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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


XXVI DOMENICA PER ANNUM (C)
Cattedrale di Ferrara 26 settembre 1998

1. “Cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni”. La parola di Dio oggi ci svela ancora una volta il destino, la meta finale della nostra esistenza: la vita eterna. Scrive un Padre della Chiesa: “questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere l’onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo, il Signore tuo Dio” (G. Cipriano, Ep. 56,10; cfr. CCC 1028). A questa vita “sei stato chiamato”: non sei venuto al mondo per caso o per chissà quale oscura necessità, ma perché il Padre che è nei cieli ti ha chiamato alla vita eterna. Dunque: nessuno di noi viene dal nulla, perché è stato pensato e voluto dal Padre; nessuno di noi è stato destinato al nulla, perché è stato chiamato alla vita eterna.
 Nello stesso tempo, però, l’apostolo ci dice: “cerca di raggiungere la vita eterna”. La chiamata di Dio si incontra colla nostra libertà. La partecipazione alla sua vita non è certamente il risultato dei nostri sforzi e non è alla portata dell’uomo, dal momento che – ci insegna ancora l’apostolo – il Signore è “il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere”. Ma lo stesso Signore chiede alla nostra libertà di corrispondere alla chiamata alla vita eterna, di accogliere in suo dono. Tutto è gioia; tutto è solo misericordia: ma grazia e misericordia possono essere vanificate dalla nostra libertà (cfr. 1Cor. 15,10). E’ questo il «nucleo essenziale» della nostra storia quotidiana: la sua misteriosa, drammatica grandezza. E’ una trama intessuta da due fili: la chiamata del Padre alla vita eterna e la risposta della nostra persona alla sua grazia. In questo senso l’apostolo dice questa sera a ciascuno di noi: “cerca  di raggiungere  la vita eterna”. A lui fa eco anche l’apostolo Pietro che insegna: “fratelli, cercate di rendere sempre più sincera [con le opere buone: volg.] la vostra vocazione e la vostra elezione … Così infatti vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo” (2Pt. 1,10-11).

2. “Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali: ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti”. Nella luce con cui la parola di Dio illumina il mistero del significato ultimo della vita, diviene pienamente comprensibile la pagine del Vangelo. Essa la più radicale contestazione a quel gaio nichilismo che sta distruggendo completamente la vita umana, non solo cristiana, del nostro popolo.
 Per «gaio nichilismo» intendo l’attitudine di chi ritiene che colla morte finisca tutto perché ciascuno di noi muore tutto: di noi non resta nulla. Non siamo chiamati alla vita eterna, ma destinati alla morte eterna. E questo nostro destino non ci disturbi affatto: va semplicemente accettato, senza tanti drammi.
 Quale è il primo fondamentale insegnamento che ci viene dalla pagina evangelica? Questo: la condizione in cui ti trovi a vivere ora, prima della morte, non è quella definitiva. La vera, definitiva condizione in cui dovrai vivere per sempre comincia dopo la morte. La pagina del Vangelo esprime tutto questo in modo provocatorio: il ricco entra in una condizione di immane sofferenza; il povero in una condizione di beatificante pienezza. Colla diversità che questa, cioè dopo la morte è la condizione definitiva: “tra noi e voi è stabilito un grande abisso …”.

3. E’ inevitabile che allora ci chiediamo da che cosa dipende la nostra definitiva condizione? Ancora una volta dobbiamo chiarire che il Padre ci ha destinati alla vita eterna: Egli non è neutrale nei confronti della nostra sorte definitiva. Egli vuole  che tutti siano salvati: se qualcuno si perdesse, di ciò deve attribuire solo a se stesso la responsabilità.
 “Ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento”: dice l’apostolo. Entrati nella comunione col Cristo mediante la fede, dobbiamo fare nostra regola di vita il comandamento del Signore. Quale è il comandamento del Signore? “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv. 13,34). La pagina del Vangelo vuole anche dirci questo: l’indifferenza di chi ha verso chi non ha, l’egoismo superbo di chi possiede verso chi non possiede porta l’uomo alla perdizione eterna. La paura della condivisione genera la morte eterna.

 Fratelli e sorelle: celebrando l’Eucarestia, noi siamo orientati alla nostra meta finale. La celebriamo infatti “nell’attesa della Sua venuta”: in attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore”. Celebrando l’Eucarestia partecipiamo al sacrificio di Cristo: “Cristo crocefisso rivela il senso autentico della libertà, lo vive in pienezza nel dono totale di sé e chiama i discepoli a prendere parte alla sua stessa libertà” (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Veritatis splendor  85 in fine)