VI DOMENICA PER ANNUM (A)
14 febbraio 1999
1. “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti;
non sono venuto per abolire, ma per dare compimento”. Domenica scorsa Gesù
ha definito la posizione dei suoi discepoli nel mondo: siamo la luce del
mondo e pertanto siamo chiamati a risplendere in modo tale che chi non
è credente, vedendo le nostre opere buone, sia costretto quanto
meno a porsi la domanda religiosa, a dare gloria a Dio.
Il brano evangelico è una continuazione logica: stando
così le cose, essendo questa la vostra posizione nel mondo, voi
non potete pensare “che io sia venuto ad abolire la legge e i Profeti”.
«Legge e Profeti» qui ha il significato preciso di manifestazione
della volontà divina in quanto norma obbligante la nostra libertà.
Anzi, dice il Signore, «non solo non sono venuto ad abolire questa
norma, ma sono venuto a dare di essa un compimento perfetto». Questo
testo evangelico ci istruisce su un punto centrale non solo dell’interpretazione
cristiana della vita, ma di un’interpretazione che voglia essere semplicemente
ragionevole. Si tratta di sapere la risposta vera alla seguente domanda:
come devo esercitare la mia libertà? E la risposta che da la pagina
evangelica odierna si pone come un «crinale» fra due opposti
errori:
Già l’apostolo Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi
(6,12) riferisce che esistevano dei cristiani i quali precisamente ritenevano
che Gesù era venuto ad abolire la Legge e i Profeti, e che pertanto
tutto fosse lecito. Si cercava già allora di giustificare un’esercizio
della propria libertà sradicato da qualsiasi esigenza morale. Pur
avendo perso ogni pseudo-giustificazione evangelica, questa concezione
della libertà sradicata da qualsiasi differenza obiettiva fra bene
e male, è diventata dominio comune. La pagina del Vangelo rifiuta
in primo luogo questa concezione della libertà. La Legge e i Profeti
non possono essere aboliti, perché semplicemente non può
essere abolita la distinzione fra bene/male, giusto/ingiusto, virtù/vizio.
Ed attraverso la sua Parola, Dio ha voluto insegnarci la verità
sul bene e sul male (cfr. prima lettura)
Ma questo non è il solo errore che Gesù oggi rifiuta.
Ne esiste un altro. Quello in cui erano caduti alcuni contemporanei di
Gesù e che indichiamo colla qualificazione di «fariseismo».
E’ l’attitudine di chi riduce l’esercizio della propria libertà
all’osservanza di regole di cui in fondo non se ne capisce lo spirito:
è l’osservanza esteriore che non esprime un convincimento interiore.
A questi Gesù dice: “se la vostra giustizia non supererà
quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”.
Dunque, in rapporto alla legge morale, Cristo non è venuto
né per dissolvere, né semplicemente per confermare: è
venuto a “dare compimento” così perfetto che in Lui e mediante Lui,
la nostra giustizia sarà superiore. Ed in questo consiste l’originalità
propria della fede cristiana.
“Non liberi di obbedire o non obbedire, ma resi capaci di un
nuovo agire in conformità con la Parola, in forza dello Spirito
Santo che trasforma il nostro intimo sentire e ci investe con la potenza
stessa di Dio… Ora il rapporto con la legge di Dio è totalmente
diverso: nella nuova libertà che ci è data, di figli, la
legge è lo strumento delle nostre opere buone, è la potenza
nuova di piacere a Dio”, perché il nostro cuore viene conformato
al volere del Padre che è nei cieli.
2. “Avete inteso che fu detto… Ma io vi dico”. Da questo momento
in poi, Gesù inizia a spiegarci che cosa comporta la «nuova
giustizia» di cui il suo Spirito ci rende capaci.
Rispetto al «non uccidere», il più di Cristo
è la proibizione anche dell’insulto e dell’ira. Esso trova la sua
spiegazione ultima nella profondità della comunione fra le persone
posta in essere dal solo Pane di cui ci nutriamo, dal solo Sangue di cui
ci dissetiamo.
Rispetto al «non commettere adulterio», il più
di Cristo è la proibizione dello sguardo concupiscente che degrada
già la persona ad oggetto di godimento. Essa è motivata dal
fatto che il corpo della persona è tempio dello Spirito Santo.
E così via.
Il “di più” di Cristo è prima dono, e poi esigenza:
Egli ci ha ricostituiti nella piena dignità della nostra vocazione
originaria e quindi ci chiede di agire conformemente ad essa.
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