FESTA DI SAN BENEDETTO
Monte Oliveto 11 luglio 2001
1. "Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole e custodirai in te i miei precetti … troverai la scienza di Dio perché il Signore dà la Sapienza". Carissimi fratelli, la parola di Dio che illumina la celebrazione odierna dei divini misteri inizia con un invito ad accogliere le parole del Signore e a custodire i suoi precetti. Come non ricordare subito l’inizio della Regola di S. Benedetto? "ascolta, o figlio, i precetti del Maestro ed inclina l’orecchio del tuo cuore". Benedetto introduce subito chi si affida alla sua guida dentro al nucleo essenziale della vita cristiana: l’incontro dell’uomo con Dio, dovuto e reso possibile dall’iniziativa di Dio di volgersi all’uomo. La parola di Dio inizia rivolgendosi oggi a ciascuno di noi chiamandoci: "figlio mio!"; Benedetto inizia il suo insegnamento rivolgendosi al monaco nel modo seguente: "ascolta, o figlio". Non c’è parola più grande nella Regola, perché non c’è una parola più grande in tutto il Vangelo. La vita cristiana infatti non è niente altro se non la partecipazione alla figlialità del Verbo: figli nel Figlio.
Ma ciò che la parola di Dio e quindi la parola di Benedetto sottolinea in questa partecipazione è la dimensione dell’ascolto: "se tu accoglierai le mie parole", "ascolta, o figlio, i precetti del Maestro". La dimensione dell’ascolto richiama l’attitudine dell’attenzione, della docilità, dell’obbedienza: un rapporto di dipendenza come del discepolo nei confronti del Maestro. La vita cristiana diventa una scuola dove l’uomo – come già aveva insegnato S. Ireneo – ha sempre da imparare perché Dio ha sempre da insegnare: "costituenda est ergo nobis schola dominice servitii [dobbiamo dunque istituire una scuola di servizio divino]". E’ la grande visione del monastero: "il monastero è una scuola alla quale si va tutti i giorni: il Maestro è Lui e noi siamo suoi discepoli. E’ questo che distingue, secondo il Vangelo di S Giovanni, la vita cristiana, dopo che Gesù ha donato il suo Spirito: et erunt omnes docibiles Dei, tutti saranno istruiti da Dio" [D. Barsotti, "ascolta, o figlio…", Fondazione Barsotti, Bologna 1998, pag. 14-15].
Questa visione della vita cristiana e quindi della vita monastica comporta un riferimento costante al Signore, una vita cristocentrica. Il cristocentrismo è l’anima, mi sembra, di tutta la vita benedettina: il monaco non deve avere nulla di più caro di Cristo (cfr. cap. 5); "nulla antepongano a Cristo il quale ci conduce insieme alla vita eterna" (cap. 72).
Quale è il risultato di questa fedele frequenza alla scuola di servizio divino? "troverai la scienza di Dio perché il Signore dà la sapienza". La scienza di Dio: è il risultato più prezioso! L’uomo ha in primo luogo bisogno di verità: di sapere la verità su se stesso, sul mondo, sull’intero universo dell’essere e soprattutto su Dio. Ma questa conoscenza può essere raggiunta solo se diventiamo partecipi della stessa sapienza divina: in lumine tuo videbimus lumen, come dice il Salmo. Non abbandonate mai la scuola di servizio divino, e la sapienza entrerà nel vostro cuore e la scienza delizierà il vostro animo.
2. "Chi è più grande fra voi diventi come il più piccolo e chi governa, come chi serve". La "scienza di Dio" genera la "scienza dell’uomo" e la "schola dominici servitii" produce la "schola humani servitii". E’ la seconda grande lezione che Benedetto ha donato e continua a donare: la costruzione di vere comunità umane nella carità. A diversità della tradizione orientale dove la vita monastica tende per sé all’anacoretismo, per S. Benedetto la vita monastica implica la carità fraterna: si va a Dio insieme, non da soli. Ed il Signore nella pagina evangelica ci dice che c’è un solo modo per costruire vere comunità umane: morire a se stessi per vivere per gli altri, ritenendo nostra suprema grandezza e realizzazione il dono di sé.
Ma la parola di Gesù, come avete sentito, è occasionata dalla discussione sorta fra gli apostoli per sapere chi di loro doveva essere considerato il più grande. Dal che deduciamo che uno dei temi centrali nella visione cristiana della società umana è quello dell’autorità. E Benedetto ci dà al riguardo una delle pagine più grandi nella tradizione del pensiero occidentale al riguardo, quando soprattutto parla dell’abate.
Evangelicamente Benedetto non riduce mai l’autorità a potere: chi la esercita è chiamato abbas, "perché figura come il rappresentante di Cristo" (cap. 63). Il grande problema della modernità, come esercitare potere senza negare la libertà, insolubile in un contesto in cui si nega qualsiasi riferimento ad una previa comunione di persone, viene risolto da Benedetto, alla luce del Vangelo: "chi governa come colui che serve".
Carissimi fratelli, piantati nella casa del Signore, negli atri della casa del nostro Dio, fate frutti di vita, immersi nelle acqua che vi nutrono. "Non sono forse acque di nutrimento spirituale le Scritture dello Spirito Santo, sulle quali meditiamo giorno e notte? Non sono forse acque di nutrimento spirituale le lacrime della compunzione, che sono divenute il nostro pane giorno e notte? Non sono forse acque di nutrimento spirituale i sacramenti e i rimedi per la nostra salvezza, di cui ci nutriamo e che beviamo sull’altare? In tutte queste cose senza dubbio come in ruscelli la sorgente della sapienza, che nasce nel mezzo del Paradiso, è riversata fuori e divide le sue acque nelle piazze." [Guerrico d’Igny, Sermoni, ed. Qiqajon, pag. 309].
Siano i vostri monasteri luoghi dove noi immersi nella fatica della dispersione possiamo abbeverarci alla Sapienza di Dio.
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