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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


FESTA DI CRISTO RE, ULTIMA DOMENICA DELL'ANNO LITURGICO
26 novembre 1995

1. “C’era anche una scritta, sopra il suo capo: questi è il re dei giudei”. Figli e figlie carissime, lo Spirito Santo si degni Egli stesso di istruirvi interiormente, dal momento che senza questa istruzione interiore le mie parole percuoterebbero solamente le vostre orecchie. Grande infatti è il Mistero che stiamo celebrando: il Mistero della regalità di Cristo. Grande è il momento che stiano vivendo: è la conclusione di un anno liturgico, del tempo santo cioè, durante il quale la Chiesa celebra con sacro ricordo l’opera di salvezza del Cristo. Grande è l’intenzione della nostra preghiera: per il nostro seminario, la cosa più preziosa della nostra Chiesa.
Il Vangelo ci invita a portarci sul Calvario, a guardare il Re che è sul suo trono: la Croce. Guardarlo come? La pagina evangelica ci dice che sono possibili quattro modi di guardare il Re crocifisso: il modo dei capi del popolo, dei soldati, di uno dei due malfattori e dell’altro dei malfattori. Solo l’ultimo è il modo giusto: solo il quarto ci libera dal potere delle tenebre e ci trasferisce nel Regno del Figlio Crocefisso. Allora dobbiamo attentamente, amorosamente comprendere bene ognuno di questi quattro modi.
Sia i capi del popolo, sia i soldati, sia uno dei due ladri gridano al Crocifisso: “Salva te stesso”  e la ragione per cui il Crocefisso deve salvare se stesso è che deve dimostrare che è “il Cristo di Dio” cioè una particolare appartenenza a Dio e che è “il re dei Giudei” cioè qualcuno forte e potente. Dunque, i primi tre modi di guardare il Re Crocefisso nascono tutti da una certezza: la salvezza di se stessi è la dimostrazione della propria forza, l’affermazione di se stessi è l’atto che manifesta la propria personalità: regalità significa dominio; significa avere, potere, apparire. Se il Crocefisso non dimostra di essere capace di salvare se stesso attraverso una clamorosa manifestazione del suo potere, egli è - per i capi - religiosamente un maledetto, politicamente - per i soldati - un impotente, personalmente - per il ladro - un fallito. Capi, soldati e ladro hanno guardato al Crocefisso misurando la sua Verità col metro delle aspettative umane e non hanno capito più nulla. Così si sono preclusi il passaggio dal potere delle tenebre al Regno del Figlio, alla partecipazione della sorte dei santi nella luce.
Ma c’è anche un quarto modo di guardare al Crocefisso, quello dell’altro ladro. Esso comincia dallo stupore di vederlo condannato alla stessa pena, dallo stupore di vederlo condividere fino in fondo la nostra condizione, di vederlo immerso nella nostra stessa miseria. Lo stupore di fronte alla condivisione divina mi fa scoprire la verità della mia ingiustizia: siamo colpevoli, abbiamo meritato di morire. “Egli invece non ha fatto nulla di male”. Ed allora sorge la domanda ultima: perché Egli è sulla croce? Per essere vicino all’uomo, coll’uomo anche là dove si sente maledetto, disperato, solo nella sua morte e così riportarlo nella vita. Guardando Gesù sulla croce, l’uomo scopre chi è Dio e la salvezza. Egli è grazia, egli è solo misericordia, Egli muore perché io possa vivere. “A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi “ (Rm. 5,7-8). Poveri noi se l’immagine vera di Dio fosse stata quella pensata dai capi del popolo e dai soldati! Dio avrebbe esibito la sua potenza ed io ne sarei rimasto ancora una volta spaventato, allontanato forse: sarebbe rimasto ancora nel mio cuore la paura di Lui. Ma guardando il Re Crocefisso nel modo giusto, vedo solo la debolezza, l’umiltà di Dio: questa umiltà mi toglie ogni dubbio. Dio è solo misericordia che in Cristo perdona e salva. Ed allora come si conclude questo modo di guardare il Crocefisso? Ecco come: “Gesù ricordati ...” L’uomo ormai ha il coraggio di chiamare il Re per nome. E chiede solo di ricordarsi di Lui, poiché questa è la nostra salvezza: che Dio non si dimentica mai di noi. “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il Figlio delle sue viscere? Anche se si dimenticasse, io non ti dimenticherò mai di te” (Is. 49, 15) Per questo il salmista, stupito, dice: “che cosa è l’uomo perché ti curi di lui, il figlio dell’uomo, perché di lui ti ricordi?”. E la risposta di Dio: “Oggi...” “Tu ti eri allontanato da me; son venuto a cercarti dove eri: nella morte, nella disperazione. Ti ho trovato ed ora ti riporto nel mio Regno che è anche il tuo Regno”.

2. “Ecco noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne”, dicono le tribù d’Israele a Davide e perciò gli chiedono di essere il loro re.
Chi guarda il Crocifisso come lo ha guardato il buon ladrone, può dire con ben più profonda verità: “ecco noi...” Siamo sue ossa e sua carne, poiché Egli “ne è divenuto partecipe”, ben sapendo che “i figli hanno in comune il sangue e la carne”  (cfr. Ebr. 2.14). Egli regna su di noi poiché colla sua Croce ha liberato “quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta al vita” (ib.)

Entrando in questa Santa Chiesa, vi dicevo nella mia prima omelia: “guardiamo unicamente a Lui ... il Cristo che dona se stesso sulla croce, il Cristo che effonde il suo sangue per la remissione dei peccati”. Il Vangelo di questa ultima domenica dell’Anno Liturgico ci ha insegnato come dobbiamo guardare al Re Crocefisso. Dobbiamo guardarlo come lo ha guardato il buon ladrone: convinti della nostra infinita miseria, Egli è l’infinita misericordia del Padre che si ricorda di noi per introdurci nel suo Regno.
Noi oggi preghiamo per il Seminario: è il luogo in cui si preparano coloro che aiuteranno la nostra comunità a guardare Cristo Crocefisso, non altri o altro all’infuori di Lui, come lo ha guardato il buon ladrone, perché sia glorificata la misericordia del Padre. Amen