XV DOMENICA PER ANNUM
12 luglio 1998
Due sono i significati profondi di questa pagina del Vangelo, della
parabola del Samaritano. Questo racconto infatti narra in primo luogo la
vicenda stessa di Gesù: parla di Lui. In secondo luogo, questo racconto
parla di ciascuno di noi: provoca la nostra libertà. Ma per capire
bene questa pagina stupenda, dobbiamo fare molta attenzione al dialogo
fra Gesù e il dottore della legge, al botta-risposta fra i due.
In sostanza, il dotto della Legge pone a Gesù una domanda
che tutti noi ci portiamo dentro al cuore, una domanda indelebile per ogni
uomo: “che devo fare per avere la vita eterna?” E’ la domanda riguardante
il bene morale da praticare, il modo giusto cioè di essere liberi,
e il destino finale della nostra vita. Noi tutti abbiamo la certezza che
fra il nostro modo di essere liberi, il nostro agire, e la sorte eterna
della nostra persona esiste un legame inscindibile. Gesù lo rimanda
alla Legge rivelata da Dio e donata all’uomo: “che cosa sta scritto nella
Legge? Che cosa vi leggi?” Perché Gesù anziché rispondere
lo rimanda alla Legge? Perché Egli richiama così ad una verità
che è fondamentale per la nostra vita. “Solo Dio può rispondere
alla domanda sul bene, perché Egli è il Bene. Ma Dio ha già
dato risposta a questa domanda: lo ha fatto creando l’uomo e ordinandolo
con sapienza ed amore al suo fine, mediante la legge inscritta nel suo
cuore (cfr. Rom 2,15), la «legge naturale» (Veritatis splendor
12,1). Lo ha fatto poi insegnando ad Israele norme di vita, in particolare
dieci comandamenti. Ma giustamente, tutta la legge donataci dal Signore
si riassume interamente in questo: “amerai …”. E’ il riconoscimento di
Dio come Dio e della persona umana nel suo valore, nella sua dignità:
questo è tutto il bene.
Ed è a questo punto che l’interlocutore di Gesù,
fa una domanda singolare e strana: “e chi è il mio prossimo?” Cioè:
“quali sono le persone umane che io devo amare e quali sono le persone
umane che posso non amare?” A questo punto, Gesù racconta la storia
del Samaritano.
1. Essa prima di tutto parla di Lui stesso. Chi è quel “disgraziato”
che scendendo da Gerusalemme a Gerico, “incappò nei briganti che
lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto”?
Siamo ciascuno di noi. Siamo discesi da Gerusalemme a Gerico, poiché,
a causa del nostro peccato, siamo decaduti dalla nostra originaria dignità:
abbiamo perduto la grazia di essere figli di Dio, feriti dall’ignoranza
nella nostra ragione e dalla malizia nella nostra volontà.
“Un samaritano … ne ebbe compassione”. Qui è racchiuso
tutto il mistero della nostra redenzione, contemplato nella sua origine
divina. “Ne ebbe compassione”: Dio sente compassione dell’uomo; non resta
indifferente alla nostra degradazione; sente il male dell’uomo come il
suo proprio male; ne ebbe, appunto, compassione. E che cosa fa Iddio? “gli
si fece vicino”. Ecco tutto il mistero della compassione di Dio! Farsi
vicino all’uomo, facendosi Lui stesso uomo. “Si fece simile a noi avendo
preso sopra di sé la nostra compassione, e si fece vicino donandoci
la sua misericordia” (S. Ambrogio). “E si prese cura di lui”. Non solo
si fece uomo come noi, ma facendosi uomo ci ha ridonato il nostro antico
splendore. Ne ebbe compassione; gli si fece vicino; e si prese cura di
lui: ecco narrata l’intera vicenda del Figlio di Dio; ecco svelata l’intera
verità del suo amore per noi.
2. Gesù narra la storia del suo amore per noi, perché
uno gli aveva chiesto: “quali sono le persone umana che io devo amare e
quali sono le persone umane che posso non amare?”. Da questa storia, emerge
una risposta sconcertante: questa domanda non ha un senso; non esistono
persona umane che possono non essere amate. Cioè: non devi chiedere
chi è il mio prossimo, ma devi chiederti come divenire prossimo
di ogni persona. E la parabola ti insegna precisamente questo: come si
diviene prossimo di ogni persona.
Nei confronti di un altro noi possiamo avere uno dei seguenti
tre atteggiamenti.
- Atteggiamento dei “briganti”: “lo spogliarono, lo percossero
e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto”. E’ l’atteggiamento di chi
spoglia l’altro di ciò che è suo, della sua dignità,
dei suoi fondamentali diritti; di chi lo percuote in ciò che l’uomo
ha di più grande e più santo: i beni fondamentali della persona
umana.
- Atteggiamento del sacerdote e levita: “lo vide, passò
oltre dall’altra parte”. E’ l’atteggiamento di chi è indifferente
di fronte al male altrui: non lo riguarda. Egli passa oltre e dall’altra
parte: alla larga, non si sa mai! E’ l’indifferenza con cui il povero è
ascoltato, con cui è spesso trattato negli uffici pubblici; è
l’indifferenza con cui il povero è abbandonato al suo quotidiano
dramma.
- Atteggiamento del Samaritano: è di colui che sente compassione
dei bisogni altrui; se ne interessa, mettendoci del suo: del suo tempo,
del suo denaro.
La domanda di Gesù: chi di questi tre ti sembra sia stato
il prossimo …?”, cioè; chi è diventato prossimo di colui
che aveva bisogno? Ormai ha ricevuto una risposta chiara.
Il dottore della Legge aveva fatto una grande domanda: quale è
il modo giusto di essere liberi? La risposta è semplice: facendoti
prossimo di ogni uomo. Così tu sarai vero figlio di Colui che fa
piovere sul campo del giusto e dell’ingiusto, vero fratello di Colui che
per farsi nostro prossimo, si è fatto uomo pur essendo Dio.
“Effettivamente, non è la parentela che fa il prossimo,
ma la misericordia … non c’è altra cosa che corrisponda tanto alla
natura quanto prestare aiuto a chi è partecipe della stessa natura”
(S. Ambrogio)
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