OMELIA DEL MANDATO AI MISSIONARI
Cattedrale Ferrara
22 marzo 1998
La pagina del Vangelo appena proclamata ci svela fino in fondo il significato
di questa celebrazione. Il mandato che vi viene affidato, carissimi fratelli
e sorelle missionari, si inscrive dentro un evento di grazia e di misericordia,
che ha come protagonisti il Padre e la persona umana. Quale è questo
evento di grazia e di misericordia? In che senso il vostro mandato si inscrive
in esso?
1. L’evento di grazia e di misericordia è la reintegrazione dell’uomo
nella sua dignità, il ritorno dell’uomo alla verità su se
stesso: dono della sola misericordia del Padre. E’ la salvezza di un bene
fondamentale, del bene fondamentale di ogni persona: la sua umanità
chiamata a vivere col Padre. La pagina evangelica è la narrazione
di questo avvenimento.
Se si parla di “salvezza di un bene fondamentale”, di “reintegrazione
nella dignità perduta”, vuol dire che l’uomo ha perduto quel bene,
il bene della sua umanità; ha degradato e deturpato lo splendore
della sua dignità. Ciò è accaduto quando ha detto:
“padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta”; quando, in conseguenza
di questa richiesta, “raccolte le sue cose, partì per un paese lontano”.
Richiesta del proprio patrimonio e partenza per un paese lontano, lontano
s’intende dalla casa paterna, sono le due dimensioni di una stessa scelta:
separarsi dal Padre per poter disporre autonomamente di se stesso . Il
patrimonio richiesto era in primo luogo la possibilità di vivere
senza il Padre, fuori della sua casa e quindi della comunione con Lui,
“in un paese lontano”.
E’ chiaro: questa è la vicenda di ogni uomo che sente l’appartenenza
al Padre come una schiavitù, l’aver origine da Lui come non-essere
di se stessi. E’ tutta la vicenda della cultura in cui viviamo: tentare
di costruire una vita che prescinda dal Padre, che sia vissuta “fuori della
Sua (del Padre) casa”. E’ stata in larga misura la vicenda di questa nostra
città: il tentativo di sradicarla dal suo terreno proprio, di portarla
“fuori della sua casa propria”.
Ma che cosa è successo al figlio della parabola, all’uomo di
oggi, alla nostra città? “E là sperperò le sue sostanze
vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una
grande carestia… allora andò e si mise al servizio”. E’ accaduto
che quel patrimonio ricevuto, non potendo durare a lungo, venne presto
dilapidato interamente. Il patrimonio che è la tua umanità,
il patrimonio che è la tua appartenenza al Padre e la tua derivazione
dal Padre, una volta staccato dalla sua Origine, è destinato a terminare.
Patrimonio della tua umanità è la tua ragione. Staccatasi
dalla Luce che è la Verità divina, essa ha voluto essere
la misura della realtà, anziché essere misurata dalla
realtà. Ed ora l’uomo si trova prigioniero di un relativismo che
ha estenuato in lui ogni passione per la verità. Patrimonio della
tua umanità è la tua libertà. Negata la dipendenza
propria di chi vive nella casa del Padre, nell’ordine cioè della
sua Sapienza (ordo Sapientiae) e del suo Amore (ordo Amoris), la libertà
ha finito col concedersi ad un permissivismo che genera solo noia, divenuta
incapace di narrare una qualsiasi storia che abbia un senso. Veramente:
“là” – nel paese lontano dalla casa paterna – “sperperò le
sue sostanze” – le sostanze della sua dignità, la sua ragione, la
sua libertà, la sua capacità di amare – “allora andò
e si mise al servizio”. Come non sarà servo del padrone, del potente
di turno colui nel quale si è estinta la passione per la verità,
nel quale è scomparso il gusto per la libertà, nel quale
la gioia dell’amore si è mutata nella febbre insaziabile del possesso?
“Nessuno di noi può uscire dalla considerazione di essere figlio.
