MESSA DI RINGRAZIAMENTO
31 dicembre 1999
Ferrara/Cattedrale
Comacchio/Aula Regia
Poche sere forse sono cariche di così grande suggestione come questa che stiamo vivendo. Essa infatti ci dona una consapevolezza assai chiara del nostro essere immersi dentro allo scorrere del tempo: di essere abitatori del tempo. Non stiamo infatti vivendo solo il passaggio da un anno all’altro, ma da un millennio all’altro.
L’esperienza che ciascuno di noi fa del "passare del tempo", e del "proprio passare col tempo", provoca la nostra ragione a rispondere ad una domanda ineliminabile: tutta la nostra vita si esaurisce dentro al tempo e quindi siamo non solo abitanti, ma prigionieri del tempo? Oppure dentro al tempo la nostra vita è orientata a realizzarsi fuori di esso? Un inquietante profeta della nostra modernità atea e nichilista ci ha inoculato un dubbio pauroso: "il divenire non ha uno stato finale, non sfocia in un essere… Il valore del divenire è uguale in ogni momento… In altre parole: esso non ha nessun valore, perché manca qualcosa con cui misurarlo" (F. Nietzsche). "Manca qualcosa con cui misurarlo": ecco la suprema provocazione fatta alla nostra ragione e alla nostra libertà. Siamo costretti a navigare sempre a vista oppure abbiamo la possibilità di orientarci verso un porto definitivo? Mai come questa sera abbiamo bisogno di porci in ascolto della parola di Dio: per essere illuminati sul senso del tempo.
1. "Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna". Il valore del tempo non è uguale in ogni momento. Esiste un "istante", un istante dentro al tempo, col quale ogni istante del tempo deve misurarsi e dal quale riceve significato e valore. Questo istante, unico in senso assoluto, è stato il momento in cui il Verbo che è Dio è stato concepito da una donna. L’apostolo esprime l’unicità e la singolarità di quel momento dicendo che esso costituisce la "pienezza del tempo". Pienezza del tempo! Dunque il tempo in cui si era, per così dire, disteso il percorso dell’umanità aveva una meta: era un percorso che aveva in sé una direzione ed un orientamento. Il tempo non era come una circonferenza che gira sempre su se stessa ed in cui ogni punto è al contempo inizio e fine. Il tempo era una realtà che andava verso un traguardo. Questo traguardo è costituito dal fatto che Dio viene concepito da una donna nella nostra natura umana. Più precisamente e più concretamente: tutta la realtà creata e tutta la storia umana, quella di ciascun uomo e quella dei popoli, è stata pensata e voluta da Dio "in vista di Cristo".
Che senso ha questo orientamento di tutte le cose verso Cristo? E’ ancora l’apostolo a dircelo: "… perché ricevessimo l’adozione a figli". Esiste una gerarchia nell’universo dell’essere, un ordine nella realtà. Tutte le creature sono state create per l’uomo. E l’uomo è stato creato perché ricevesse l’adozione a figlio: perché cioè divenisse in Cristo figlio nel Figlio. Ora chi è generato ha la stessa natura di chi lo ha generato: l’uomo è stato creato perché divenisse partecipe della stessa Vita di Dio , in Cristo. "A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo Nome, i quali non da sangue, né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati" (Gv. 1,12-13).
Quando è stato chiaro per l’uomo che questo era il senso della storia? Nel momento in cui il Figlio di Dio divenne figlio dell’uomo, perché in quello stesso momento l’umanità diveniva partecipe della stessa Vita di Dio.
L’insidia più grave che assedia il nostro umano desiderio di beatitudine, quello di pensare che "il divenire [del tempo] non ha uno stato finale, non sfocia in un essere"; il rischio più drammatico che mina l’esercizio della nostra libertà, quello di vivere ogni momento come privo di un senso vero, sono vinti solo nella fede e nella speranza cristiana. Nella fede cristiana perché afferma che nel ventre di Maria, l’eternità si è insediata dentro al tempo; nella speranza cristiana, "se [sei] figlio, sei anche erede": erede della vita eterna.
Il Vangelo narra l’esperienza di chi per primo, nell’umanità, fece questa scoperta. Non furono i sacerdoti: essi si accontentarono di leggere le Scritture ai Magi che li interrogarono. Non furono i filosofi: essi avrebbero detto che è semplicemente assurdo il pensare che un Dio possa essere concepito da una donna. Non furono i politici: essi misurano il valore di una persona dal potere di cui dispone. Non furono i benpensanti: ci basta essere uomini e ne avanza, perché "il troppo storpia". Furono i pastori: semplicemente "andarono senza indugio…". Loro non sono capaci di pensare: sono capaci solo di udire e di vedere. E "se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro".
2. L’istante in cui il Verbo è concepito da una donna diviene il metro con cui misurare tutto il tempo, che ormai verrà misurato come "prima della nascita di Cristo" o "dopo la nascita di Cristo". Ma quell’istante è misura in un senso più profondo: quell’avvenimento è il crocevia obbligato della salvezza dell’uomo. La nostra libertà è chiamata a credere in Lui o non credere: non c’è via d’uscita, poiché volerlo evitare è già rifiutarlo. E questa scelta è fatta nel tempo, nell’istante. Ogni istante che ci è dato di vivere, racchiude la possibilità della salvezza eterna: è misurato dal peso dell’eternità. E’ questo il valore supremo della nostra libertà e quindi del tempo in cui viviamo.
Carissimi fratelli e sorelle, concluderemo la celebrazione dei divini misteri con questa preghiera: "con la forza del sacramento ricevuto guidaci, Signore, alla vita eterna, perché possiamo gustare la gioia senza fine". Abitanti del tempo, siamo destinati all’eternità: l’Eucaristia, il cibo che è Cristo, è il viatico che ci guida verso la nostra definitiva dimora.
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