Omelia per la festa di S. Giorgio
Cattedrale di Ferrara
23 aprile 1998
La solenne memoria del nostro santo patrono, il
martire S. Giorgio, ci riporta alle sorgenti della nostra comunità
cristiana e civile. La scelta che i nostri padri hanno fatto, di porre
città e chiesa, sotto il patronato di un martire custodisce intatto
il suo significato profondo, anche per i nostri giorni. Ed è scelta
che offre fondamentali criteri di giudizio sul nostro operare. Quale è
questo significato e quali sono questi criteri?
1. “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno
potere di uccidere l’anima”. In queste parole evangeliche troviamo la definizione
stessa del martirio, come supremo atto di fortezza del discepolo di Cristo.
Messo nella necessità di dover scegliere fra l’essere uccisi nel
corpo e l’essere uccisi nell’anima, il martire non ha avuto dubbi: ha scelto
di essere ucciso piuttosto che vivere, tradendo le ragioni per cui vale
la pena di vivere. Non è il morire come tale che fa il martire,
ma la causa per cui il martire viene ucciso [“martyres non facit poena,
sed causa”, dice Agostino (cfr. En. in ps. 34,13)]. “Chi mi riconoscerà
davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio
che è nei cieli”: il martire viene ucciso a causa di Cristo. Egli
è esposto al potere di questo mondo, al potere di quel mondo che
rifiuta di riconoscere che “la luce è venuta fra le tenebre” e che
la luce è la divina Persona di Gesù, Dio fattosi uomo. Lo
scontro, solitamente sotterraneo, fra il regno di Dio che viene dentro
alla nostra storia quotidiana e “i dominatori di questi mondo di tenebra”
(Ef 6,12), nel martire emerge in tutta la sua chiarezza inequivocabile.
E lo scontro è questo: “la luce è venuta nel mondo, ma gli
uomini hanno preferito le tenebre alla luce” (Gv 3,19). Il martire muore,
viene ucciso a causa di questa scelta preferenziale delle tenebre nei confronti
della luce, fatta dal mondo.
So che il martirio è la “messa in evidenza” di ciò che
quotidianamente accade nella storia, il martirio non è privilegio
di alcuni. Ogni discepolo di Cristo è chiamato al martirio. Presentando
infatti l’esistenza cristiana, l’apostolo nella seconda lettura parla di
tribolazioni, di pazienza, di virtù provata (messa alla prova).
E’ un insegnamento fra i più chiari sul fatto che l’esistenza cristiana
è un “caso serio”. La testimonianza del cristiano prende in consegna
tutta la sua vita. Cristo l’ha detto in modo inequivocabile: chi non pospone
tutto a Lui, anche la vita, non è degno di Lui.
In questa prospettiva, tutta la vita del discepolo deve essere un morire
a se stesso, per vivere per Cristo. L’impegno della vita in totale e la
testimonianza del sangue non sono affatto distinguibili. Il martirio non
è tanto una questione di morte, ma piuttosto una questione che riguarda
ogni istante della nostra vita. In questo senso, ogni cristiano è
chiamato al martirio.
Questa identità del cristiano, alla quale il nostro martire
oggi ci richiama, non deve essere intesa come un dovere, pesante e terribile,
che il discepolo si sente imposto dall’esterno. “La carità di Dio
è stata effusa nei nostri cuori ...” La nostra esistenza deve lasciarsi
espropriare dall’amore di Dio, rivelatosi in Cristo, e che lo Spirito ci
fa ulteriormente sentire: lasciarci conformare all’amore di Cristo, che
giunse fino al dono della vita.
Qui scopriamo la vera natura del martirio cristiano. Il martire cristiano
non muore per un’idea, sia pure assai elevata, per la dignità dell’uomo,
la libertà, la solidarietà con gli oppressi. Egli muore con
Qualcuno, Cristo, che è già morto e risuscitato per lui.
E questa è la nostra vocazione di cristiani.
Ecco, fratelli e sorelle: nella luce del mistero eucaristico che stiamo
celebrando, la memoria della morte di Cristo, vediamo lo splendore del
martirio cristiano e della testimonianza che ogni credente, radicandosi
nell’Eucarestia, è chiamato a donare.
2. Ed è splendore, quello del martire, che guida anche i nostri
passi incerti, i nostri sofferti tentativi di costruire anche una degna
abitazione terrena: degna, dico, dell’uomo.
Dal martirio infatti vengono a noi tre luminosi orientamenti per la
nostra convivenza umana.
- Esiste una distinzione netta fra ciò che è bene e ciò
che è male; una distinzione questa che non è la stessa che
quella fra ciò che è utile e ciò che è dannoso,
fra ciò che è piacevole e ciò che è spiacevole.
“Vi sono comportamenti concreti che è sempre sbagliato scegliere,
perché la loro scelta comporta un disordine morale” (CChC1761).
Richiamandoci a questa basilare evidenza etica, il martire ci insegna che
non compete a noi di far trionfare la giustizia nella società; a
noi è chiesto solo di agire con giustizia: il resto deve essere
lasciato alla Provvidenza di Colui che conta perfino tutti i capelli del
capo.
- Il secondo orientamento allora che ci viene dal martirio, è
che non tutto è contrattabile, che esistono valori che non hanno
prezzo e che non possono essere oggetto di scambio e di trattative. Troviamo
qui una delle cause più profonde della disintegrazione delle comunità
umane, a cui assistiamo. Comunità frantumate sotto un martello che
va sbriciolando ogni tessuto connettivo spirituale, poiché – dimenticando
l’insegnamento del martire – riteniamo che tutto l’umano, tutti i contenuti
della nostra umanità siano frutti di convenzioni sociali. I richiami
alla solidarietà sono sterili, se non si ricupera la consapevolezza
che esiste una immutabile verità della persona della quale ciascuno
di noi è partecipe. La consapevolezza che questo è il nostro
primo e vero bene comune: la nostra umanità.
- Infine, allora, il martire è il maestro della vera libertà:
Egli ci insegna che cosa significa essere veramente liberi: assoggettarsi
alla verità, e solo alla verità della nostra persona umana.
Il martire viene ucciso perché rifiuta di assoggettarsi ad un potere
diverso da quello che trova la sua giustificazione nel giudizio della
coscienza morale. L’educazione alla vera libertà dei nostri giovani
è ciò che ci chiede il nostro martire, in primo luogo, se
vogliamo assicurare un futuro alla nostra città.
E’ questo futuro che noi questa sera a Lui affidiamo: la memoria del
martire nostro patrono sia custode vigile della grandezza, della bellezza
della nostra città: perché non sia dilapidata! Vigili colla
sua protezione sui nostri bimbi, perché sappiamo preparare loro
una città sempre più abitabile. La forza della sua testimonianza
ricordi ai nostri giovani la grandezza e le esigenze della vera libertà;
la memoria del suo martirio custodisca chi governa la nostra comunità
nel vero servizio al bene comune. La sua preghiera ottenga a tutti noi
di vivere giorni sereni e tranquilli, in dignità e sicurezza.
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