GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTO
XXXII domenica per annum (C)
Cattedrale Ferrara, 11 novembre 2001
1. "Si avvicinarono alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione" dei morti. Come avete sentito, carissimi fedeli, la negazione di una vita dopo la morte era già sostenuta anche ai tempi di Gesù, anche all’interno del popolo ebraico del suo tempo. Leggendo attentamente la pagina evangelica, ci rendiamo conto che i sadducei non riuscivano a pensare una vita diversa da quella che uomini e donne vivono prima della morte. Questa ipotesi rendeva ragionevole, dal loro punto di vista, ritenere impossibile una vita ultraterrena.
In sostanza, la difficoltà dei sadducei è la stessa anche di chi oggi nega che esista una vita dopo la morte: è impensabile una vita diversa da quella che ora viviamo.
La parola di Gesù, la risposta ai sadducei, intende precisamente descrivere un modo di vivere completamente diverso da quello attuale. Gesù lo fa con le seguenti parole: "quelli che sono giudicarti degni dell’altro mondo … non prendono moglie né marito e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione sono figli di Dio". La vita ultraterrena è quindi qualificata come la vita propria dei figli di Dio, cioè propria di coloro che vivono in una comunione piena e totale con Dio stesso che partecipano della vita stessa di Dio. In questo senso Gesù ci dice che negare la vita ultraterrena è fare del nostro Dio un Dio che regna sui morti.
La pagina evangelica è di estrema importanza, dal momento che la risposta alla domanda se esista o non una vita dopo la morte è essenziale per ogni persona umana. Dal modo col quale noi pensiamo la nostra morte – fine di tutto o passaggio ad una vita nuova – dipende completamente il senso che diamo alla nostra vita.
2. E’ legittimo oggi chiederci in occasione della festa del Ringraziamento, che senso può avere meditare precisamente su questa verità centrale nella nostra fede (la vita ultraterrena) e riflettere nello stesso tempo sul vostro lavoro, carissimi Coltivatori Diretti.
Non è mancato chi nei decenni appena trascorsi ha giudicato la verità cristiana della vita eterna pericolosa per l’uomo, nel senso che quella verità distoglierebbe l’uomo da un impegno serio per rendere più umana la sua vita su questa terra. Con una riflessione però più attenta si giunge a pensare esattamente il contrario, come anche la storia della nostra cultura lo dimostra nei fatti. Se con la morte tutto finisce, che diversità esiste fra la persona umana e l’animale, il lavoro della persona umana e il lavoro di un animale? La certezza che la morte non pone fine a tutto genera la consapevolezza della dignità incomparabile della persona umana e del suo lavoro destinato com’è alla vita eterna.
Certamente, e voi Coltivatori Diretti ne avete un’esperienza spesso più sofferta di ogni altro uomo, i frutti del lavoro umano sono insidiati continuamente dalla distruzione, possiamo dire dalla morte. Ma attraverso il proprio lavoro la persona umana dà alla sua esistenza e a quella della propria famiglia un contesto di dignità. Non solo, ma attraverso il proprio lavoro l’uomo è chiamato ad esercitare quelle virtù umane che costituiscono la vera grandezza della persona: la fortezza nella fatica, la giustizia nei rapporti umani, la solidarietà nel condividere i beni prodotti.
Carissimi Coltivatori,
non mi resta che fare a voi, alle vostre famiglie, alla vostra benemerita Associazione, l’augurio che l’Apostolo Paolo fece ai cristiani di Tessalonica e che abbiamo letto nella seconda lettura: "lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene".
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