PRIMA DOMENICA DI AVVENTO (B)
28 novembre 1999 - Madonnina
E’ un momento carico di profondi significati quello che stiamo vivendo: con questa celebrazione eucaristica iniziamo un anno liturgico nuovo. Non è un anno liturgico come gli altri questo! Esso è l’anno del Giubileo: l’anno straordinariamente santo. Ogni anno liturgico è la celebrazione della vita, della morte e risurrezione del Signore Gesù. La Chiesa ci fa trascorrere il nostro tempo ricordando i misteri di Cristo [ciò che ha fatto e sofferto per noi], non come fatti ormai lontani e sepolti nel passato. Essi mantengono intatta la forza della salvezza: forza da cui veniamo toccati specialmente attraverso l’Eucaristia.
Tutto ciò è vero di ogni anno liturgico. Ma lo è particolarmente dell’anno che oggi iniziamo. Il Giubileo infatti non è che un anno in cui ci è dato di incontrarci in modo straordinario colla persona del Signore; di vivere questo incontro in modo che la nostra esistenza ne sia trasfigurata.
La prima tappa è costituita dal "tempo dell’Avvento" che dura quattro settimane. Quale è il significato che questo tempo ha per la nostra vita? e come quindi dobbiamo viverlo? Mettiamoci docilmente all’ascolto della Parola di Dio, perché essa dà la risposta a queste due domande.
1. "Tu, Signore, tu sei nostro padre; da sempre ti chiami nostro redentore". La parola di Dio oggi inizia col mettere sulle nostre labbra questa professione di fede: il Signore è legato al destino di ciascuno di noi e ciascuno di noi gli appartiene, in modo tale da non essere più in balia del caso o di oscure forze impersonali. "Da sempre ti chiami nostro redentore". Il termine "redentore" nella S. Scrittura ha un significato molto preciso. Quando un parente stretto cadeva in schiavitù, uno della famiglia doveva versare il prezzo del riscatto e così ridare libertà allo schiavo. Era il "redentore".
Il Signore Dio considera ciascuno di noi suo famigliare e chiamandosi da sempre "nostro redentore" Egli è impegnato a liberarci. Liberarci da che cosa? Riascoltiamo con molta attenzione la parola profetica.
"Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?… siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento". La situazione di schiavitù in cui versa l’uomo è descritta come un "vagabondaggio proprio di chi ha perso la strada", come un "indurimento del cuore che non riconosce più Dio", col risultato che il nostro essere è divenuto così "leggero da essere portato via dal vento". Carissimi fratelli e sorelle, non si poteva fare una descrizione più obiettiva della condizione dell’uomo di oggi: dell’insidia più subdola alla consistenza della nostra vita.
La nostra è la situazione di chi non riconoscendosi più dipendente da Dio nel suo essere e nel suo operare [= indurimento del cuore], l’uomo ha attribuito a se stesso una libertà sradicata da ogni verità. Questo uomo si è trovato così dentro alla vita, dentro alla regione dell’essere, senza più indicazioni: costretto sempre a navigare a vista, essendosi privato della certezza di un porto sicuro [= ci lasci vagare]. In questa condizione, l’uomo si è privato della capacità di scelta, della libertà di agire in senso forte: gli è rimasta solo la capacità di re-agire agli stimoli esterni od interni [= ci hanno portato via come il vento]. Schiavi del potente di turno.
Possiamo forse accontentarci di vivere in questa situazione? "Ma, Signore, tu sei nostro padre noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma; tutti noi siamo opera delle tue mani".
2. "Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro". In realtà Dio ha già posto fine al nostro vacuo vagabondare, ponendo dentro alla nostra vicenda umana un fatto nel quale è evidente la sua decisione di non lasciarci vagare lontano dalle sue vie ed indurire il cuore. Questo fatto è la presenza in mezzo a noi di Gesù. Veramente, come dice il profeta, orecchio non aveva mai udito ed occhio non aveva mai visto una cosa simile: che Dio stesso cioè venisse a condividere la nostra stessa condizione umana, perché non fossimo più cosa impura e tutti i nostri atti di giustizia come panno immondo. In Cristo, infatti, nessun dono di grazia più ci manca. Infatti, "se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con Lui?" (Rom. 8,31).
Avendo posto questo "segno", Dio – che è fedele – ci vuole portare giorno dopo giorno alla piena beatitudine con Lui. Come allora dobbiamo vivere la nostra vita di ogni giorno? La risposta è scritta nel Vangelo.
Nella breve pericope appena letta, ricorre tre volte lo stesso invito: "vegliate-vigilate". Vivere vigilando: che cosa significa? L’invito di Gesù è particolarmente urgente alla fine ormai del millennio. La vigilanza esclude il fanatismo apocalittico, così frequente anche ai nostri giorni. E’ l’attitudine di chi vive nell’attesa imminente, anzi spesso se ne computa la data precisa, di grandi eventi catastrofici che dovrebbero porre fine al mondo attuale, giudicato completamente sbagliato. Chi vigila, nel senso evangelico, sa che colla venuta di Gesù la fine è già arrivata, nel senso che già la storia in Lui è entrata nel possesso definitivo della vita di Dio e quindi a ciascuno di noi è chiesto di far venire questa novità. La scadenza del millennio è un’occasione per riscoprire il senso vero della storia con fiducia e responsabilità: che Cristo sia la pienezza della redenzione di ogni uomo e di tutto l’uomo. E di operare perché questa pienezza "avvenga" ogni giorno più: nella nostra vita e nella nostra città.
3. Carissimi fratelli e sorelle, oggi concludiamo la Visita pastorale. Vi lascio con questo grande pensiero donatoci dalla Parola di Dio: che l’Anno Santo ormai imminente sia in voi "avvento" - "venuta" della pienezza della vita in Cristo. Che il Vangelo si stabilisca fra voi "così saldamente, che nessun dono di grazia più vi manchi, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo".
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