Ogni tentativo di mettere in secondo piano o di negare questa relazione
finisce per uccidere la nostra identità: l’uomo scopre se stesso
quando scopre di essere rapporto con un Tu che gli ha donato la vita e
da cui dipende originariamente”. Non c’è libertà senza appartenenza.
2. L’evento di grazia e di misericordia che stiamo celebrando è
la reintegrazione di questo uomo nella sua dignità, è il
ritorno di questo alla verità su se stesso. Come è possibile
questa reintegrazione e questo ritorno? Esso è possibile a causa
della misericordia del Padre: la Grande Missione è la celebrazione
della misericordia del Padre, e quindi della reintegrazione dell’uomo della
nostra città nella pienezza della sua dignità.
La misericordia del Padre è in primo luogo la fedeltà
alla sua paternità: Egli non potrà mai rinunciarvi. “Come
potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele … il mio
cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non
darò sfogo all’ardore della mia ira … perché sono Dio
e non uomo” (Os 11, 8-9). La Grande Missione nasce dalla commozione che
il Padre sente dentro di Sé, dal fremito di compassione che pervade
il Suo intimo. La dignità del figlio è un bene che non può
essere abbandonato, deve essere ricercato: se così non fosse, Dio
non sarebbe più fedele alla sua paternità. “La fedeltà
del Padre a se stesso è totalmente incentrata sull’umanità
del figlio perduto, sulla sua dignità” (Giovanni Paolo II, Lett.
Enc. Dives in misericordia 6; EV 7, pag. 817).
L’amore che scaturisce dalla fedeltà del Padre, dall’essenza
stessa della sua paternità, prende corpo nella sollecitudine per
la dignità del figlio: “quando era ancora lontano, il Padre lo vide
e commosso gli corse incontro”. Prende corpo nel perdono che è l’abbraccio
del Padre al figlio riammesso interamente alla comunione di vita e di affetto:
“gli si gettò al collo e lo baciò”.
“Egli ti corre incontro, perché ti ascolta mentre stai riflettendo
tra te e te nel segreto del cuore. E quando ancora sei lontano, ti vede
e si mette a correre. Egli vede nel tuo cuore, accorre perché nessuno
ti trattenga, e per di più ti abbraccia. Nel correre incontro c’è
la sua prescienza, nell’abbraccio la sua clemenza e direi quasi la viva
sensibilità dell’amore paterno. Gli si getta al collo, per sollevare
chi giaceva a terra, e per far sì che chi era già oppresso
dal peso dei peccati e chino verso le cose terrene, rivolgesse nuovamente
lo sguardo al Cielo, ove doveva cercare il proprio creatore. Cristo ti
si getta al collo, perché vuol toglierti dalla nuca il giogo della
schiavitù e imporre sul tuo collo un dolce giogo.” (S. Ambrogio,
Esposizione del Vangelo secondo Luca, Milano Biblioteca Ambrosiana, Roma
Città Nuova Editrice 1978, vol. II, pag. 269).
Ecco: il figlio è stato reintegrato nella pienezza della sua
dignità: è ritornato ad essere il figlio del Padre. Ha ritrovato
la sua libertà, perché ha riscoperto e ritrovato la sua appartenenza.
3. Il mandato che è a voi affidato si inscrive in questo straordinario
evento: il più grande che possa accadere sulla terra se per esso
fanno festa anche gli angeli in cielo.
A voi, a ciascuno di voi, è data la forza dall’alto, perché
siate il segno di quel fremito di compassione che pervade il cuore del
Padre per ogni uomo e donna che incontrerete. Voi infatti, donando il S.
Vangelo, porterete con umile semplicità l’annuncio che la
sala del banchetto è pronta, che la tavola è già preparata:
“il cibo del Padre è la nostra salvezza, e la gioia del Padre è
il riscatto dei nostri peccati” (S. Ambrogio). Nel Vangelo infatti è
narrata la misericordia di Dio.
Sia in voi l’umile ma incrollabile certezza che fungerete da ambasciatori
per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo vostro. Siete il segno che
Dio non gode della morte del peccatore, ma che si converta e viva.
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