ASCENSIONE DEL SIGNORE
Cattedrale di Ferrara 24 maggio 1998
1. “Cristo … non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo,
ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore”.
Queste parole che avete ascoltato nella seconda lettura, ci svelano interamente
il mistero dell’Ascensione al cielo del Signore. Benché l’evangelo
lo descriva come un movimento dalla terra al cielo (“si staccò da
loro e fu portato verso il cielo”), in realtà il mistero che oggi
noi celebriamo consiste nel perfetto cambiamento, nella perfetta trasformazione
dell’umanità di Cristo. La sua Ascensione è l’ingresso della
umanità di Cristo nella sua definitiva condizione.
La sera prima della sua morte, Gesù aveva pregato il Padre
nel modo seguente: “Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera
che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella
gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Gv 17,4). Questa
preghiera è stata esaudita nella ascensione al cielo, cioè
nel momento in cui anche il corpo e l’anima umani del Verbo sono
introdotti nella piena partecipazione della vita e gloria divina. Questa
partecipazione col nostro linguaggio viene descritta come “passaggio dalla
terra al cielo”, “ascensione al cielo”, dal momento che il contrasto fra
la povertà della nostra condizione umana e la gloria della condizione
divina viene raffigurata dalla distanza fra terra e cielo. Oggi, dunque,
celebriamo la gloria di Cristo risorto. La sua risurrezione non è
il semplice ritorno alla vita di prima, ancora mortale. E’ una trasformazione
che rinnova interamente la sua condizione umana: rinnovamento così
profondo che dobbiamo parlare di «nuova creazione» e di «uomo
nuovo» (cfr. 2Cor 5,17; Gal 6,15; Ef 2,15; 4,24; col 3,10).
E’ per questo che gli apostoli, ci narra il Vangelo, “tornarono a Gerusalemme
con grande gioia”: essi poterono vedere che davvero il Cristo crocefisso
e sepolto era il Signore vivente in eterno.
2. “Avendo, dunque, fratelli, piena libertà di entrare nel santuario
… per questa via nuova e vivente che Egli ha inaugurato per noi … accostiamoci
con cuore sincero”. Dopo aver descritto il mistero dell’ascensione al cielo
in quanto avvenimento riguardante Gesù, ora la Parola di Dio parla
di noi: di ciascuno di noi. Il mistero che oggi celebriamo non celebra
solo la gloria di Cristo, ma celebra anche di conseguenza la gloria della
nostra persona: è la nostra condizione esistenziale che oggi è
radicalmente cambiata. Perché? Perché oggi Egli ha inaugurato
per noi una via nuova e vivente. Che cosa significa tutto questo?
Innanzi tutto, Cristo oggi ci rivela l’ampiezza insospettata
del nostro destino: in Cristo venuto in possesso della stessa vita divina
nel suo corpo umano, l’uomo scopre tutta la misura, tutta l’ampiezza della
sua possibilità. “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato
siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria”
(Gv 17,24). Oggi il Vangelo viene annunciato all’uomo interamente. Poiché
questo è il Vangelo: l’annuncio fatto all’uomo che egli è
destinato non alla morte, ma alla vita; l’annuncio fatto all’uomo che il
suo destino è la perfetta beatitudine; è la risposta definitiva
alla domanda: «ma che cosa ho il diritto di sperare dalla vita?».
Hai da oggi il diritto di sperare nella vita eterna.
Ma non solo Cristo oggi ci rivela l’ampiezza insospettata del
nostro destino. Egli ci offre in se stesso la possibilità concreta
di raggiungerlo, “per questa via nuova e vivente che Egli ha inaugurato
per noi”. L’impotenza delle nostre aspirazioni a realizzarsi, la contraddizione
che abita dentro alla nostra vita quotidiana fra la nostra finitudine e
la illimitatezza del nostro desiderio, non ci spingono a ritagliare i nostri
desideri sulla misura delle nostre possibilità. Quella impotenza,
quella contraddizione sono risolte oggi nel mistero dell’ascensione al
cielo di Gesù: Egli oggi è diventato la via nuova e vivente,
percorrendo la quale, noi possiamo adempiere in pienezza la nostra umanità
in Dio. “E’ apparso dunque per noi davanti al Padre come uomo, per ripresentare
a Lui noi, che per l’antica prevaricazione eravamo stati allontanati dal
suo volto. Si è assiso come Figlio, affinché noi pure sedessimo
come figli … per ciò Paolo … insegna che le cose avvenute a titolo
speciale nei riguardi di Cristo sono comuni alla nostra natura umana” (Cirillo
d’Alessandria, Commento al Vangelo sec. Giovanni, lib. IX).
3. “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza”.
La risposta vera al mistero della glorificazione di Cristo e nostra è
la speranza cristiana. Essa ha un oggetto preciso: “entrare nel santuario”.
Essa ha una sola ragione di essere: “perché è fedele colui
che ha promesso”.
Ed allora il mistero dell’Ascensione al cielo è la vera,
provocatoria sfida all’allegro nichilismo contemporaneo. Esso nasce, quando
l’uomo non è più capace di custodire l’intera misura del
desiderio che abita nel suo cuore, e si accontenta dell’istante; quando
l’uomo non è più capace di dare significato intero ad ogni
frammento della sua vita; quando il vivere diventa come un navigare “a
vuoto”: senza bussola che orienti, senza mete cui approdare.
L’ascensione al cielo di Gesù è la “dimostrazione”
che il “meglio che possiamo sperare non è che non vada peggio”;
“dimostra” che il nostro agitarsi non finisce in un nulla che le nostre
forze non possono evitare. L’ascensione è l’affermazione della indistruttibile
positività del nostro destino finale.
“Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza”,
pronti a renderne ragione. Questa speranza introduce il grande ed il sublime
anche nei gesti più umili della nostra vita quotidiana, se questa
percorre “la via nuova e vivente che Egli ha inaugurato per noi”.
|