XXXIII DOMENICA PER ANNUM (C)
Ferrara, S. Spirito 15 novembre 1998
1. “Vieni, Signore, a giudicare il mondo”. E’ una preghiera singolare
questa che la Chiesa ha messo sulle nostre labbra. E’ risposta ad una certezza
di fede, continuamente insidiata dal dubbio o dall’oblio: “Ecco, sta per
venire il giorno… “ (cfr. prima lettura). Più sinteticamente: “(Il
Signore) giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine”.
Troviamo qui la risposta, donataci questa sera dalla parola di
Dio, alla domanda sul fine e quindi, sul senso non solo della nostra storia
personale, ma dell’intera storia umana: essa non è l’assurdo incrociarsi
di libertà impazzite, “favola…raccontata da un idiota, piena di
rumore e di furore, che non significa nulla” (Shakespeare).
Dio imprime al corso della storia una direzione che la conduce ad un
avvenimento definitivo e conclusivo di salvezza, descrittoci dal
profeta nella prima lettura e che la Chiesa nella sua fede chiama «il
giorno del giudizio finale». E’ il giorno in cui il Padre pronuncerà
la sua parola definitiva su tutta la storia. “Conosceremo il senso ultimo
di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza,
e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la Provvidenza divina
avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo” (CChC 1040). Ciò
che il Padre ha inteso in Cristo e va compiendo dentro alla nostra storia
attraverso lo Spirito, troverà il suo definitivo compimento in quel
giorno.
Carissimi fratelli, carissime sorelle: la parola profetica questa
sera ci libera da una malattia spirituale assai infettiva, perché
i suoi germi sono parte integrante della nostra stessa cultura. Quella
di pensare che non esiste nessuna certezza sull’esistenza di un significato
ultimo della storia; che non ci sono ragioni cogenti per pensare che esista
una salvezza definitiva per l’uomo; che pertanto ciascuno di noi “dovrebbe
ormai imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso, all’insegna
del provvisorio e del fuggevole” (Lett. Enc. Fides et ratio 91,2). La parola
profetica ci rivela al contrario questa sera che il desiderio naturale
del cuore umano e la sua invocazione che esista una giustizia definitiva,
non è vano e non resta senza risposta. “(Il Signore) giudicherà
il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine”. Certi di questo, «obbedienti
alla parola del Signore e formati al suo divino insegnamento», noi
pregheremo: Padre, venga il tuo Regno – si compia la tua volontà.
2. “Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno
che ciò sta per compiersi?”. Ascoltando la parola profetica, il
credente non risponde solo colla preghiera perché il «significato
ultimo» della storia si compia. E’ inevitabile che si chieda: “quando
accadrà questo?”. Ebbene, qui avviene qualcosa di strano, almeno
a prima vista. All’interrogativo nostro se la storia di ciascuno e la storia
dell’umanità nel suo insieme abbia un significato ultimo, la Parola
di Dio risponde svelando il fine ultimo dell’uomo e quindi il senso globale
del suo agire. Ma all’interrogativo sul quando, la Parola di Dio mantiene
il più rigoroso silenzio. Anzi questa sera ci avverte con gravità:
“guardate di non lasciarvi…”. Tutta essa questa sera ci istruisce, nel
santo Vangelo, sul come dobbiamo vivere dentro la storia, nel tempo che
sta andando verso la fine.
“Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà”. Il nostro
vivere in questo mondo deve radicarsi nella certezza che il Padre non permetterà
che nemmeno un capello del nostro capo perisca, dal momento che “tutto
concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo
il suo disegno” (Rom. 8,28). Infatti noi dobbiamo essere profondamente
persuasi che niente e nessuno “potrà mai separarci dall’amore di
Dio in Cristo Gesù nostro Signore” (ib., 39).
Tutto questo va inteso nel senso che la fede ci fa evadere dalla
pesantezza della nostra condizione umana? Che il cristiano è al
di fuori di ogni contrasto? Avviene esattamente il contrario: “metteranno
le mani su di voi…”. Cioè: la fede è continuamente combattuta,
insidiata, perseguitata. Da che cosa? “Dal fatto che il mondo si
presenta all’uomo immediatamente e ovviamente come la potenza che ha su
di lui l’estremo potere. Esso si dà ad intendere come distruzione
mortale e al tempo stesso come unico rifugio di salvezza” (H.Schlier, Riflessioni
sul Nuovo Testamento, ed. Paideia, Brescia 1969, pag. 171). Per cui o la
potenza di questo mondo ci minaccia, facendoci credere che esso può
distruggerci emarginandoci; oppure ci seduce, facendoci credere che solo
alleandoci e dialogando con lui, saremo salvi. E’ questa la condizione
in cui viviamo «in attesa che si compia la beata speranza e venga
il nostro salvatore»: fra promesse fatue e minacce inconsistenti.
Ed allora ecco i due imperativi del Signore: «non vi terrorizzate»
e «con la vostra perseveranza salverete le vostre anime». Non
abbiate paura delle certezze della vostra fede: resistete colla solidità
della vostra speranza. Essa è la provvista del nostro viaggio terreno.
Il Signore questa sera ci insegni allora «a rinnegare l’empietà
e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà
in questo mondo, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione
della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo»
(Tit. 2,12-13).
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