. Ciò che caratterizza in maniera unica
l’annuncio fatto da Gesù, è che in Lui l’annuncio si identifica
colla sua stessa Persona e la sua stessa vita. Le sue opere sono "segni"
e le sue parole appartengono alle sue opere. Evento unico è questa
identificazione di persona, missione, vita e parola, perché dovuta
all’essere Egli il Figlio unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità.
"Mi ha mandato … per proclamare ai prigionieri la liberazione … per
rimettere in libertà gli oppressi". Gli fa eco la profezia neo-testamentaria:
"ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue". Siamo qui introdotti
nel mistero insondabile della Redenzione, al cui servizio abbiamo posto
tutta la nostra esistenza: noi che non siamo niente altro che "servi della
Redenzione dell’uomo".
La Scrittura ed i Santi Padri hanno sempre collegato l’atto redentivo
di Cristo alla sua morte e risurrezione: "ci ha liberato col suo sangue".
La redenzione è accaduta – oh mistero insondabile di amore! – nella
umanità del Verbo incarnato. La liberazione è stata compiuta
non solo da Gesù Cristo (cfr. Rom. 3,24), ma è accaduta anche
in Gesù Cristo. Egli infatti, il solo giusto, si è
fatto partecipe della nostra stessa condizione e l’ha trasformata dall’interno:
"morendo ha distrutto la nostra morte, e risorgendo ha ridato a noi la
vita", come dice la Liturgia pasquale. Cristo non libera e non salva l’uomo,
se non realizzando in se stesso una radicale trasformazione dell’uomo:
questa è la tremenda serietà dell’atto redentivo.
"Mi ha mandato… per proclamare ai ciechi la vista". Scrive l’autore
della lettera agli Ebrei: "era ben giusto che colui, per il quale e del
quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse
perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza"
(2,10). Eravamo come pecore senza pastore, e ciascuno seguiva la sua via,
come dice il profeta. Avevamo bisogno di uno che ci guidasse alla salvezza:
come il cieco. E’ mediante la sua sofferenza redentiva che Cristo diventa
capace di "proclamare ai ciechi la vista" perché diventa la guida
che ci conduce alla salvezza. Perché l’uomo potesse ritrovare la
via del ritorno al Padre, non bastava che il Figlio di Dio si facesse uno
di loro. Assumere la natura umana, non era tutto: era necessaria trasformarla
intimamente. E’ ciò che è accaduto nel mistero pasquale,
nel quale viene reso perfetto mediante la sofferenza il Capo che guida
noi alla salvezza.
La triplice espressione o dimensione del sacerdozio di Cristo sono come
tre raggi che partono da un medesimo centro. Ed il centro è l’avvenimento
della sua morte e risurrezione, nel quale avvenimento il Verbo incarnato
rivelando il Padre, annuncia ai poveri il lieto messaggio; partecipando
pienamente alla nostra condizione mortale, proclama ai prigionieri la liberazione;
raggiungendo la sua perfezione di guida, proclama ai ciechi la vista.
2. Il nostro sacerdozio è completamente relativo a quello di
Cristo: "voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro
Dio sarete detti". Ne siamo infatti il sacramento: il segno o simbolo reale.
E tutta la realtà del segno e la sua ragione d’essere è nel
rimandare alla Realtà significata. Il rapporto a Cristo costituisce
il contenuto intero della nostra esistenza e ne è l’esatta e completa
definizione.
Più precisamente. In noi ed attraverso il nostro ministero, Cristo
continua a dire: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete
udita con i vostri orecchi". La Scrittura profetica che preannunciava l’annuncio
ai poveri del lieto messaggio, la proclamazione della libertà di
prigionieri, la sicurezza della guida ai ciechi.
La parola di Dio quindi ci svela oggi a quale misteriosa identificazione
mistico-sacramentale con Cristo ciascuno di noi è stato destinato
dal Padre. Essa non è opera nostra, ma dello Spirito Santo che ci
è stato donato coll’imposizione delle mani. Lo stesso Spirito che
ha unto il Cristo è stato posto in ciascuno di noi, perché
fossimo una presenza reale del sacerdozio di Cristo in mezzo al nostro
popolo: siamo certamente vasi di creta, ma dentro portiamo un tesoro mirabile.
E’ il tesoro mirabile della mediazione redentiva di Cristo.
Ed allora lo Spirito Santo vuole inscrivere la "logica" che ha governato
il sacerdozio di Cristo anche nella nostra esistenza. Questa "logica" può
essere espressa nel modo seguente: la perfezione della mediazione salvifica
di Cristo coincide colla perfezione della partecipazione di Questi alla
nostra condizione umana, vissuta nell’obbedienza al Padre.
Siamo chiamati a partecipare profondamente alla condizione del nostro
popolo, ad uscire completamente da noi stessi, dai nostri progetti, per
essere completamente degli altri; dell’uomo a cui Cristo ci ha inviati.
Egli annuncia ai poveri il lieto messaggio, proclama ai prigionieri la
liberazione e ai ciechi la vista: anche noi siamo stati unti per questa
stessa missione. Amiamolo il nostro popolo; diamo la vita per esso; senza
misura sia il nostro spendersi per esso.
La "logica" che ha governato il sacerdozio di Cristo si imprime nel
nostro attraverso la celebrazione dell’Eucarestia. La qualità della
nostra celebrazione dei divini misteri decide la qualità dell’intera
nostra esistenza. "Nell’Eucarestia il sacerdote s’accosta personalmente
all’inesauribile mistero di Cristo e della sua preghiera al Padre. Egli
può immergersi quotidianamente in questo mistero di redenzione e
di grazia celebrando la S. Messa, che conserva senso e valore anche quando,
per giusto motivo, è offerta senza la partecipazione del popolo,
ma sempre, comunque, per il popolo e per il mondo intero" (Giovanni
Paolo II, Lettera ai sacerdoti per il giovedì santo 1999, 6).
La celebrazione dell’Eucarestia è la vera scuola in cui impariamo
la scienza della libertà perché impariamo la scientia
Crucis. Niente c’è di più libero di un cuore reso nuovo
dal sì detto con Cristo in Cristo al Padre; reso nuovo da quell’amore
appassionato per l’uomo, per cui quotidianamente riprendiamo il nostro
sacrificarci gioiosamente per la sua redenzione. Perché come si
può entrare nel fuoco ed uscirne illesi? E l’Eucarestia è
un fuoco divorante.
La dossologia finale allora diventa la verità più profonda
della nostra vita: per Cristo, con Cristo ed in Cristo, a Te, Dio Padre
onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria.
Amen.
[Rivolto ai fedeli]. Carissimi fedeli: avete oggi davanti a voi tutti
i vostri sacerdoti. Sono il sacramento di Gesù Cristo: abbiate di
essi somma venerazione e pregate per loro, perché non prevalga mai
in loro la tristezza del cuore.
Preghiamo per i nostri carissimi Seminaristi. Sia rinnovata la loro
mente, perché possano chiaramente discernere la volontà di
Dio sulla loro vita: ciò che è buono, gradito al Signore
e perfetto.
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