FESTA DI CRISTO RE, ULTIMA DOMENICA DELL'ANNO LITURGICO
26 novembre 1995
1. “C’era anche una scritta, sopra il suo capo: questi è il re
dei giudei”. Figli e figlie carissime, lo Spirito Santo si degni Egli stesso
di istruirvi interiormente, dal momento che senza questa istruzione interiore
le mie parole percuoterebbero solamente le vostre orecchie. Grande infatti
è il Mistero che stiamo celebrando: il Mistero della regalità
di Cristo. Grande è il momento che stiano vivendo: è la conclusione
di un anno liturgico, del tempo santo cioè, durante il quale la
Chiesa celebra con sacro ricordo l’opera di salvezza del Cristo. Grande
è l’intenzione della nostra preghiera: per il nostro seminario,
la cosa più preziosa della nostra Chiesa.
Il Vangelo ci invita a portarci sul Calvario, a guardare il Re che
è sul suo trono: la Croce. Guardarlo come? La pagina evangelica
ci dice che sono possibili quattro modi di guardare il Re crocifisso: il
modo dei capi del popolo, dei soldati, di uno dei due malfattori e dell’altro
dei malfattori. Solo l’ultimo è il modo giusto: solo il quarto ci
libera dal potere delle tenebre e ci trasferisce nel Regno del Figlio Crocefisso.
Allora dobbiamo attentamente, amorosamente comprendere bene ognuno di questi
quattro modi.
Sia i capi del popolo, sia i soldati, sia uno dei due ladri gridano
al Crocifisso: “Salva te stesso” e la ragione per cui il Crocefisso
deve salvare se stesso è che deve dimostrare che è “il Cristo
di Dio” cioè una particolare appartenenza a Dio e che è “il
re dei Giudei” cioè qualcuno forte e potente. Dunque, i primi tre
modi di guardare il Re Crocefisso nascono tutti da una certezza: la salvezza
di se stessi è la dimostrazione della propria forza, l’affermazione
di se stessi è l’atto che manifesta la propria personalità:
regalità significa dominio; significa avere, potere, apparire. Se
il Crocefisso non dimostra di essere capace di salvare se stesso attraverso
una clamorosa manifestazione del suo potere, egli è - per i capi
- religiosamente un maledetto, politicamente - per i soldati - un impotente,
personalmente - per il ladro - un fallito. Capi, soldati e ladro hanno
guardato al Crocefisso misurando la sua Verità col metro delle aspettative
umane e non hanno capito più nulla. Così si sono preclusi
il passaggio dal potere delle tenebre al Regno del Figlio, alla partecipazione
della sorte dei santi nella luce.
Ma c’è anche un quarto modo di guardare al Crocefisso, quello
dell’altro ladro. Esso comincia dallo stupore di vederlo condannato alla
stessa pena, dallo stupore di vederlo condividere fino in fondo la nostra
condizione, di vederlo immerso nella nostra stessa miseria. Lo stupore
di fronte alla condivisione divina mi fa scoprire la verità della
mia ingiustizia: siamo colpevoli, abbiamo meritato di morire. “Egli invece
non ha fatto nulla di male”. Ed allora sorge la domanda ultima: perché
Egli è sulla croce? Per essere vicino all’uomo, coll’uomo anche
là dove si sente maledetto, disperato, solo nella sua morte e così
riportarlo nella vita. Guardando Gesù sulla croce, l’uomo scopre
chi è Dio e la salvezza. Egli è grazia, egli è solo
misericordia, Egli muore perché io possa vivere. “A stento si trova
chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi
ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo
amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo
è morto per noi “ (Rm. 5,7-8). Poveri noi se l’immagine vera di
Dio fosse stata quella pensata dai capi del popolo e dai soldati! Dio avrebbe
esibito la sua potenza ed io ne sarei rimasto ancora una volta spaventato,
allontanato forse: sarebbe rimasto ancora nel mio cuore la paura di Lui.
Ma guardando il Re Crocefisso nel modo giusto, vedo solo la debolezza,
l’umiltà di Dio: questa umiltà mi toglie ogni dubbio. Dio
è solo misericordia che in Cristo perdona e salva. Ed allora come
si conclude questo modo di guardare il Crocefisso? Ecco come: “Gesù
ricordati ...” L’uomo ormai ha il coraggio di chiamare il Re per nome.
E chiede solo di ricordarsi di Lui, poiché questa è la nostra
salvezza: che Dio non si dimentica mai di noi. “Si dimentica forse una
donna del suo bambino, così da non commuoversi per il Figlio delle
sue viscere? Anche se si dimenticasse, io non ti dimenticherò mai
di te” (Is. 49, 15) Per questo il salmista, stupito, dice: “che cosa è
l’uomo perché ti curi di lui, il figlio dell’uomo, perché
di lui ti ricordi?”. E la risposta di Dio: “Oggi...” “Tu ti eri allontanato
da me; son venuto a cercarti dove eri: nella morte, nella disperazione.
Ti ho trovato ed ora ti riporto nel mio Regno che è anche il tuo
Regno”.
2. “Ecco noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne”, dicono le tribù
d’Israele a Davide e perciò gli chiedono di essere il loro re.
Chi guarda il Crocifisso come lo ha guardato il buon ladrone, può
dire con ben più profonda verità: “ecco noi...” Siamo sue
ossa e sua carne, poiché Egli “ne è divenuto partecipe”,
ben sapendo che “i figli hanno in comune il sangue e la carne” (cfr.
Ebr. 2.14). Egli regna su di noi poiché colla sua Croce ha liberato
“quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per
tutta al vita” (ib.)
Entrando in questa Santa Chiesa, vi dicevo nella mia prima omelia: “guardiamo
unicamente a Lui ... il Cristo che dona se stesso sulla croce, il Cristo
che effonde il suo sangue per la remissione dei peccati”. Il Vangelo di
questa ultima domenica dell’Anno Liturgico ci ha insegnato come dobbiamo
guardare al Re Crocefisso. Dobbiamo guardarlo come lo ha guardato il buon
ladrone: convinti della nostra infinita miseria, Egli è l’infinita
misericordia del Padre che si ricorda di noi per introdurci nel suo Regno.
Noi oggi preghiamo per il Seminario: è il luogo in cui si preparano
coloro che aiuteranno la nostra comunità a guardare Cristo Crocefisso,
non altri o altro all’infuori di Lui, come lo ha guardato il buon ladrone,
perché sia glorificata la misericordia del Padre. Amen
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